Una rosa nel cielo

Oggi aspettavo il mio “capo” nell’atrio del dipartimento di fisica. Su una delle tante bacheche era affissa la locandina di un incontro tenuto da un “esperto” di fenomeni paranormali. Uno di quelli che sanno sempre quale trucco c’è dietro l’illusionista e che hanno la risposta pronta per ogni cosa che sia fuori dal comune.

La locandina diceva qualcosa come “noi crediamo a tante cose così come le vediamo ma i sensi possono ingannare”. Vero, verissimo. Non fa una grinza. Mentre leggevo non ho però potuto fare a meno di pensare che alcune tra le più grandi scoperte scientifiche dell’antichità erano state classificate come “paranormale” prima di diventare la fortunata osservazione di un uomo di cultura. Cosa sarebbe stato di quelle scoperte se avessero avuto la meglio le spiegazioni tanto pronte quanto improbabili di chi riduce l’insolito ad una banale coincidenza?

Il problema di chi ha l’hobby di sbugiardare gli altri è che spesso valica il confine delle vere frodi, nelle quali il trucco c’è perché intenzionale, finendo per aggredire qualsiasi cosa non rientri negli schemi della normalità. Così se una persona vede qualcosa di insolito viene rapidamente liquidata senza neanche indagare seriamente sul fenomeno del quale ella è testimone. Se qualcuno venisse a dirmi di aver visto una rosa fluttuare nel cielo sarei tentato anche io di prenderla per matta, ma c’è un’onestà razionale che dovrebbe spingerci a verificare con l’esperienza quanto ci viene detto. Potremmo scoprire qualcosa di nuovo o, semplicemente, prendere un telescopio e vedere proprio una rosa in cielo.

Rosa nel cielo

 

Share

Interpolazioni

Circa quattro anni fa durante una lezione di “Fisica nucleare con sonde elettromagnetiche” il docente mostrò agli studenti un grafico estratto da un articolo scientifico. Nel grafico stavano, evidentemente disposti su una retta, i dati sperimentali che quegli autori avevano raccolto.

Retta

I ricercatori, osservando i dati sperimentali, conclusero che la legge che legava le due quantità sugli assi era di tipo lineare.

y = 0.7·x – 5

Qualche tempo dopo questo esperimento la tecnologia fece alcuni passi avanti e fu possibile estendere le misure al di là dei  limiti precedenti. Con grande sorpresa si scoprì che i dati sperimentali, in realtà, non ne volevano proprio sapere di stare su una retta:

Saturazione

Quindi la legge che univa le due quantità sugli assi non era per niente lineare, ma era un cosiddetto “gradino smussato”. I punti misurati nel primo esperimento continuavano a stare (correttamente) sulla curva, ma la conclusione dedotta a partire da una limitata conoscenza della realtà era sbagliata.

Sono poche le cose che l’umanità conosce in modo esteso: più ci si spinge nell’infinitamente piccolo o nell’infinitamente grande, più si va idietro o avanti nel tempo, più ci si spinge verso le bassissime energie o altissime energie e meno ne sappiamo. Il ricercatore onesto sa che può pronunciarsi solo su ciò che conosce e limitarsi a formulare discutibilissime ipotesi per quanto riguarda tutto il resto; e questo “tutto il resto” e enormemente grande e altrettanto oscuro.
Spesso le ipotesi e le teorie degli scienziati si trasformano in verità assolute quando passano nella bocca dell’uomo comune, con la conseguenza che ci si ritrova a litigare su cose delle quali non si conosce nulla. Stiamo attenti a come interpoliamo la realtà: corriamo il rischio di fare clamorosi errori.

Share

Castagne

Le hai volute le castagne, giusto? Sei voluto andare a raccogliere le castagne per averne un bel po’ a costo zero o no? Ti sei voluto riempire quel sacco con più castagne che potevi, no?

Ora prendi quel pesantissimo sacco e te lo trascini fino a casa.

