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Una rosa nel cielo

Oggi aspettavo il mio “capo” nell’atrio del dipartimento di fisica. Su una delle tante bacheche era affissa la locandina di un incontro tenuto da un “esperto” di fenomeni paranormali. Uno di quelli che sanno sempre quale trucco c’è dietro l’illusionista e che hanno la risposta pronta per ogni cosa che sia fuori dal comune.

La locandina diceva qualcosa come “noi crediamo a tante cose così come le vediamo ma i sensi possono ingannare”. Vero, verissimo. Non fa una grinza. Mentre leggevo non ho però potuto fare a meno di pensare che alcune tra le più grandi scoperte scientifiche dell’antichità erano state classificate come “paranormale” prima di diventare la fortunata osservazione di un uomo di cultura. Cosa sarebbe stato di quelle scoperte se avessero avuto la meglio le spiegazioni tanto pronte quanto improbabili di chi riduce l’insolito ad una banale coincidenza?

Il problema di chi ha l’hobby di sbugiardare gli altri è che spesso valica il confine delle vere frodi, nelle quali il trucco c’è perché intenzionale, finendo per aggredire qualsiasi cosa non rientri negli schemi della normalità. Così se una persona vede qualcosa di insolito viene rapidamente liquidata senza neanche indagare seriamente sul fenomeno del quale ella è testimone. Se qualcuno venisse a dirmi di aver visto una rosa fluttuare nel cielo sarei tentato anche io di prenderla per matta, ma c’è un’onestà razionale che dovrebbe spingerci a verificare con l’esperienza quanto ci viene detto. Potremmo scoprire qualcosa di nuovo o, semplicemente, prendere un telescopio e vedere proprio una rosa in cielo.

Rosa nel cielo

 

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Giochi di carte

Nel periodo natalizio ci si incontra con amici e parenti fra le mura domestiche e si trascorre la giornata non solo stando insieme o chiacchierando, ma anche giocando a carte. I giochi di carte sono tantissimi, ciascuno con le sue regole e con la sua scala di valori associati alle varie carte.

Personalmente mi sono sempre perso nelle “regole del gioco” mentre mi venivano esposte e, giocando ugualmente, non è che abbia fatto una gran bella figura. Il problema non è tanto la conoscenza delle regole e dei valori delle carte a rendere vincente un giocatore, quanto la capacità di giocare seguendo delle logiche che trascendano le regole stesse. Ad esempio, il poker si gioca soprattutto su fattori che non c’entrano per nulla con le regole del gioco: saper bluffare; apparire neutrali in viso sia quando il proprio mazzo è perdente, sia quando è vincente etc. Stesso discorso per gli scacchi; identico discorso per la dialettica – c’è chi, con le parole, ti fa dire quel che vuole e poi ti frega.

L’applicazione rigida e asettica delle regole non è garanzia di vittoria, anzi è un possibile fattore di sconfitta. Ciò non vale solo per il tavolo da gioco, ma anche per la realtà e per la scienza. Se studio un fenomeno del reale e ne scopro le leggi devo stare attento a come le applico ad altri fenomeni che non ho ancora studiato, perché rischio di andare completamente fuori strada; di spiegare un fenomeno con un meccanismo che apparentemente funziona ma che è estraneo, nei fatti, alla realtà stessa del fenomeno. Come chi ottiene ragione con la dialettica non è detto che abbia realmente ragione.
Ancora una volta, la realtà è molto più ampia di quanto pensiamo.

Poker

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L’energia esiste

Che cos’è l’energia? Domanda all’apparenza semplice ma dalla risposta difficile. L’energia non si crea né si distrugge ma si trasferisce da un ente all’altro cambiando anche tipologia. L’energia chimica contenuta nel succo di frutta che abbiamo bevuto si trasforma in energia potenziale quando saliamo le scale; l’energia potenziale acquistata dall’automobile che si è arrampicata su un paesino di montagna diventa energia cinetica quando questa ridiscende senza usare i freni e quando diventa troppa l’autista rallenta e l’energia cinetica si trasferisce ai freni sotto forma di calore.

L’energia non si tocca, non si vede ma si osservano solo i suoi effetti. La manifestazione dell’energia cinetica è la velocità; dell’energia termica, la temperatura; dell’energia chimica, le reazioni; dell’energia luminosa, il numero di fotoni per unità di superficie. Non esiste dispositivo al mondo in grado di misurare direttamente l’energia. Gli unici rivelatori che danno informazione sull’energia misurano il numero di coppie elettrone-lacuna generate dentro uno strato di silicio dal passaggio di una particella carica. Possiamo misurare la temperatura, la velocità, la quantità di reagente prodotto, la quantità di luce, il flusso degli elettroni in un conduttore, il numero di ioni, ma non l’energia.

