Mercurio

Prima che il mercurio fosse bandito dai prodotti di consumo, termometri e barometri erano parenti stretti. Nel termometro il mercurio racchiuso in una ampolla di forma allungata si dilatava per effetto della temperatura segnandone, con il suo livello, il valore. Nel barometro è l’aria a spingere il mercurio all’interno di un tubo vuoto finché la pressione della colonna di fluido non equivale a quella esterna.

Ad ogni differente temperatura corrisponde un diverso livello del mercurio nel termometro e ad ogni pressione corrisponde un diverso livello del mercurio nel barometro – entro i limiti massimi e minimi e considerando strumenti funzionanti. C’è quindi una corrispondenza tra le grandezze dell’ambiente come la temperatura e la pressione ed il livello del mercurio.
L’esistenza di questa corrispondenza non comporta però che il vincolo che lega la grandezza misurata allo strumento sia “a doppio senso”. Non è il livello del mercurio a modificare l’ambiente ma l’esatto contrario.

La logica è come il mercurio del barometro che cambia il suo livello con il tempo ma non è capace di far cambiare il tempo modificando il suo livello. Essa è uno strumento per indagare il reale e il vero ma un salto logico che non tiene conto della realtà è come un barometro che non segna la pressione corretta; è come un termometro che pretende di imporre all’ambiente circostante la temperatura che segnala. Ci illudiamo che la realtà sia come ci dice la nostra deduzione logica quando dovrebbe essere essa a plasmarsi in base all’osservazione della realtà.
Una delle realtà che è più facile ignorare – tralasciare, trascurare – nei nostri salti logici è il cuore dell’uomo: quando una teoria ignora un parametro non trascurabile può rivelarsi fallimentare; può diventare un sillogismo falso.

Barometro a mercurio

Share

Semaforo lampeggiante

A pochi metri da casa mia c’è un incrocio. È il punto di intersezione tra una strada larga e poco trafficata ed una strada più stretta ma molto più trafficata perciò è un incrocio un po’ sofferto: il semaforo ha sempre i tempi sballati così le autovetture sulla strada stretta ma trafficata si accumulano spesso in lunghe file mentre per la strada larga non passa neanche la polvere sollevata dal vento. Questa situazione, oltre ad aumentare le code, spinge anche alcuni automobilisti a scavalcare la fila invadendo la corsia del senso opposto di marcia e, infine, a passare con il rosso.

Una persona a me molto cara che fu un educatore nella mia adolescenza, quelle volte che mi riaccompagnava a casa, quando vedeva che quel semaforo era lampeggiante o spento diceva: «Di male in meglio». In effetti un semaforo scalibrato e generatore di traffico è una bella grana un po’ per tutti, perciò ci si sente molto più liberi e felici quando siamo noi a scegliere il momento di attraversare l’incrocio. Questa libertà si paga però a caro prezzo.

Come ogni mattina, oggi camminavo con il mio libro aperto fra le mani verso quell’incrocio, dove il semaforo è lampeggiante da circa una settimana. Girato l’angolo mi accorgo di due autovetture ferme proprio nel centro dell’incrocio: praticamente un’auto ad alta velocità che proveniva dalla strada larga ha centrato la fiancata di un’altra macchina che veniva – da destra – dalla strada stretta.
Ecco fatto: traffico al quadrato.
E non è la prima volta: è successo di automobili che sono finite completamente fuori strada rovinando addosso ad altri veicoli parcheggiati o penetrando all’interno dei cortili dei condomini limitrofi.

