Chauvenet e dintorni

Non esistono quantità che possiamo misurare con precisione infinita: i nostri strumenti sono limitati e questo limite si trasmette ai risultati delle nostre misure. Questa precisione non si limita soltanto a definire il numero di cifre significative che il nostro numero, rappresentante la grandezza misurata, può avere dopo la virgola decimale; rappresenta ben di più. Il dato con cui dichiariamo l’imprecisione della nostra misura viene detto “errore” o “indeterminazione” ed ha un significato ben preciso ed importante.

Per semplificare, se misuro la lunghezza di un tavolo con un metro da sarta – che ha una divisione della scala ogni cinque millimetri – potrò dire che esso è lungo 150 centimetri e che la mia indeterminazione è di mezzo centimetro. Questo vuol dire che io non so se il tavolo è lungo 150.5 o 149.5 centimetri o una qualsiasi delle lunghezze che si trovano comprese tra questi due numeri.
Questa indeterminazione non è soltanto un valore “a corredo” della misura – ovvero un numero che dice soltanto quanto essa sia buona – perché può influenzare le nostre conclusioni. Se infatti una fabbrica di tavoli mi incaricasse di controllare che i suoi prodotti siano tutti conformi fra loro potrei dire che un tavolo lungo 150.5 centimetri ed uno lungo 149.5 centimetri sono della stessa lunghezza entro la mia indeterminazione di 0.5 centimetri. Nessuno infatti mi proibisce di dire che il valore “vero” – a noi sconosciuto – della lunghezza del tavolo sia per entrambi 150.0 centimetri.
Dichiarare l’errore della nostra misura e tenerne conto nelle nostre conclusioni è un atto di onestà e di umiltà.

Ci sono dei metodi matematici che sono qualche volta utilizzati per affinare i dati ma che si rivelano delle affilatissime armi a doppio taglio. Il criterio di Chauvenet, per esempio, è un test statistico che ci consente addirittura di rigettare dei dati misurati. Se usato bene, permette di localizzare un errore di battitura, per esempio. Se viene usato però su dati “buoni” può diventare un metodo di fare andare l’esperimento “come vorremmo che andasse” e non “come va realmente”. Può darci cioè il potere di imporre la nostra visione sulla realtà, con tutte le conseguenze che ciò comporta – comprese conclusioni forzate o addirittura fasulle.
Pensiamo per un attimo all’esperimento di Rutherford e a cosa sarebbe successo se avesse applicato Chauvenet a quei pochissimi anomali dati che rivelavano particelle deflesse in una direzione inaspettata: penseremmo ancora che l’atomo sia un panettone che ha per canditi protoni ed elettroni.

La statistica è una scienza che ha fornito decine di test per manipolare i dati; tutti armi a doppio taglio come il test di Chauvenet. Purtroppo esistono scienziati disonesti e davvero poco umili di fronte alla realtà che forzano i loro esperimenti alle loro teorie facendo uso massiccio di questi test. È così che appare magicamente un picco nelle fluttuazioni del rumore di fondo oppure che una misura poco significativa diventa invece la dimostrazione di una teoria. Non è molto diverso da chi sente messaggi in codice sussurrati nelle canzoni dei Beatles.
Le conseguenze di questo “dogmatismo” scientifico (deve andare così perciò dev’essere così) sono terribili: va a finire che tutti ritengano vero qualcosa che ancora non è verificato. Una misura ben fatta è una misura già così palese che non ha bisogno di test statistici per aumentare la sua validità. Facciamo attenzione: non tutto ciò che è scientifico può esser preso per oro colato.

 

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2 Commenti

  1. avatar NightOwl87 scrive:

    Niente che è scientifico è oro colato :P
    Quand’anche non usano male lo Chauvenet di turno, nel giro di qualche anno si potrebbero affinare gli strumenti di misura o trovarne di diversi e scoprire cose nuove (e.g. sotto livelli dei livelli energetici, etc etc).

    Cmq, se Chauvenet è quello che ricordo io… da qualche tempo ho iniziato a pensare che andrebbe visto come un metodo per capire qual’è la grossa anomalia nei nostri dati e da lì star ad interrogarci quale siano le cause di queste anomalie. Quindi decidere se la teoria sbagliata, cercare di capire se non mi sono addomermentato mentre prendevo la misura, se c’è un errore di altra natura etc… sbagliero?
    Tipo un allarme, non una condanna a morte per il povero, mal capitato, dato sperimentale.
    Ghghghg

  2. avatar Intricato scrive:

    Vero e giusto. Il problema sorge infatti quando invece di osservare e apprendere, sono io a decidere come si deve comportare la natura quindi, se non osservo nulla mi invento qualche stratagemma per affermare di aver osservato qualcosa oppure, se osservo qualcosa che va contro il mio volere mi invento qualche trucco per farlo sparire. L’ideologia colpisce lo scienziato come l’analfabeta.

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