Che sia pura convenzione? L’invenzione dei fisici per fare tornare i conti? No. L’energia esiste, non è una convenzione. Non è convenzione il Sole, che brucia il suo combustibile nucleare per produrre luce e calore. Non è convenzione la stanchezza che percepiamo ogni giorno e il cibo che ingeriamo per recuperare le energie. Che l’energia esista è praticamente ovvio ma difficile da dire perché l’energia è elusiva. Solo l’esperienza dell’osservazione lo conferma, permette di vedere le trasformazioni e i viaggi dell’energia nell’Universo.

Una manifestazione tangibile dell’energia c’è e si chiama massa, quell’entità che è suscettibile alla gravitazione, ciò che indirettamente misuriamo ogni volta che saliamo sulla bilancia. Distruggendo la massa si libera energia, da un fotone che ha una certa energia si può ottenere massa. Quando l’energia si “incarna” diventa tangibile e ci accorgiamo che ce n’è in tutte le cose che esistono, ovunque. Siamo ancora al punto di partenza: misuriamo la massa, non l’energia direttamente.
Che strana quest’energia: una cosa invisibile, intangibile, non misurabile, definibile con difficoltà, della quale possiamo mostrare solo gli effetti ma che abbiamo certezza che essa esiste ed è ovunque, permea ogni cosa. Caratteristiche che dovrebbero fare riflettere tutti coloro che sostengono – per via di un materialismo spregiudicato – l’esistenza di sole le cose misurabili. L’energia trascende la materia tangibile.

Fiamma, energia

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Maggiore di due

Sul caso, sul determinismo e sulle leggi della fisica aleggia una grande confusione. Un folto numero di persone pensa che sia sufficiente l’esistenza di regole – o leggi – inviolabili della fisica per poter definire il futuro di un sistema. Questa maniera di ragionare, cioè il determinismo, si trova d’accordo con buona parte dei fenomeni fisici della vita di tutti i giorni – quelli che sperimentiamo macroscopicamente facendo cadere un oggetto o guidando l’automobile – ma la realtà dei fatti è ben diversa.

L’argomento della mia prima tesi di laurea riguardava i sistemi a molti corpi. Si tratta di sistemare nello spazio tre o più oggetti, assegnare loro una velocità iniziale, stabilire fra loro un’interazione – cioè le leggi che regolano il comportamento reciproco – e cercare di risolvere il problema di prevedere dove questi oggetti andranno a finire. Si scopre, in questo caso, che anche una virgola di differenza nei parametri può portare il sistema a divergere. Chi studia questo genere di problemi ha già gettato la spugna da tempo perché non è possibile risolvere analiticamente – cioè con formule matematiche – nessun problema che riguardi più di due oggetti. L’unica strategia è cercare di fare delle simulazioni al computer, le quali però hanno il problema dell’approssimazione e diventano sempre più sbagliate quanto più è lontano il futuro che esse vogliono prevedere.

Lo sanno bene i meteorologi, i quali dicevano ieri che oggi ci sarebbe stato il sole dalle mie parti ed invece ha piovuto. Lo sa bene anche quel tale  che costruì un circuito elettrico dalla soluzione caotica appositamente per criptare le comunicazioni radio.
Se però bastano più di due corpi per arrivare a queste situazioni irrisolvibili, non dovremmo poter vedere regolarità, né tanto meno significato da nessuna parte. Se anche tre molecole d’acqua interagiscono fra loro in un modo che è poco sistematico, com’è che abbiamo cristalli, geometrie e simmetrie perfino negli esseri viventi e in noi stessi? Se non basta porre delle condizioni iniziali e fissare delle leggi di interazione, la presenza di informazione, di intelligibilità, di riproducibilità che osserviamo nelle soluzioni del sistema più complesso che ci sia – l’Universo – è già di per sé un fatto stupefacente. Abbiamo avuto una fortuna terribilmente sfacciata ad esistere.

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Radiazioni, queste sconosciute

Qualcuno, già leggendo la prima parola del titolo, si sarà spaventato. Quanta paura, paura per cosa? Una cosa naturale, naturalissima, forse tra le responsabili della nostra stessa esistenza e presenza nell’universo. Ne siamo pervasi, ne siamo persino sorgenti. Un eccesso ci fa male – vero – come l’eccesso in qualsiasi cosa. Qualsiasi.

