Articoli da giugno 2010



Affascinante mutazione

La settimana scorsa mi è capitato di trovare un bruchetto sul pavimento. Era lungo appena un centimetro ed era sicuramente caduto dalla lattuga che era stata trasportata lungo quella tratta per essere lavata e poi mangiata.
Di solito questi esserini diventano il banchetto per i miei pesci rossi, i quali gradiscono molto questa variazione del menu, ma in questo caso ho deciso di vedere in quale tipo di farfalla si sarebbe trasformato il piccoletto.

Trichoplusia

L’ho messo dentro una scatola di plastica ricavata da una vecchia confezione di cioccolatini, insieme a qualche foglia di lattuga e chiudendo il tutto con una retina di quelle che avvolgono i confetti delle bomboniere. In pochi giorni il vermino era diventato un paffuto bruco verde ed aveva triplicato le sue dimensioni. Visto che si muoveva solo di notte immaginavo già che, invece di diventare una coloratissima farfalla, sarebbe diventato una grottesca falena.

Così accadde, dopo essersi costruito un bozzolo chiudendo in due una foglia di lattuga e qualche giorno di attesa, è venuta fuori una bella falena marrone con due strisce gialle sulle ali. Al solo guardarla mi sono meravigliato di come un essere cilindrico e goffo potesse tramutarsi in qualcosa capace di spiccare il volo.

Cose del genere ci capitano ogni giorno, dallo sbocciare di un fiore inatteso, agli uccelli che costruiscono il nido, alle crisalidi che terminano la loro mutazione. A vedere tutto ciò, talmente incredibile, non si può che restare affascinati, come mi ha sempre affascinato osservare i meccanismi di un orologio a molla o i circuiti di un apparecchio elettronico.

Trichoplusia

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Conclusioni affrettate

Il lavoro che faccio consiste soprattutto nel calcolare il rapporto tra il numero di particelle interessanti e il numero totale delle particelle che si sono fatte scontrare. Questo rapporto dipende dall’energia con la quale si fanno scontrare le particelle in modo molto graduale e delicato disegnando una curva che somiglia ad una gobba.

Da qualche mese a questa parte, succedeva che alcuni dei punti della curva, invece di seguire l’andamento degli altri, stavano molto più in alto, cioè il rapporto risultava 10 volte più grande del dovuto. Erano come note stonate.
La prima cosa che ho pensato è di aver sbagliato i conti, che potevo aver sottostimato le particelle interessanti o sovrastimato le altre. Avevo letto sul quaderno di misura che qualcuno aveva messo “10″ in qualche strumento, ma ho velocemente concluso che era un settaggio svolto solo per controllare meglio la situazione, qualcosa che non avrebbe mai alterato la misura.

E così sono passati dei mesi con queste note stonate senza spiegazione. Alla fine, esasperato, ho riletto il quaderno di misura e ho visto proprio che quel 10 non era stato messo in uno strumento che controllava e basta, ma era stato messo proprio nello strumento che misurava per evitare che si danneggiasse. Saltare a conclusioni affrettate, cassare un’ipotesi solo perché la si reputa improbabile o perché crediamo che non sia la spiegazione migliore ci fa spesso perdere qualcosa. A volte perdiamo solo tempo; altre volte, che possono anche essere questioni ben più importanti e decisive, perdiamo molto di più. Meglio essere aperti anche all’ipotesi che sembra poco credibile piuttosto che chiudersi e rischiare di rimanere intrappolati.

Sezione d'urto

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Casseforti

Avete mai visto due persone di una certa intelligenza discutere su questioni che sono insolute da secoli? Parlare è bello, condividere opinioni è un’attività sana, ma quando tutto si trasforma in un “botta e risposta” dove ciascuno dei due contendenti cerca di far ragionare l’altro con l’obiettivo di condurlo dalla propria parte o, peggio, di fare bella figura di fronte ad un certo pubblico, non è una bella cosa da vedere.

Mi sembra una strana competizione tra uno che fabbrica casseforti per professione e l’altro che fa il ladro professionista. Ogni volta il fabbricante inventa un nuovo tipo di serratura, una lega più resistente, dei cardini migliori, ed ogni volta il ladro trova un baco, trova un artificio per “scardinare” la cassaforte dell’altro per quanto resistente e ben fatta possa essere.
Come risposta il fabbricante farà  una cassaforte migliore, ma anche il ladro si ingegnerà nel trovare sistemi sempre più efficaci per annullare il lavoro dell’altro.