Gli antichi, quando formulavano detti popolari, raramente sbagliavano: togliamoci il vizio di desiderare la botte piena e la moglie ubriaca. Ogni azione ha una conseguenza; ogni beneficio comporta dei sacrifici e, quando ciò non si verifica, c’è dietro il “trucco”: disonestà, prevaricazione, superficialità.
Oh… Ma questo non significa che la vita sia una costrizione o un continuo sacrificio per ottenere della felicità: quando si mette in conto ogni cosa, quando si comprende che la vita contiene sia il buon sapore delle caldarroste sia il loro peso nella bisaccia, non si può fare a meno di esserne grati, felici, soddisfatti. In tal caso anche il sacrificio diventa qualcosa da fare con piacere.

Castagne

P.S. Se la vogliamo dire tutta… Quand’ero bambino il mio babbo mi educava all’iniziativa nel mondo degli adulti dicendomi: «Nessuno ti da nulla in cambio di nulla» – che in un mondo di affaristi prevaricatori può anche esser vero ma che ho verificato non esser vero sempre, perché qualcosa (anzi molto) di completamente gratuito c’è. Basta guardarsi intorno.

Share

L’olio di Lorenzo

Un film che mi ha fatto molto riflettere per il suo alto contenuto di valori, la storia vera di Augusto e Michaela Odone e del loro figlio Lorenzo. All’età di cinque anni a Lorenzo viene diagnosticata l’adrenoleucodistrofia, malattia rara, dolorosa e mortale per la quale non esistevano cure. Mentre la malattia del bambino progredisce paralizzandolo e sottoponendolo a tormenti che egli sopporta eroicamente, Augusto e Michaela non si danno per vinti.

Una mamma ed un papà che conoscevano poco o nulla della medicina e della biochimica ma che, con una forza che definirei “sovrumana”, hanno affrontato di petto la situazione studiando ogni articolo scientifico che, anche marginalmente, poteva essere correlato alla malattia del figlio. Dopo aver addirittura organizzato il primo simposio internazionale sull’adrenoleucodistrofia, nonostante lo scetticismo e la reticenza dell’ortodossia accademica degli scienziati, gli Odone hanno sviluppato “l’olio di Lorenzo“, una mistura di acidi grassi che inibisce l’agente dannoso nella malattia (non ripara i danni ma ne evita di nuovi).

Si possono fare diverse riflessioni su questa storia.
A volte noi scienziati non ci mostriamo abbastanza aperti alla realtà mostrando, come prima reazione, uno scetticismo che si basa su un’eccessiva e mal riposta fiducia sulle sole conoscenze accademiche “certificate”. Anche chi non è scienziato si lascia andare, in alcuni casi, a questo genere di resistenza ma, come si apprende da questa storia, dare una minima occasione alla novità non è solo onesto ma è anche proficuo per tutti.
Nel film alcuni genitori esasperati si oppongono agli Odone perché ritengono più opportuno accelerare la morte del figlio per “porre fine alle sue sofferenze”. Inutile ribadire quale dei due atteggiamenti abbia effettivamente prodotto un grande beneficio per la collettività. Significative le parole di disprezzo scaturite dalla bocca di una stanca infermiera riferendosi allo stato di coscienza di Lorenzo: “non c’è nessuno in casa”. Lorenzo è morto all’età di 30 anni (molto più di quanto prospettato da un decorso non ostacolato della malattia) cosciente ed in grado di comunicare con le dita e gli occhi.
Ultimo ma non meno importante il coraggio e la combattività, di Lorenzo per primo e dei suoi genitori dopo. Il dramma, il male della malattia non sono l’ultima parola: questa storia è un caso notevole di una disgrazia che alla fine conduce a qualcosa di grande. Ascoltando i racconti di chi vive drammi simili si può intravedere la stessa carica di senso e di coraggio, la volontà e la forza di trasformare un dramma in un motivo di vita e di speranza.

