Articoli da aprile 2011



Zucche per l’acqua

Esiste un particolare tipo di zucche che non viene coltivato per essere mangiato. Si tratta della Lagenaria siceraria, un rampicante parente delle zucchine che produce dei frutti con due lobi – uno superiore più piccolo e uno inferiore più grande – separati da un collo più o meno stretto. La peculiarità di questi frutti è che, raccolti per tempo e lasciati essiccare completamente, si svuotano completamente della polpa e induriscono la buccia esterna in modo del tutto automatico. Quando il frutto è pronto, agitandolo produce il suono dei semi che all’interno sono liberi di muoversi. A questo punto basta praticare un foro sulla sommità per permettere la fuoriuscita dei semi e poi richiuderlo con un tappo di sughero per ottenere una borraccia per l’acqua.

Si dice che questi frutti siano fra i primi ad essere stati utilizzati dall’uomo. Gli impieghi che queste zucche hanno trovato sono innumerevoli: oltre a contenitori di fluidi, sono usate come cassa di risonanza per strumenti musicali e addirittura come lampade ornamentali o come nido per alcuni uccelli che si nutrono di zanzare (vedi qui).

Non è proprio una meravigliosa coincidenza che esista un frutto del genere? Sembrano essere proprio la risposta scontata e naturale al bisogno dell’uomo di portarsi da bere nelle lunghe camminate. C’è da restare stupiti da come questi frutti a forma di borraccia si adattino perfettamente, naturalmente, automaticamente – quasi come una predisposizione programmata – all’esigenza umana.

borraccia di zucca vuota

Share

Fossili 2

Qualche escursionista fortunato, passeggiando per un passo di montagna, avrà avuto l’occasione di trovare qualche fossile. Il genere di fossili che si trovano in montagna sono di tipo marino: conchiglie; scheletri di pesci etc. Per noi del ventunesimo secolo questo fatto non è però stupefacente quanto poteva esserlo per gli uomini di qualche secolo fa.
Anticamente il ritrovamento di conchiglie sulle Dolomiti era associato al diluvio universale: cosa mai poteva aver portato delle conchiglie sulle montagne, il luogo perfettamente in antitesi con il mare? Sul fatto però che una volta, proprio dove ora ci sono montagne, ci fosse il mare gli antichi non si sbagliavano.

Anche qualche secolo fa esistevano gli scettici incalliti, di quelli che pur di negare una risposta, giusta o sbagliata che sia, finiscono per anteporre una risposta ancora più sbagliata. Del caso dei fossili ne avevo già parlato qualche tempo fa, proponendo questo comportamento come vicenda ipotetica ma mai mi sarei immaginato che quanto fantasticavo fosse realmente accaduto.
Il pensatore Voltaire sostenne infatti che c’erano state delle persone – pellegrini che usavano la conchiglia come segno di riconoscimento – ad aver portato le conchiglie sulla montagna, magari proprio per costruire una montatura.

Sull’origine delle conchiglie ritrovate sulle Dolomiti si sbagliavano sia Voltaire che i suoi oppositori, ma è interessante osservare come il pregiudizio di Voltaire e, se permettete, il suo atteggiamento ideologico verso i suoi oppositori lo abbia portato a costruire un’ipotesi sbagliata che, tra l’altro, accusava ingiustamente delle persone che non c’entravano nulla.
L’ideologia, mescolata ad un carattere accusatore, produce dei mostri. Quando trasformiamo un soggetto – o gruppo o associazione – nel nostro nemico e gli muoviamo battaglia “a prescindere”, finiamo con il calpestare gli innocenti sotto gli zoccoli scintillanti del nostro cavallo bianco e diventiamo, non solo condottieri del massacro, ma anche grandi ipocriti.