È un circolo che non finisce mai. Nel caso della dialettica e della logica, entrambi si costruisce cassaforti ed entrambi si cerca di scardinare quelle avversarie fino allo sfinimento di uno dei due.
Ma quale vittoria può mai essere gratificante se viene ottenuta per sfinimento dell’avversario e non per la bontà del proprio pensiero? E deve per forza essere tutto visto come una sfida, uno scontro, un’occasione per mettere a tacere l’altro o per prevalere?

Gli antichi dicevano: “La parola è d’argento, il silenzio è d’oro” ma a volte tacere non si può. Allora come se ne esce?
Se si continua a puntare soltanto sulle parole non se ne può uscire, in nessun modo. Ci vuole dell’altro che può essere l’esperienza diretta, che può essere un’emozione, che può essere anche un momento di sofferenza.
Con le parole si può dire tutto ed il contrario di tutto, essendo anche logici e convincenti, ma spesso si conclude ben poco.

Cassaforte

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I fiori ed il possesso

Ho sempre guardato i classici mazzi di fiori, quelli che si mettono nell’acqua per farli resistere almeno un giorno, con un po’ di dispiacere. Certo, son belli, fa anche piacere riceverli ma, per me, è un peccato tagliarli e la loro caducità non rappresenta certo un valore positivo.
Chi mi conosce sa che, se proprio voglio regalare un fiore, mi piace farlo per intero, con tutto il vaso, la terra ed il resto della pianta. In questo modo, supponendo che il ricevente fornisca adeguata cura, quel fiore potrebbe essere un regalo a lungo o lunghissimo termine, pronto a sfoggiare la sua bellezza ogni anno o anche più frequentemente.

Con i fiori puoi farci due cose: o li tagli e li porti a casa, li metti dentro un vaso e te li godi quel poco che durano; oppure li coltivi, li annaffi, li curi ma li lasci lì dove stanno. Nel secondo caso non ti appartengono veramente ma la longevità della tua esperienza piacevole con loro è dovuta proprio al sacrificio e alla tua astensione dal possesso perché hai il desiderio della loro sopravvivenza.

Ritengo che sia così anche per le cose belle e, soprattutto per le persone belle. Prendersi tutto e prenderselo subito, lascia solo uno stelo appassito in un vasetto d’acqua; coltivare con pazienza e rispetto ma senza possesso può dare un sapore di eternità a quel pezzetto di bellezza.

Fiori

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Statue

Le statue, in genere, sono scolpite una volta per tutte; l’artista le fa e poi, se sono ben fatte, perdurano anche per secoli o millenni.
La gente non è così. Le persone hanno la grande capacità di cambiare, di essere vivi in fin dei conti.

Visto che la tendenza degli esseri viventi è quella di cambiare, trasformarsi, mutare con il passare del tempo e poiché anche le persone sono dei “viventi” perché non sfruttare questa capacità per un miglioramento?
Gli atleti non si allenano forse ogni santo giorno, sottoponendosi a fatiche e sacrifici, pur di migliorare le loro prestazioni? Gli artisti non sperimentano forse sempre nuove tecniche con il rischio di rovinarsi economicamente e di perdere tempo?

Come accennavo ieri, si può agire anche per migliorare sé stessi, a partire dal carattere per poi plasmare lentamente la coscienza ed il comportamento. Ma cos’è un miglioramento?
Un pittore può certamente affinare la tecnica per essere più rapido o più abile, può anche “divertirsi” in quello che fa traendone giovamento, ma finché il suo prodotto non ha una bellezza universalmente – o quasi – riconosciuta, non ci guadagnerà un soldo (se non da qualche elemento di quella categoria che considera artistico anche ciò che è grottesco o orribile).

Il miglioramento porta bellezza ma è figlio del sacrificio. Senza allenamento non ci sarà mai un atleta valido, senza pratica artistica non ci sarà mai artista, senza il sacrificio dei propri vizi non vi saranno mai virtù. E se per sfuggire al sacrificio ci lasciamo andare al sofisma “sono fatto così; che ci posso fare” allora non siamo diversi da una statua di marmo: impassibile, immutabile e, sostanzialmente, morta.

Statua

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Full metal alchemist: vizi e virtù

Sarò un nostalgico o antimoderno, ma a me piace pensare alle virtù di una volta come qualcosa di positivo e necessario per ciascuno di noi.
Centinaia di favole e di fiabe, raccontate dai genitori ai loro figli, formavano all’onestà, al rispetto, alla pace, all’operosità, alla bellezza, alla purezza e, quando attecchivano, producevano adulti socialmente preziosi perché rispettosi, in primo luogo, della loro stessa dignità e, in secondo luogo, della dignità dei loro simili.