La differenza con tutte le altre cose è che non vediamo le radiazioni, o meglio, vediamo solo ciò che i nostri sensi riescono a vedere: la radiazione dal rosso al violetto. Eh, già! Si chiama radiazione nel visibile. Anche l’eccesso in quella fa male, con scottature e abbagli, ma fa meno paura perché è visibile, perché è conosciuta.
Chi conosce anche le altre radiazioni impara ad usarle per indagare il mondo, come se fossero i suoi nuovi occhi. C’è addirittura chi le usa per curare le persone. Eh, già! Un fascio di radiazioni ben collimato e ben selezionato in energia è più efficace di un bisturi e molto meno doloroso – anzi – per nulla doloroso. Per non parlare di radiografie, TAC, liquido di contrasto…

Nella natura, ogni animale sa che dietro un angolo inesplorato può nascondersi un predatore; che ogni cosa che non sia ordinaria è un potenziale pericolo. L’animale teme l’ignoto e lo evita. Anche noi, belli cresciuti e razionali, sentiamo l’istinto di temere ciò che non conosciamo. Un istinto che ci fa agire in due modi: o gli diamo retta ignorando l’analisi ragionevole e finendo per combattere l’ignoto; oppure filtriamo l’istinto con pensieri più sofisticati e tipici della natura umana, abbattendo il muro della novità e arricchendo la nostra conoscenza. Non è il caso di sottolineare che il vero progresso richiede di agire in quest’ultimo modo.

Radiografia neutroni

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Un’altra storia

Chiudevo il post precedente con una riflessione lasciata a metà sul nesso tra eventi probabili/improbabili ed eventi possibili/impossibili ed anche eventi che avvengono/ non avvengono.
Ho visto usare il concetto di “probabilità” in diversi modi spesso non propriamente corretti, soprattutto se “l’utilizzatore” era qualcuno che usava il termine secondo una definizione più popolare che scientifica. Credo necessario fare un po’ di chiarezza.

Innanzitutto la probabilità è – matematicamente – il rapporto tra il numero di volte che un evento si verifica e il numero di volte che le condizioni iniziali sono state replicate.  Per fare un esempio, se Robin Hood partecipa al torneo della contea e nell’arco di tutta la competizione scocca la sua freccia cento volte sbagliando il bersaglio una volta, possiamo dire che la probabilità di sbagliare è una su cento. Nessuno però ci garantisce che accumulando tutte le volte che Robin Hood ha scoccato la freccia in tutta la sua vita ci sia stata una percentuale di errori diversa da una su cento. La probabilità misurata in questo modo è infatti un assunto: supponiamo che quanto sia valido per cento frecce lo sia anche per un milione o un miliardo. Tanto più grande è il campione (il numero di frecce), tanto più la probabilità misurata si avvicina a quella reale. Nulla di definitivo però!
Come possiamo osservare, tutto il discorso ha senso per eventi ripetibili e/o ripetuti: di qualcosa della quale abbiamo un’esperienza unica ed irripetibile, neanche nelle condizioni iniziali, non ha senso parlare di probabilità.

A proposito invece degli eventi possibili o impossibili possiamo citare Charles Kittel ed Herbert Kroemer:

Il significato di mai
È stato detto che “sei scimmie che si mettessero a battere a casaccio su macchine da scrivere per milioni di anni finirebbero inevitabilmente per scrivere tutti i libri contenuti nel British Museum”7. Questa affermazione è assurda, poiché porta a conclusioni false sui numeri molto grandi. Vediamo piuttosto se tutte le scimmie del nostro pianeta, in un tempo pari all’intera vita dell’universo, avrebbero potuto scrivere anche un solo libro dato8.
[...]9
la probabilità che l’Amleto sia battuto a macchina da una scimmia in un tempo pari all’età dell’universo è approssimativamente 10-164316. La probabilità è dunque zero a tutti gli effetti, il che vuol dire che l’affermazione riportata all’inizio è priva di senso: nella produzione letteraria delle scimmie non comparirà mai un libro, né tanto meno una biblioteca.
7 - J. Jeans, Mysterious Universe (Cambridge University Press, Cambridge 1930) p. 4. L’affermazione è attribuita a Huxley.
8 - Luis Borges, Finzioni. La biblioteca di Babele, trad. it. (Einaudi, Torino 1978)
9 - dimostrazione a p. 58 di Charles Kittel, Herbert Kroemer, Termodinamica statististica, Boringhieri (1985)

Da Charles Kittel, Herbert Kroemer, Termodinamica statististica,

 Boringhieri (1985) p. 57-58

Scimmia che scrive

Facciamo attenzione a come ci serviamo della statistica e della probabilità per dimostrare o confutare le vicende della vita: le certezze in questo campo sono ben poche e molte di più le insidie. Meglio valutare la verità di un argomento usando altri strumenti.