Cassetta fossileRingrazio Riccardo per la soffiata (e, in ritardo, per i filosofi a calcio)

Share

Mondo caotico

Facciamo un esperimento concettuale: immaginiamo un mondo dove la fisica non sia possibile.
In questo ipotetico universo ogni fenomeno è equiprobabile rispetto agli altri, cioè non esiste spettro di probabilità diverso dalla statistica piatta e uniforme. Ogni particella può essere positiva, negativa o neutra in modo del tutto casuale e può cambiare stato senza nessuna ragione. Sistemi possono essere legati o slegati non per la presenza di un potenziale ma perché due corpi possono respingersi o formare un tutt’uno senza motivo, perché legarsi è ugualmente probabile a respingersi.

Immaginiamo dunque un universo dove, sì, ci siano pianeti e forme di vita ma dove l’unica legge è quella della statistica uniforme. In questo universo i pianeti sarebbero agglomerati di materia che per caso, in quel momento, è nello stato di aggregazione ma un domani potrebbe in parte o interamente cambiare stato e dissociarsi. Saremmo attaccati al suolo con la stessa probabilità di fluttuare nello spazio e, soprattutto, due eventi non si ripeterebbero mai né per grandi linee, né nel dettaglio se non perché statisticamente si sono già verificati anche tutti gli altri fenomeni. Tutto sarebbe casuale, tutto sarebbe impossibile da studiare e comprendere.

Esiste un qualche motivo per il quale l’Universo non debba essere così fatto? Eppure noi riusciamo a studiarlo, a carpirne le leggi, a leggere nella sua struttura dei meccanismi e delle ripetitività. Perché allora la natura è costituita da leggi inviolabili, da processi ripetibili, da identità determinate? Una cosa è certa: è necessaria un’intelligenza per comprendere e studiare la natura e l’Universo, come è necessario essere in grado di leggere per comprendere il contenuto di un libro. Lì dove le leggi sembrano assenti possiamo dire che ci sia statistica piatta oppure siamo noi a non sapere ancora leggere?

Intelligibilità

Share

La fine del seme

Era un frutto succulento ma è stato barbaramente sbucciato, tagliato, mangiato. Alla fine del supplizio era rimasto solo un seme gettato, scartato, lanciato al suolo. È sepolto, la terra lo schiaccia, la luce non lo raggiunge. È finito.

Eppure… eppure c’è come una sensazione che non sia finito tutto lì, che dopo tutto quello che è accaduto ancora manchi qualcosa. Anzi, manca la cosa più importante, la cosa più incredibile, quella svolta improvvisa che dà un senso a quanto accaduto.

Seme germoglio

Share

Ammoniaca

Si vede spesso nei film o nei telefilm la classica torta lasciata sul davanzale della finestra. Questa procedura non serve a farla “raffreddare” come sembrerebbe e non è neanche una procedura scaramantica di qualche tipo. Allora perché lasciare i propri dolci a disposizione di insetti, ladri e burloni?

Il motivo di questa procedura sta nel lievito. Quando si utilizza un lievito organico, come il lievito di birra, si aggiungono dei particolari batteri all’impasto. Questi batteri, se lasciati in ambiente sufficientemente caldo, si moltiplicano, mangiano gli zuccheri dell’impasto e producono anidride carbonica (CO2). Con la cottura poi l’impasto cristallizza e i batteri muoiono. La lievitazione biologica richiede però tempi lunghi: bisogna lasciare l’impasto sotto le coperte per gonfiarsi al calduccio.

L’alternativa al lievito biologico è il lievito chimico. Uno di questi è il bicarbonato di ammonio (NH4)HCO3 che permette di ottenere della CO2 senza ridurre gli zuccheri della pietanza (e probabilmente è per questo che si usa per i dolci). Il problema è che questo tipo di lievito non produce solo anidride carbonica ma anche ammoniaca (NH3). È per questo che il dolce viene messo a prendere aria subito dopo la cottura: deve mandare via l’ammoniaca. E anche per questo che gli affamati in cerca di uno spuntino facile non mangiano mai i dolci abbandonati sul davanzale: avrebbero un odore ed un sapore orribile – ho fatto anche io questa esperienza con alcuni dolci appena comprati in pasticceria.