Oggi è raro trovare chi educa in questo modo. I tempi sono cambiati, si dirà. Però il cambiamento può consistere anche in una variazione della “modalità” di trasmissione del messaggio e non in una sua negazione.
Un esempio del concetto che ho appena espresso è rappresentato da “Full Metal Alchemist”, un anime che narra le vicende di due fratelli alchimisti. L’anime è  denso di significati e di riferimenti etici: la legge dello scambio equivalente che implica che per ottenere qualcosa si debba cedere qualcos’altro del medesimo valore; il valore della famiglia (che è tutto ciò che rimane ai due fratelli); il “dazio” che i due fratelli hanno dovuto pagare per aver tentato di riportare in vita la loro madre con una trasmutazione umana; la pietra filosofale che è prodotta con un altissimo prezzo di vite umane; gli homunculs…

Io mi vorrei soffermare sugli homunculus, degli esseri dalle sembianze umane che incarnano i sette vizi capitali. Mi piace vedere che i protagonisti della storia combattano gli omunculus e, simultaneamente, si sforzino di far prevalere quei valori che ne rappresentano l’opposto.
Un bel modo di trasmettere valori e pensieri positivi.

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Fotosintesi

Una delle sfide energetiche che riguardano il nostro tempo è quella della produzione di energia dalla radiazione solare. Le attuali celle fotovoltaiche hanno un rendimento che arriva al massimo al 30% e si stanno compiendo molti sforzi per riuscire ad alzare questo numero.
Sulla terra, la maggior parte delle piante sfruttano la radiazione solare per produrre la loro energia. Sono sicuro che molte persone, come me affascinate dal fatto che la natura abbia già un suo sistema fotoenergetico, hanno cercato di capire come funziona la fotosintesi clorofilliana e ne hanno studiato i processi.

Per spiegare un processo come la fotosintesi serve molto tempo e servono molte parole. Più in dettaglio ci si spinge nei meccanismi della natura e delle cellule, più parole sono necessarie a spiegare i meccanismi che ne permettono la sopravvivenza e che ne descrivono la vitalità.
Attenzione! Non è semplice come nella fisica, nella quale si hanno dei fenomeni che sono riproducibili e prevedibili con determinate formule. In questo caso ci troviamo di fronte ad una specie di catena di montaggio, con svariati step ed un prodotto finale.

Di fronte a tale meraviglia, non viene forse da pensare che una cellula di una pianta sia come un meccanismo nanoscopico estremamente efficiente? Però è anche vero che i meccanismi non sbucano dalle crepe del sottosuolo come le acciaierie non cadono dal cielo.

Fotosintesi

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Passaporto

Oggi ho perso l’intera mattinata per riuscire a presentare i moduli e l’occorrente per farmi fare un passaporto. La burocrazia è quella che è – ha una sua utilità e i suoi svantaggi – ma non voglio parlare strettamente di burocrazia. Una cosa che mi ha dato da pensare quando mi sono informato per il materiale da produrre è la quantità notevole di indicazioni accompagnate dalla data di entrata in vigore.

Avrò letto almeno tre volte frasi come “si ricorda che a partire dal… è necessario…” oppure “con le nuove regole entrate in vigore il …” e mi sono chiesto se c’è mai stato qualcosa di definito e costante in queste procedure. Distaccandosi un po’ si vede però che ci sono delle cose che non cambiano mai: non cambia mai che è necessario un passaporto per viaggiare, che esso debba contenere una fotografia o dei segni di riconoscimento, che sia necessaria un’istituzione che garantisca la verità di quanto riportato sul documento.
Certe regole – che possono anche essere regole della vita di tutti i giorni o regole del comportamento – non cambiano mai, perché siamo esseri umani e questo termine indica diverse costanti, immutabili e definite.

Un’altra cosa che ho pensato è che la libertà di andare dove si vuole passa per queste ed altre “strettoie”. Nessuno può recarsi dove vuole con fatica pari a zero. C’è sempre da pagare e da regolamentare qualcosa, anche quando ci si muove con la propria macchina: il costo del veicolo, l’assicurazione, la revisione, la patente, il carburante da pagare… La libertà, qualsiasi libertà deve fare i conti con dei limiti. Certamente staremmo tutti meglio se non esistessero, ma non si può fare una rivoluzione per fare in modo che le macchine siano regalate a tutti, senza patente né assicurazione né costi del carburante. È una cosa impossibile.

Il problema di molte “libertà” è che spesso non ci accorgiamo di non avere il “passaporto” per andare oltre certi limiti, soprattutto quando essi sono facili da oltrepassare. È come se andassi in America con il mio aereo privato ma senza alcun documento o autorizzazione: essere riuscito a farlo non cancella la mia clandestinità.
Quindi, libertà sì, ma entro tanti limiti e controllando sempre di avere il lasciapassare per ogni determinata attività che vogliamo praticare.