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Eventi rari

Tre giorni fa un docente di fisica mi raccontava di alcune risposte “singolari” dategli da uno studente a proposito delle probabilità. In sostanza lo studente sosteneva che un evento che si verifica con una probabilità molto bassa non si verifica affatto «Tanto la probabilità è bassa».
La distribuzione di Poisson è quella funzione matematica che, nella statistica, riproduce la probabilità di avvenimento per eventi rari. Il nostro studente dalle conclusioni facili probabilmente non sa che praticamente tutta la fisica nucleare si basa sull’indagine di avvenimenti rari per i quali si utilizza la distribuzione di Poisson.

Ma come? – chiederete voi – Gli eventi rari in realtà si verificano così spesso da essere indagati?
Ebbene, ciò che comunemente accade in un laboratorio di fisica nucleare è che delle particelle siano accelerate in gran numero e le si faccia scontrare da qualche parte. Tra le infinità di scontri che si producono, alcuni – pochi - sono quelli cercati dallo scienziato. Ciò non significa che il ricercatore stia lì davanti ad aspettare per tutta la vita un evento buono. Nella maggior parte dei casi bastano pochi giorni per misurare tutto quello che si deve misurare – tutti eventi squisitamente rari. Il fisico, sapendo che l’evento che cerca è raro, sollecita il sistema con una frequenza adatta a far “saltare fuori” ciò che cerca in un tempo ragionavole.
La situazione è analoga a coloro che vincono al superenalotto giocando un sistema di schedine invece che provando soltanto con una combinazione per volta.

Stiamo attenti quando si parla di eventi rari o improbabili: non significa che siano impossibili. Non possiamo dunque pronunciarci sulla verità di una testimonianza rispetto ad un’altra, se l’unico argomento di discriminazione è la probabilità che associamo – arbitrariamente o meno, a torto o a ragione - alla storia raccontata da un testimone rispetto all’altra. Piuttosto, accompagniamo la probabilità con la ragionevolezza e la verifica.

Distribuzioni
D’altro canto però esistono cose che non si verificano mai. Ma questa è un’altra storia.

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Interpolazioni

Circa quattro anni fa durante una lezione di “Fisica nucleare con sonde elettromagnetiche” il docente mostrò agli studenti un grafico estratto da un articolo scientifico. Nel grafico stavano, evidentemente disposti su una retta, i dati sperimentali che quegli autori avevano raccolto.

Retta

I ricercatori, osservando i dati sperimentali, conclusero che la legge che legava le due quantità sugli assi era di tipo lineare.

y = 0.7·x – 5

Qualche tempo dopo questo esperimento la tecnologia fece alcuni passi avanti e fu possibile estendere le misure al di là dei  limiti precedenti. Con grande sorpresa si scoprì che i dati sperimentali, in realtà, non ne volevano proprio sapere di stare su una retta:

Saturazione

Quindi la legge che univa le due quantità sugli assi non era per niente lineare, ma era un cosiddetto “gradino smussato”. I punti misurati nel primo esperimento continuavano a stare (correttamente) sulla curva, ma la conclusione dedotta a partire da una limitata conoscenza della realtà era sbagliata.

Sono poche le cose che l’umanità conosce in modo esteso: più ci si spinge nell’infinitamente piccolo o nell’infinitamente grande, più si va idietro o avanti nel tempo, più ci si spinge verso le bassissime energie o altissime energie e meno ne sappiamo. Il ricercatore onesto sa che può pronunciarsi solo su ciò che conosce e limitarsi a formulare discutibilissime ipotesi per quanto riguarda tutto il resto; e questo “tutto il resto” e enormemente grande e altrettanto oscuro.
Spesso le ipotesi e le teorie degli scienziati si trasformano in verità assolute quando passano nella bocca dell’uomo comune, con la conseguenza che ci si ritrova a litigare su cose delle quali non si conosce nulla. Stiamo attenti a come interpoliamo la realtà: corriamo il rischio di fare clamorosi errori.