Per poter gustare il dolce senza inconvenienti bisogna aspettare che l’ammoniaca sia andata via tutta o in gran parte. Il golosone precipitoso ha perciò una brutta sorpresa.
Ci sono molte cose, nella vita, nelle quali non bisogna correre né esagerare. C’è un tempo per ogni cosa e bisogna saper aspettare prima di concedersi certi piaceri perché si corre altrimenti il rischio di rimanere con l’amaro in bocca. Rispettare i tempi sarà anche uno sforzo di volontà ma certo assicura il meglio a tempo debito.

Ammoniaca per dolci

Share

Filosofi a calcio

In un vecchio esilarante filmato dei Monty Phyton i più grandi filosofi si trovano a disputare una partita di calcio. I filosofi vengono dotati di palloni, sono schierati, alcuni palleggiano ma…
… ma nessuno di loro sa quale sia lo scopo del gioco. Passano l’intera partita riflettendo, discutendo e spremendosi le meningi.

Forse se avessero visto giocare un professionista non avrebbero perso tutto quel tempo o forse no. Vedere giocare qualcuno può non servire a nulla se ci si concentra sul puro ragionamento e non si trasforma quanto visto in una osservazione. Il ragionamento privo della componente osservativa può condurre a concludere che i giocatori professionisti stiano sbagliando e non abbiano capito il gioco, mentre il mio ragionamento isolato, per motivi che mi appaiono logici, diventa per me la vera soluzione al problema. In questo caso però sono io a sbagliarmi, ma non me ne rendo conto.

E se qualcuno avesse spiegato loro le regole del gioco e l’obiettivo della partita? Potevano sempre non credere, ritenendo le regole del gioco una serie di imposizioni infondate. Anzi, a lungo andare la scarsa comprensione delle regole, la chiusura mentale e la globale sfiducia verso chi sta spiegando le regole possono condurre ad assurde dietrologie, spesso alimentate proprio da quel ragionamento apparentemente molto logico ma completamente chiuso rispetto all’osservazione. In questo caso chi spiega le regole si trasforma da aiuto essenziale ad oppressore, ladro, sfruttatore, assetato di potere etc. rischiando anche la pelle.

Noi che siamo gli spettatori e conosciamo più o meno tutti le regole del gioco, sappiamo cosa significhi giocare a calcio e ci sembra pure una cosa ovvia. Chi invece non conosce il gioco, parlando con – o guardando – noi, può pensare di parlare con uno che sta delirando o non riuscire completamente a capire quel che gli viene detto interpretando, in base al proprio ragionamento isolato, le parole altrui in discorsi completamente diversi che assecondino l’idea che egli si è fatto del gioco. Tutto ciò non succede certo con il calcio, come nel caso ipotetico del video, ma per molte cose importanti della vita sì; e perdere la partita della vita per non aver capito il gioco per tempo è la più grande disfatta.

Share

Massimi

Chiunque abbia studiato matematica si è trovato alle prese con lo studio di funzione, un esercizio che ha tra le sue parti più importanti la ricerca dei massimi e dei minimi. Una funzione può avere diversi massimi, ne può avere alcuni alla stessa altezza o può averne di altezze diverse. Ne può avere uno più alto di tutti, in questo caso si chiama “massimo assoluto” mentre gli altri massimi sono “relativi“. Per fare un esempio guardiamo la figura che segue: vediamo quattro massimi relativi, uguali a due a due, e un massimo assoluto, nel centro.

Massimo assoluto monodimensionale

Supponiamo che la nostra funzione sia un tentativo di capire matematicamente – o scientificamente – quale strada dobbiamo percorrere nel labirinto del quale ho parlato qualche giorno fa per raggiungerne l’uscita. Cosa succede se la funzione che stiamo considerando per trovarne i massimi non è altro che soltanto una parte della funzione vera? Se, ad esempio, le variabili che dobbiamo considerare sono due e non una potremmo trovarci nella situazione descritta dalla figura che segue.

Massimi bidimensionale

Quello che sembrava un massimo assoluto, ora è solo un massimo relativo perché spostandosi lungo la variabile y si trova un massimo ancora più alto. Matematicamente il problema si è complicato e la ricerca del massimo non è più banale e non è sempre possibile. Considerare una sola delle variabili può illuderci di aver trovato il massimo quando in realtà siamo solo sul fianco della montagna, o peggio, su un minimo rispetto ad altre variabili.