Noi siamo convinti che il “fastidio” che deriva da una norma, un precetto, un’imposizione, una limitazione della nostra libertà non valga il beneficio della nostra sicurezza, della nostra integrità e, in ultima analisi, del nostro bene. Anzi vogliamo sentirci più liberi e presumiamo di essere così bravi, giudiziosi e coscienziosi da essere sempre in grado di usare tutte le nostre libertà senza mai produrre conseguenze, da saper badare benissimo da soli al nostro bene (magari pensando che il nostro bene sia bruciare un semaforo per arrivare in orario piuttosto che salvaguardare la nostra stessa vita).
C’è anche chi si crede così in gamba da essere libero di passare con il rosso – “finché non mi vede il vigile passo, tanto questo rosso non lo condivido” – almeno finché non viene lo sbaglio fatale. Gli avvertimenti ci sono, siamo liberi di ignorarli contro il nostro bene.
È ovvio che una regola applicata sterilmente, come il semaforo che non fa bene il suo lavoro, ci faccia supporre che la regola (o il suggerimento di comportamento) non sia valida o sia insensata, ma ciò che dovremmo contestare non è il principio della regola (la presenza del semaforo) quanto la sua applicazione non ragionevole perché tanto è eccessiva la libertà data dal semaforo spento, quanto è opprimente l’imposizione non ragionata di un segnale rosso inutile.

Semaforo lampeggiante

Share

Non è tutto vero ciò che è semplice

Nel film “Contact” di Robert Zemeckis (1997) la protagonista si ritrova, dopo varie vicissitudini, a sostenere un avvenimento della quale è l’unica testimone e per il quale non è in grado di fornire altra prova se non la sua stessa testimonianza. La spiegazione più “semplice” che il mondo scientifico dà all’accaduto è che sia stato tutto una colossale truffa. In realtà lo spettatore, che “ha visto tutto”, sa che la spiegazione della protagonista è vera e sa anche che una telecamera che registra in pochi millesimi di secondo un rumore di diciotto ore è una prova da non rigettare.
Il film mostra come, ignorando o rigettando alcuni elementi che sono in realtà validi, sia possibile giungere a conclusioni totalmente errate.


Spoiler: consiglio di non guardare a chi non vuole rovinato il finale del film.
Il volume è un po’ basso ma spero si senta lo stesso.

Il mondo della scienza non è nuovo a questo tipo di approccio fallace: lo abbiamo visto per quanto riguarda i fossili, ma cose analoghe sono successe per le meteore, i microrganismi e, perfino, il concetto stesso di “Big Bang”. Pensiamo, per esempio, all’esperimento di Rutherford: bombardare con particelle alfa un foglio d’oro e osservare i bagliori prodotti su uno schermo fluorescente dall’impatto di queste particelle. La maggior parte dei bagliori sono osservati dall’altra parte del foglio, evidenziandone l’attraversamento da parte delle particelle alfa. Una piccolissima quantità di bagliori viene però vista all’indietro: la spiegazione più “semplice” sarebbe quella di imputare questi ultimi bagliori a rumore di fondo e perturbazioni dall’esterno. Avessimo dato credito a questa spiegazione, penseremmo ancora che l’atomo sia un panettone con gli elettroni e i protoni al posto dei canditi. Come invece sappiamo, la spiegazione vera è più complessa: un nucleo; un grande spazio vuoto; elettroni che orbitano all’esterno.

Il Rasoio di Occam è il principio metodologico, formulato nel XIV secolo da Guglielmo di Occam, secondo il quale la spiegazione di un fenomeno è tanto migliore quanto minori sono le ipotesi ad essa necessarie. Potrebbe anche essere formulato, in altri termini, sostenendo che, a parità di fattori, la spiegazione più “semplice” sarebbe quella migliore.
L’esperienza personale insegna però che a maneggiare un rasoio con poca perizia si rischia di provocarsi qualche doloroso taglio o di restarci addirittura secchi. Il principio, di per sé, non è errato ma, di fatto, può essere applicato solo a casi abbastanza ipotetici, dove si può imporre l’ipotesi che l’osservatore sia a conoscenza della totalità dei fattori con grande precisione. Nel momento in cui l’osservatore ha a disposizione solo una piccola porzione degli elementi in gioco o sceglie arbitrariamente di ignorare alcuni fattori, si fa in modo che la spiegazione più semplice sia la propria. A questo punto, applicare il Rasoio di Occam diventa solo un modo per piegare i fatti alla propria teoria perché, per chiusura mentale, ne abbiamo stabilito la validità a priori.