L'olio di Lorenzo

Share

Esperimento con il bianchetto

Supponiamo che un vostro amico burlone abbia preso il libro che state leggendo e ve lo abbia restituito dopo aver passato uno strato di bianchetto sul nome di un personaggio del quale non avevate ancora letto nulla. Beh, non potete proprio sopravvivere all’ignoranza di quel nome, perciò vi armate con una lametta e cominciate a raschiare via il bianchetto. Bisogna però fare molta attenzione perché potreste portarvi via anche l’inchiostro.Segni di inchiostro

Dopo un po’ che raschiate appare qualche segmento di una lettera. Uhm… All’inizio vi sembrano segni senza senso. Qualcuno potrebbe anche dubitare che lì sotto vi possa mai essere stato un reale simbolo della vostra lingua e potrebbe anche dire che l’autore del libro, scrivendo un nome alieno, abbia messo macchie casuali di inchiostro. Fase uno: elementi sconosciuti che richiedono interpretazione.

OCR oDopo aver fissato le macchie per un po’, aiutandovi con il testo circostante, capite che la lettera dev’essere dell’alfabeto latino e la disposizione dei segni vi suggerisce che la lettera misteriosa sia una “o”. Qualcuno potrebbe, a questo punto, dichiarare chiusa la faccenda e passare alla lettera successiva. Fase due: teoria.

Bene! Avete una spiegazione che funziona ma, se non siete cattivi utilizzatori del rasoio di Occam, non potete non chiedervi se quei segni sono veramente una “o” o se avete invece preso una cantonata. Una spiegazione semplicissima e perfettamente funzionante non è per forza la migliore, quella che descrive la realtà, la verità.
Vi viene a trovare una vostra amica che vi dice: «Qui c’è un cerchio ma la lettera potrebbe acnhe essere una “q”». Avete due possibilità: ascoltare la vostra amica oppure prenderla per una scocciatrice che vi vuole dare torto sulla vostra bellissima teoria della “o”. Se non siete chiusi mentalmente vi metterete a raschiare intorno per cercare nuovi elementi. Fase tre: apertura mentale. Swgni di inchiostro

Se è vero che lì c’è una “q” allora, raschiando in basso a destra si dovrebbe trovare dell’inchiostro. Con molta fatica riuscite a raschiare un altro po’ di bianchetto ed ecco comparire un altro segno. Cavolo! Eravate proprio convinti che fosse una “o”. Qualcuno però potrebbe dire che il nuovo segno che avete trovato sia soltanto un minuscolo insetto che è rimasto invischiato nel bianchetto e perciò la spiegazione della “o” andrebbe bene ugualmente. Se non siete troppo orgogliosi e, ancora una volta, chiusi mentalmente non la pensate affatto così. Fase 4: verifica.

OCR qSiete certi che la lettera sia una “q”? Se avete imparato la lezione della “o” allora dovreste pensare che ciò che avete trovato può non essere una “q”, anzi, che potrebbero essere diverse lettere o che avete raschiato male. Se siete onesti ed umili allora non andrete a combattere con la dialettica chi vi dice che quei segni sono in realtà una “g” e che, magari, ve lo dice proprio perché quel libro lo ha già letto. Se siete ragionevoli non potete asserire con assoluta certezza che nei vostri segni non c’è e non ci sarà mai una “g” e che pertanto chi sostiene la “g” debba senz’altro sbagliarsi.
Non basta che una teoria spieghi bene i fatti noti e ne preveda alcuni non noti. La posizione onesta, di fronte alla natura, è quella di ammettere di non sapere e, soprattutto, di non negare una cosa, solo perché sembra improbabile o inverosimile, solo perché non rientra nei nostri schemi. Diceva Luigi Pirandello: «Le assurdità della vita non hanno bisogno di parer verosimili, perché sono vere. All’opposto di quelle dell’arte che, per parer vere, hanno bisogno d’esseri verosimili.»