Possiamo allora trovare il nostro massimo ben sapendo che ogni aspetto della nostra esistenza è una variabile da considerare? Se già ci sembra non banale risolvere il problema usando solo due variabili, possiamo riuscirci considerandone un grandissimo numero? L’uomo ce la può fare? La storia insegna che c’è sempre qualche variabile che scappa, qualcosa che viene tagliato fuori, e quando questo accade si chiama ideologia.
Tanti filosofi, scienziati, intellettuali e persino interi regimi hanno provato a dire all’uomo qual era la strada giusta da percorrere basando i loro modelli su un ristretto numero di variabili e alla fine hanno sempre visto crollare le loro utopie. I loro paradisi sintetici sono crollati perché basati su fin troppi ragionamenti a porte chiuse, su uno sforzo di razionalità chiuso di fronte alla totalità delle richieste del cuore umano (e non solo quelle di salute, ricchezza e piaceri vari). Trovare il massimo è per l’uomo un’impresa impossibile se non si osserva anche il più insignificante moto del cuore, ovverosia senza quella sensibilità che svela la segnaletica indicante l’uscita con estrema precisione.

Share

Supposizioni

Siamo più o meno tutti abituati all’idea di una scienza abbastanza “rigida” che avanzi con certezza e passo sicuro trasformando l’oscurità dell’ignoto in luminose descrizioni della natura. Questa idea di scienza – che mi chiedo chi o cosa l’abbia mai potuta inculcare nella gente – svanisce proprio quando si comincia a lavorarci, anzi, appena la si comincia a studiare. Sicurezza e certezza ce n’è ben poca anche nell’esercizio più banale. Non esiste praticamente dimostrazione scientifica o esercizio che non contenga ipotesi e supposizioni.

Una cosa banale: la caduta di un oggetto al suolo. Si deve assumere che l’attrito con l’aria sia trascurabile; si deve ipotizzare che l’oggetto trasli soltanto e non si metta a ruotare; si deve teorizzare di trovarsi in una geometria piana quando in realtà siamo su una sfera; si deve premettere che l’accelerazione di gravità sia effettivamente costante, quando si riduce con l’altezza; si deve supporre che l’accelerazione di gravità nel luogo dove ci troviamo sia la stessa che è scritta sul libro (infatti bisogna supporre che la Terra sia omogenea per poterlo dire); si deve presumere che la legge del moto uniformemente accelerato abbia tutti i termini del suo sviluppo in serie (tranne i primi tre) trascurabili etc.
Insomma, una decina di supposizioni solo per sapere quanto ci sta una penna caduta dal tavolo a toccare il suolo. Per non parlare del calcolo del punto esatto di contatto al suolo…

La scienza avanza per ipotesi, cose non dimostrate e non provate che però sono accettate come vere, reali, effettive. Il metodo scientifico non va oltre l’ignoranza della scienza stessa e perciò deve dare per buone alcune cose, deve cioè fare affidamento alla ragionevolezza. Che qualcosa sia ragionevole non significa obbligatoriamente che sia dimostrabile ma significa che l’ipotesi che facciamo è pensata, “ragionata”, valutata razionalmente. La ragione mi dice che l’America esiste anche se non ci sono mai stato; che quella pallina luminosa nel cielo è il pianeta Giove; che mia madre non usi avvelenare il cibo con il quale mi nutre in virtù dell’amore materno che ha per me e l’amore non si dimostra con una misura o con uno sforzo di logica.

Gli assunti ragionevoli che facciamo, si rivelano spesso corretti, veritieri. Nella vita di tutti i giorni ci sono svariate ipotesi – anche non scientifiche – che sono ragionevoli, alcune delle quali di importanza cruciale per il nostro agire e per il senso che diamo a noi stessi e quanto ci circonda.