Share

Il termine dell’equazione

La fisica è una scienza che traduce in formula i fenomeni osservati. Ciò che accade praticamente sempre è che la formula descrivente un determinato fenomeno reale non lo rappresenta al 100%. Quando un ricercatore “trova” la formula che descrive un determinato fenomeno sta facendo, più o meno, la stessa cosa che fa un bambino quando, per disegnare le persone, mette insieme cinque linee ed un cerchio.

Le formule permettono di fare previsioni abbastanza buone, almeno finché non si desidera una precisione maggiore o finché i termini ignorati non diventano troppo grandi per essere ancora trascurabili. Il problema è che in genere i termini trascurati non si conoscono affatto; sta infatti al ricercatore scovarli e, finché non li trova, il suo modello sarà solo un’approssimazione più o meno valida.

Non sempre però ci si ricorda di questo fatto e, quando succede, si finisce con il credere che certe formule siano perfette e definite una volta per tutte. Conseguentemente, capita che in certe situazioni quella formula smette completamente di descrivere la realtà e che si facciano previsioni totalmente errate per eccesso di fiducia su quello “scarabocchio da bambino”. Lo stesso sbaglio può anche verificarsi quando si decide a priori – e senza riflettere abbastanza - che un certo termine della formula ha poca importanza e perciò non vale la pena considerarlo.

Spesso, i termini meno significativi di un’equazione diventano giganteschi appena ci si allontana un poco dall’ambiente che abbiamo considerato. Termini che stanno in silenzio e invisibili nel salotto di casa nostra possono diventare rumori assordanti appena usciti per strada.
Stiamo attenti a cosa classifichiamo come “trascurabile” nella vita. Tutte le ideologie fanno un errore di questo tipo: trascurano cose fondamentali e finiscono con il provocare danni a cose e persone.

equazioni

Share

L’anfiteatro invisibile

Nella mia città è situato il secondo più grande anfiteatro italiano, cioè il più grande dopo il Colosseo. La gente ci passa letteralmente all’interno conversando, giocando, mangiando un gelato o, addirittura, guidando la macchina o viaggiando in autobus. Sembra una cosa impossibile ma in realtà accade e nessuno sembra rendersene conto. Per quasi tutti quelli che passano da lì l’anfiteatro non esiste o non ha alcuna importanza rendersi conto del luogo dove si sta camminando.

Questo anfiteatro grande quasi quanto il colosseo fu in parte smantellato per costruire gli edifici che oggi gli stanno intorno. Alcuni di questi edifici sono stati proprio costruiti a ridosso del monumento usandolo come parete portante. Fino ad un secolo fa il centro del monumento era riempito di terra e da sopra si vedeva solo una grande piazza. Un anfiteatro sepolto, si potrebbe chiamare. Eppure è sempre stato lì, sotto gli occhi di tutti, anche se in molti ne hanno fatto a meno e non si sono curati della sua esistenza.

Planimetria anfiteatro romano

Planimetria dell'anfiteatro romano a Catania

Anche se oggi in quella piazza è stato scavato un enorme buco dal quale si intravede parte del monumento originario, la gente che passa da quelle parti non ci fa quasi caso. Chissà se quando quel buco ancora non c’era, qualche archeologo provò a dire in giro che in quel posto c’era un anfiteatro grosso quasi quanto il colosseo. Quante volte gli avranno detto che era folle prima di scavare quel buco?

Chissà quante cose abbiamo sotto il naso ma non riusciamo a vedere… Cose che razionalmente potremmo dire che non esistono. Cose coperte da secoli e secoli di fango e costruzioni. Eppure sono lì, sotto gli occhi di tutti.

Anfiteatro romano Catania

Porzione dell'anfiteatro romano di piazza Stesicoro a Catania

Share