Semaforo lampeggiante

A pochi metri da casa mia c’è un incrocio. È il punto di intersezione tra una strada larga e poco trafficata ed una strada più stretta ma molto più trafficata perciò è un incrocio un po’ sofferto: il semaforo ha sempre i tempi sballati così le autovetture sulla strada stretta ma trafficata si accumulano spesso in lunghe file mentre per la strada larga non passa neanche la polvere sollevata dal vento. Questa situazione, oltre ad aumentare le code, spinge anche alcuni automobilisti a scavalcare la fila invadendo la corsia del senso opposto di marcia e, infine, a passare con il rosso.

Una persona a me molto cara che fu un educatore nella mia adolescenza, quelle volte che mi riaccompagnava a casa, quando vedeva che quel semaforo era lampeggiante o spento diceva: «Di male in meglio». In effetti un semaforo scalibrato e generatore di traffico è una bella grana un po’ per tutti, perciò ci si sente molto più liberi e felici quando siamo noi a scegliere il momento di attraversare l’incrocio. Questa libertà si paga però a caro prezzo.

Come ogni mattina, oggi camminavo con il mio libro aperto fra le mani verso quell’incrocio, dove il semaforo è lampeggiante da circa una settimana. Girato l’angolo mi accorgo di due autovetture ferme proprio nel centro dell’incrocio: praticamente un’auto ad alta velocità che proveniva dalla strada larga ha centrato la fiancata di un’altra macchina che veniva – da destra – dalla strada stretta.
Ecco fatto: traffico al quadrato.
E non è la prima volta: è successo di automobili che sono finite completamente fuori strada rovinando addosso ad altri veicoli parcheggiati o penetrando all’interno dei cortili dei condomini limitrofi.

Noi siamo convinti che il “fastidio” che deriva da una norma, un precetto, un’imposizione, una limitazione della nostra libertà non valga il beneficio della nostra sicurezza, della nostra integrità e, in ultima analisi, del nostro bene. Anzi vogliamo sentirci più liberi e presumiamo di essere così bravi, giudiziosi e coscienziosi da essere sempre in grado di usare tutte le nostre libertà senza mai produrre conseguenze, da saper badare benissimo da soli al nostro bene (magari pensando che il nostro bene sia bruciare un semaforo per arrivare in orario piuttosto che salvaguardare la nostra stessa vita).
C’è anche chi si crede così in gamba da essere libero di passare con il rosso – “finché non mi vede il vigile passo, tanto questo rosso non lo condivido” – almeno finché non viene lo sbaglio fatale. Gli avvertimenti ci sono, siamo liberi di ignorarli contro il nostro bene.
È ovvio che una regola applicata sterilmente, come il semaforo che non fa bene il suo lavoro, ci faccia supporre che la regola (o il suggerimento di comportamento) non sia valida o sia insensata, ma ciò che dovremmo contestare non è il principio della regola (la presenza del semaforo) quanto la sua applicazione non ragionevole perché tanto è eccessiva la libertà data dal semaforo spento, quanto è opprimente l’imposizione non ragionata di un segnale rosso inutile.

Semaforo lampeggiante

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Errore

Nessuno è perfetto; tutti si può sbagliare; errare è umano. Sbagliare è nella natura umana: non esiste essere umano al mondo che non abbia mai commesso il più piccolo errore. Se c’è qualcuno che in apparenza sembra non sbagliare mai, lo identifichiamo subito come una persona non umana, un “robot”, uno “scherzo della natura”.

Non c’è attività umana che sia esente da errore. Spesso sbagliamo così lievemente che non produciamo danno, altre volte l’errore produce danni enormi anche se si tratta di una sciocchezza, magari una differenza impercettibile. Ma se qualsiasi cosa facciamo o pensiamo può contenere un errore, come può, ciascuno di noi ritenere di essere capace di giungere ad una conclusione definitiva in modo totalmente autonomo e indipendente?

Oggi si sente spesso parlare della facoltà di poter decidere autonomamente le proprie regole di vita, i propri standard, il proprio personalissimo metro di giudizio. Se l’errore è una cosa ineliminabile della natura umana, come possiamo presumere che una scelta completamente autonoma e, in ultima analisi, isolata possa condurre ad una conclusione corretta? Se neanche riunirsi in gruppi di lavoro può evitare l’errore, come è possibile confidare solamente sulle proprie finite capacità o sulle capacità finite dell’umanità tutta?
Una maniera di districarsi forse c’è ma bisogna saper accettare che una soluzione ad un nostro problema possa giungere dall’esterno: unire al dubbio per le proprie certezze, l’esperienza, la verifica sperimentale e l’osservazione della realtà, senza pregiudizi. Verificare con la prova diretta se una certa conclusione fa realmente vivere meglio o se nasconde conseguenze pericolose.

Correzione

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