H S fluttuazioni cosmiche

Share

Acqua limpida

Mentre tornavo a casa, ieri, ho sentito provenire dal lato destro della strada un rumore come di una cascata d’acqua. Voltandomi ho visto che da un grosso tubo fuoriusciva dell’acqua per riempire un bacino per l’irrigazione. Ricordavo che nei paraggi vi fosse una grande vasca ma l’ultima volta che c’ero stato, un telone di plastica copriva tutto e non si poteva vedere né il fondo né quanta acqua vi fosse. Nel punto in cui ero ieri vedevo solo il fluido cristallino fuoriuscire dal tubo perciò ho pensato che se qualcuno stava riempiendo la vasca, il telone doveva essere stato rimosso. Mosso da curiosità sono andato quindi a vedere com’era il fondo della grossa vasca a cielo aperto.

Quando però mi sono avvicinato abbastanza ho visto che l’acqua pura, cristallina e limpida si riversava in un putrido acquitrino melmoso e cosparso di roba marrone galleggiante. Per quanta acqua pulita vi si potesse versare quel bacino sarebbe rimasto sempre sporco.
Certe persone sono come quel bacino: da un lato si riversa acqua limpida; dall’altro esce melma putrida. Occorre far scorrere molta acqua pulita prima che il bacino sia lavato del tutto e se non si lascia defluire fuori la sporcizia, l’acqua all’interno resta sempre sporca. Nessuno, infatti, berrebbe da quel bacino sapendo che contiene ancora dell’acqua contaminata, anche se diluita mille volte.

Spesso, trovarci di fronte all’acqua putrida ci provoca allontanamento – lasciare le cose come stanno – oppure reagiamo in modo uguale e opposto, diventando noi un’ulteriore sorgente di acqua sporca che inevitabilmente peggiora la situazione. L’unico modo per depurare la cisterna è quella di lasciare defluire via l’acqua sporca e riversare, al contempo, acqua pulita per non lasciare il vuoto perché il vuoto è come un terno al lotto: può riempirsi di acqua limpida come di melma putrescente – dipende da cosa trova per prima. Cercare di versare acqua limpida è lungo e faticoso: ne occorre tanta e occorre versarla per molto tempo facendo attenzione a non farsi inquinare da ciò che defluisce fuori.

Acqua sporca

Share

Il paradosso del salvatore

Trigun è un anime di diversi anni fa ambientato in un futuro “far west” su un altro pianeta. Il protagonista, Vash the stampede, detto anche “il tifone umanoide” si ritrova ad affrontare i banditi del nuovo far west con l’intento di salvare sia le vittime, sia i carnefici. Ciononostante la popolazione lo teme e lui è il maggiore ricercato.

In una delle puntate vicine alla conclusione della serie viene proposto il paradosso del salvatore - termine che mi sono inventato per descrivere il problema. Vash bambino osserva una farfalla impigliata sulla tela di un ragno il quale le si avvicina per divorare la preda. Come agire? Se si libera la farfalla il ragno morirà di fame; se non si libera la farfalla il ragno la ucciderà. In entrambi i casi c’è sempre una vittima.

Trigun cicatriciNella stessa scena – permettetemi lo spoiler – il fratello cattivo di Vash propone la sua soluzione uccidendo il ragno e manifestando quello che diventerà il suo progetto malvagio: estinguere la razza umana perché, come il ragno, giudicata dannosa per il cosmo. La soluzione di Vash è invece il sacrificio: il suo corpo è pieno di cicatrici; martoriato e sfigurato da tutte le volte che si è messo in mezzo per salvare tutti. Difendendo sia l’innocente che il colpevole si è beccato il male al posto loro.
Alla fine – permettetemi quest’altro spoiler – capisce che questo suo agire non è sufficiente. La sfida più importante non è la difesa incondizionata di buoni e cattivi ma è educativa: bisogna insegnare all’aggressore una vita ordinata, retta, degna, orientata al bene. A cominciare dal fratello cattivo.

Un anime che lascia molto spazio alla riflessione: dal senso del male al problema educativo; dal tipico fraintendimento dell’operato dei buoni al valore del sacrificio.

Share
Pagina 1 di 212