OCR g Nessun libro è stato vilipeso per la realizzazione di questo post

Share

Chauvenet e dintorni

Non esistono quantità che possiamo misurare con precisione infinita: i nostri strumenti sono limitati e questo limite si trasmette ai risultati delle nostre misure. Questa precisione non si limita soltanto a definire il numero di cifre significative che il nostro numero, rappresentante la grandezza misurata, può avere dopo la virgola decimale; rappresenta ben di più. Il dato con cui dichiariamo l’imprecisione della nostra misura viene detto “errore” o “indeterminazione” ed ha un significato ben preciso ed importante.

Per semplificare, se misuro la lunghezza di un tavolo con un metro da sarta – che ha una divisione della scala ogni cinque millimetri – potrò dire che esso è lungo 150 centimetri e che la mia indeterminazione è di mezzo centimetro. Questo vuol dire che io non so se il tavolo è lungo 150.5 o 149.5 centimetri o una qualsiasi delle lunghezze che si trovano comprese tra questi due numeri.
Questa indeterminazione non è soltanto un valore “a corredo” della misura – ovvero un numero che dice soltanto quanto essa sia buona – perché può influenzare le nostre conclusioni. Se infatti una fabbrica di tavoli mi incaricasse di controllare che i suoi prodotti siano tutti conformi fra loro potrei dire che un tavolo lungo 150.5 centimetri ed uno lungo 149.5 centimetri sono della stessa lunghezza entro la mia indeterminazione di 0.5 centimetri. Nessuno infatti mi proibisce di dire che il valore “vero” – a noi sconosciuto – della lunghezza del tavolo sia per entrambi 150.0 centimetri.
Dichiarare l’errore della nostra misura e tenerne conto nelle nostre conclusioni è un atto di onestà e di umiltà.

Ci sono dei metodi matematici che sono qualche volta utilizzati per affinare i dati ma che si rivelano delle affilatissime armi a doppio taglio. Il criterio di Chauvenet, per esempio, è un test statistico che ci consente addirittura di rigettare dei dati misurati. Se usato bene, permette di localizzare un errore di battitura, per esempio. Se viene usato però su dati “buoni” può diventare un metodo di fare andare l’esperimento “come vorremmo che andasse” e non “come va realmente”. Può darci cioè il potere di imporre la nostra visione sulla realtà, con tutte le conseguenze che ciò comporta – comprese conclusioni forzate o addirittura fasulle.
Pensiamo per un attimo all’esperimento di Rutherford e a cosa sarebbe successo se avesse applicato Chauvenet a quei pochissimi anomali dati che rivelavano particelle deflesse in una direzione inaspettata: penseremmo ancora che l’atomo sia un panettone che ha per canditi protoni ed elettroni.

La statistica è una scienza che ha fornito decine di test per manipolare i dati; tutti armi a doppio taglio come il test di Chauvenet. Purtroppo esistono scienziati disonesti e davvero poco umili di fronte alla realtà che forzano i loro esperimenti alle loro teorie facendo uso massiccio di questi test. È così che appare magicamente un picco nelle fluttuazioni del rumore di fondo oppure che una misura poco significativa diventa invece la dimostrazione di una teoria. Non è molto diverso da chi sente messaggi in codice sussurrati nelle canzoni dei Beatles.
Le conseguenze di questo “dogmatismo” scientifico (deve andare così perciò dev’essere così) sono terribili: va a finire che tutti ritengano vero qualcosa che ancora non è verificato. Una misura ben fatta è una misura già così palese che non ha bisogno di test statistici per aumentare la sua validità. Facciamo attenzione: non tutto ciò che è scientifico può esser preso per oro colato.

 

Imbrogliare coi numeri

Robin Williams cambia un 3 in 8 nel film Mrs. Doubtfire

Share

Scherzo da fisico

Sappiamo che il carbonio 14 è un isotopo dello stabilissimo cugino carbonio 12 e sappiamo anche che è uno di quegli isotopi che ci entrano in corpo e ci decadono dentro senza che noi lo percepiamo. Durante la nostra esistenza lo rinnoviamo continuamente all’interno del nostro corpo nutrendoci e respirando (viene prodotto nell’alta atmosfera); solo con la morte il rinnovo cessa e la quantità di carbonio 14 comincia a diminuire.