Passaporto

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Willy Wonka e la bellezza

Chiedo scusa se oggi sono “indignato speciale”, ma il mio senso della bellezza, il mio gusto estetico è stato più volte messo alla prova da un regista che si chiama Tim Burton. Secondo me il cinema tenebroso e sintetico che produce questo regista è perfettamente rappresentativo dell’epoca decadente in cui viviamo.

Innanzi tutto trovo illecito eseguire il remake di film che sono già buoni così come sono stati girati decenni fa, cosa ancor più grave se il film che ha “subìto” il remake è una pietra miliare del cinema, qualcosa di intramontabile. In secondo luogo, trovo i suoi “remake” di scarsa fattura, pessima fotografia e  grottesca sceneggiatura.
Porto alcuni esempi, nel caso in cui qualcuno pensi che stia vagheggiando.

Partiamo da “Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato” :
Il film del 1971, diretto da Mel Stuart aveva per sceneggiatore l’autore stesso del libro dal quale è tratta la storia, Roald Dahl. Willy Wonka è interpretato da Gene Wilder e l’intero film è una specie di musical, infatti ha una colonna sonora non indifferente: “The candyman”; “Pure immagination”, etc. Uno spezzone giusto per dare l’idea.
Il film di Tim Burton non tiene il confronto dal punto di vista della sceneggiatura, della musica, del colore. È psichedelico, esagerato, basta guardare il trailer per rendersene conto.

Un altro esempio della catastrofe di Tim Burton è “Il pianeta delle scimmie”: un film del 1968 malamente rifatto nel 2001. Il commento è identico a quello che ho fatto per la fabbrica di cioccolato.

L’elenco continua ancora, ma io mi voglio soffermare su un pensiero preciso. Quando si produce qualcosa di bello, ben fatto, esteticamente affascinante, delicato, la reazione non può essere altro che pacifica, bella, buona, coerentemente a ciò che l’ha suscitata. Al contrario, il brutto, l’inestetico, il grottesco, lo squallido, l’eccessivo, non possono fare altro che suscitare sentimenti negativi che si esauriscono lasciando solo macerie.

Wonka

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L’altruismo di Patch Adams

Stamattina, nel pieno di uno stato febbrile – me ne sta ormai capitando uno al mese – il mio zapping si è soffermato sul film “Patch Adams” interpretato da Robin Williams e tratto dalla biografia di Hunter Campbell Adams, un simpatico signore con idee rivoluzionarie nell’approccio tra medico e paziente (il sorriso e la risata) che ebbe l’idea di una sanità gratuita ma non senza problemi.

Non voglio però parlare strettamente del personaggio o delle sue vicende. Ciò che ho trovato interessante sono alcune battute del film. Un dialogo in particolare si riferiva alla sensazione provata dal protagonista nel rendersi portatore di risata, sostegno morale ed aiuto fisico:

«- Il ricovero è la cosa migliore che mi sia mai capitata.
- Quindi i dottori ti hanno aiutato molto?
- Non mi hanno aiutato per niente. I pazienti hanno fatto molto. Mi hanno aiutato a capire che pensando a loro potevo dimenticarmi dei miei problemi. E l’ho fatto. Alcuni li ho aiutati davvero.»

È vero che certe volte si pratica l’altruismo egoisticamente, come un “hobby” ricercato più per i benefici che esso comporta, ma secondo me quel che si vuole dire in questo dialogo è che dedicarsi agli altri, riconoscendo in loro un valore umano, ridimensiona la nostra “puzza sotto al naso” perché il loro valore ci fa considerare meglio anche il nostro.
Non voglio certo dire che il dolore personale – la cosa più intima che può riguardare una persona – sia di poco conto rispetto a quello degli altri; la riflessione che propone questo dialogo è sul valore stesso del gesto, che ha ripercussioni sia su chi lo riceve, sia su chi lo compie.

Pochi secondi dopo il dialogo continua sottolineando l’aspetto più importante del gesto “altruistico”, della reazione buona – che definisco veramente “anticonformista” – al torto subito:

«- Che c’è?
- C’è che una persona… no? … che .. fa per me quello che hai fatto tu stasera dopo come ti ho trattato… Nessuno ha mai avuto un pensiero del genere prima. Grazie.»

Un gesto buono, davanti al torto subito, irrazionale, gratuito, completamente fuori dagli schemi naturali di aggressione-vendetta, può frantumare il circolo vizioso dell’odio e trasformare le persone profondamente.

Patch Adams

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