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L’olio di Lorenzo

Un film che mi ha fatto molto riflettere per il suo alto contenuto di valori, la storia vera di Augusto e Michaela Odone e del loro figlio Lorenzo. All’età di cinque anni a Lorenzo viene diagnosticata l’adrenoleucodistrofia, malattia rara, dolorosa e mortale per la quale non esistevano cure. Mentre la malattia del bambino progredisce paralizzandolo e sottoponendolo a tormenti che egli sopporta eroicamente, Augusto e Michaela non si danno per vinti.

Una mamma ed un papà che conoscevano poco o nulla della medicina e della biochimica ma che, con una forza che definirei “sovrumana”, hanno affrontato di petto la situazione studiando ogni articolo scientifico che, anche marginalmente, poteva essere correlato alla malattia del figlio. Dopo aver addirittura organizzato il primo simposio internazionale sull’adrenoleucodistrofia, nonostante lo scetticismo e la reticenza dell’ortodossia accademica degli scienziati, gli Odone hanno sviluppato “l’olio di Lorenzo“, una mistura di acidi grassi che inibisce l’agente dannoso nella malattia (non ripara i danni ma ne evita di nuovi).

Si possono fare diverse riflessioni su questa storia.
A volte noi scienziati non ci mostriamo abbastanza aperti alla realtà mostrando, come prima reazione, uno scetticismo che si basa su un’eccessiva e mal riposta fiducia sulle sole conoscenze accademiche “certificate”. Anche chi non è scienziato si lascia andare, in alcuni casi, a questo genere di resistenza ma, come si apprende da questa storia, dare una minima occasione alla novità non è solo onesto ma è anche proficuo per tutti.
Nel film alcuni genitori esasperati si oppongono agli Odone perché ritengono più opportuno accelerare la morte del figlio per “porre fine alle sue sofferenze”. Inutile ribadire quale dei due atteggiamenti abbia effettivamente prodotto un grande beneficio per la collettività. Significative le parole di disprezzo scaturite dalla bocca di una stanca infermiera riferendosi allo stato di coscienza di Lorenzo: “non c’è nessuno in casa”. Lorenzo è morto all’età di 30 anni (molto più di quanto prospettato da un decorso non ostacolato della malattia) cosciente ed in grado di comunicare con le dita e gli occhi.
Ultimo ma non meno importante il coraggio e la combattività, di Lorenzo per primo e dei suoi genitori dopo. Il dramma, il male della malattia non sono l’ultima parola: questa storia è un caso notevole di una disgrazia che alla fine conduce a qualcosa di grande. Ascoltando i racconti di chi vive drammi simili si può intravedere la stessa carica di senso e di coraggio, la volontà e la forza di trasformare un dramma in un motivo di vita e di speranza.

L'olio di Lorenzo

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Picco di Bragg

Il picco di bragg è la curva che si ottiene disegnando l’energia persa da una particella che penetra nella materia in funzione della profondità che essa raggiunge man mano che avanza. La forma di “picco” mostra che una particella rilascia la maggior parte della sua energia alla fine del percorso e questa importante caratteristica è sfruttata in medicina per curare i tumori senza operare, utilizzando le particelle come delle “bombe di profondità”.

Conoscere questo comportamento è importante anche dal punto di vista sperimentale perché permette di stabilire  lo spessore dei materiali da usare in base all’effetto che si vuole ottenere. Per fare un esempio, negli esperimenti sui quali ho lavorato c’era la difficoltà sperimentale di rivelare delle particelle con energia molto bassa, al di sotto di quella minima sufficiente affinché il rivelatore potesse reagire. Poiché queste particelle erano però degli isotopi instabili, riuscendo ad intrappolarle tutte da qualche parte si poteva attendere il loro decadimento e conseguentemente “contarle” in base al numero di decadimenti.
Per intrappolare le particelle è stato perciò usato uno spessore di materiale le cui dimensioni sono state stabilite proprio svolgendo simulazioni basate sul picco di Bragg.

È da diverse settimane che io e i miei superiori stiamo sbattendo su un problema: misurando tre volte la stessa cosa, a distanza di pochi anni l’una dall’altra, non si ottiene lo stesso risultato. La procedura è identica per tutte e tre le misure e i calcoli sono stati ricontrollati più volte. Nulla sembrava giustificare delle alterazioni così pesanti del risultato.
Alla fine però ne siamo venuti a capo: gli spessori usati, sebbene sempre sufficienti a fermare tutte le particelle (secondo le simulazioni), erano diversi e, contrariamente a quanto atteso, fermavano un numero maggiore di particelle se la loro dimensione era esageratamente maggiore di quella necessaria. La realtà, come sempre, batte lo scienziato uno a zero e proprio lì dove credeva di sapere ormai già tutto.

Picco di Bragg

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