Supponiamo allora di misurare la percentuale di carbonio 14 in un frammento di materia organica dando i risultati a due persone: Andrea e Piero. Andrea, che ragiona secondo un principio rigido e chiuso, conclude che, entro i margini di errore, quel frammento è vecchio di un certo numero di anni. Piero invece non fa il passo più lungo della gamba, ma si limita a dire che una certa percentuale di isotopo è compatibile con un corrispondente periodo di tempo dalla morte. La differenza tra i due sembra impercettibile ma è fondamentale.

Se io, senza dire nulla, prendessi un osso di dinosauro e lo bombardassi con un certo fascio di particelle di una certa energia per poi farlo datare ad Andrea e Piero, il primo mi direbbe che gli ho portato un falso, il secondo si limiterebbe a dire che ha misurato una percentuale di isotopo incompatibile con il triassico. Mentre il primo giunge ad una conclusione falsa per aver chiuso le sue ipotesi, il secondo tiene sempre bene a mente che la datazione ha senso se e solo se nulla è intervenuto sul reperto ad eccezione dello scorrere del tempo. Andrea, non conoscendo tutta la storia del reperto – compreso il mio scherzo da fisico nucleare – ha dato per scontate una serie di ipotesi perché non lascia alcuna apertura verso fenomeni a lui ignoti.

Ci sono due modi di considerare la scienza, i suoi risultati e la conoscenza in nostro possesso. Uno è rigido; l’altro è plastico. Il primo è presuntuoso e precipitoso; il secondo è umile e riflessivo. La differenza sta nel rapporto che abbiamo con l’ignoto e nel valore che diamo alle informazioni che conosciamo.
Noi possiamo misurare e conoscere solo una parte della realtà; per tutto il resto, che non conosciamo, è regola di buon senso non vantare certezze.

Curva di calibrazione del carbonio 14

Share

I sapori del neutrino

Tra le particelle più piccole delle quali si ha notizia c’è il neutrino. Si narra che questo termine fu coniato da Enrico Fermi quando, trattando il decadimento beta, dovette dare un nome ad una particella nuova che non aveva carica elettrica come il neutrone ma che era estremamente piccola. Del neutrino ancora non si conosce proprio tutto perché è la particella più sfuggente che esista – servono enormi apparati per riuscire a rivelarne qualcuno – ma si sa che ne esistono di tre tipi detti “sapori“: neutrino elettronico, neutrino muonico, neutrino taonico.

Questi tre “sapori” sono però tre modi di manifestarsi della stessa entità: si è infatti scoperto che ogni neutrino si comporta come se fosse uno schizzofrenico, oscillando una “personalità” all’altra. Succede – ad esempio – che all’interno del Sole vengano prodotti solo neutrini elettronici ma, a causa del diverso tempo necessario ad emergere dalla stella e a raggiungere la terra, una parte di questi si trasformi in neutrini muonici.

C’è un’altra cosa che si comporta quasi come i neutrini – o peggio – e che possiamo sperimentare personalmente quasi tutti i giorni: anche le parole hanno infatti un “sapore”. Se chi parla è stato etichettato in qualche modo, qualsiasi parola egli dica potrà avere sapore positivo o negativo in base all’idea che l’ascoltatore si è fatto di quella determinata etichetta. Se a parlare è una persona che ci sta antipatica o che fa parte di quel tipo di gente che non ci piace potrà dire anche la cosa più giusta del mondo, ma avrà sempre torto.

I preconcetti, la chiusura, l’etichettare le persone possono cambiare ingiustamente il “sapore” delle loro parole trasformando un discorso, possibilmente vero e giusto, in un trattato indegno. L’ascoltatore onesto non giunge mai alle conclusioni prima di aver sentito parlare l’altro; non mette etichette a nessuno e, soprattutto, non pensa per categorie.

Oscillazioni di neutrino

Share