Spada demoniaca

Un anime che ho seguito con una certa assiduità è Inuyasha. Si tratta delle avventure di un mezzo demone, un ragazzo nato da madre umana e padre demone. Il padre di Inuyasha era un demone cane tra i più potenti dell’epoca ed ha lasciato in eredità al figlio minore una spada demoniaca di nome Tessaiga.
Una spada demoniaca è un’arma forgiata con zanne, ossa, scaglie, artigli o quant’altro di solido si possa ricavare da un demone. Tanto più è potente il demone originario, tanto più formidabile risulta essere l’arma forgiata con le sue parti.

Brandire una spada demoniaca non è però da tutti. Inuyasha, essendo per metà demone, riesce a brandire Tessaiga, ad imparare nuove tecniche, a scoprirne i poteri nascosti e perfino a dialogare con la sua arma, come se avesse una volontà propria capace di insegnare al ragazzo l’utilizzo corretto di se stessa.
Spada DakkiNel corso della serie accade diverse volte che un normale essere umano si impadronisca di una spada demoniaca, dato il noto potere di una spada di questo tipo. Sistematicamente ogni volta succede che il potere della spada prende il sopravvento sulla coscienza dell’uomo che ha osato troppo, pensando di brandire un’arma fuori dalla sua portata. Un esempio fra gli ultimi, la spada Dakki: il suo fabbro umano ignora gli avvertimenti di lasciare perdere la spada e finisce con il mutare lentamente in un mostro fondendo il suo braccio all’arma. Inutile specificare la sua tragica fine.

Purtroppo le spade demoniache non esistono solo nel mondo di fantasia di Inuyasha. Pensiamo per esempio alla satira. In molti fanno uso e abuso sia del termine, sia della pratica: credono che sia sufficiente etichettare un’accusa o un insulto sotto la categoria “satira” per ottenere impunità e lode da parte di tutti, ad esclusione dell’offeso il quale, corrispondentemente, non può protestare perché altrimenti sarebbe tacciato di censura.
Arthur Schopenhauer annoverava la beffa del proprio interlocutore tra una delle tecniche (sleali) per ottenere ragione: se non si può vincere con la forza dei propri argomenti allora conviene fare ridere la platea ridicolizzando l’altro. La satira è un’arma demoniaca che bisogna saper usare, che richiede moderazione e, perché no, anche rispetto di chi si parla. Si rischia altrimenti di perdere il senso della misura e trasformarsi in creature assai brutte, non tanto esteticamente ma a livello di coscienza. Si può fare ridere per parlare di un problema reale oppure si possono inventare problemi per fare ridere. La differenza, come per le spade demoniache è che, nel secondo caso, prima o poi l’arma prende il sopravvento su chi la brandisce e lo consuma.

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Esperienze coi pattini

Qualche giorno fa la mia ragazza mi raccontava che nella sua infanzia aveva coltivato, per un certo periodo di tempo, il desiderio di imparare ad usare i pattini in linea (rollerblade). Niente si impara istantaneamente, perciò i primi tempi il rischio di cadere a terra e farsi male era più che probabile. Quando cadeva a terra – racconta – si rialzava e continuava a pattinare per diversi minuti, nonostante la cocente delusione di aver sbagliato, nonostante il sentirsi incapaci di imparare una cosa così semplice e di dimostrarlo cadendo a terra, nonostante il dolore che l’impatto con il suolo aveva provocato. Si metteva le protezioni, certo, ma una volta spaccò una ginocchiera in due parti cadendo. Per non parlare dei bambini che la prendevano in giro per via delle protezioni che metteva. “Robocop” la chiamavano. Ma lei continuava a pattinare lo stesso, a rialzarsi quando cadeva e a resistere agli insulti dei bambini. Perché?
Perché una brutta esperienza, mal gestita, diventa un trauma e il trauma rende impossibile continuare un’attività e godersela, esattamente come un’ideologia impedisce di vedere la realtà e viverla appieno. Si rialzava e continuava a pattinare perché aveva bene in mente quanto fosse bello pattinare e, per quella bellezza, sarebbe stata disposta a cadere e cadere ancora cento volte se fosse stato necessario. Cadere e ricevere prese in giro era “incluso nel pacchetto” ma questa inclusione non ne riduceva la bellezza.

Quand’è che lasciamo diventare traumi le esperienze negative? Quando non vediamo con occhi sinceri che la sorgente di quella esperienza nasconde una bellezza che vale molto di più di qualche sbucciatura. La superficialità di giudicare soltanto in base ai pochi aspetti che non ci piacciono, in base ai nostri fallimenti, ci conduce poi a denigrare quella bellezza che non vediamo e a sminuire chi riesce a vederla, come fa la volpe della favola:

Una volpe affamata vide dei grappoli d’uva che pendevano da un pergolato, e tentò di afferrarli. Ma non ci riuscì. “Robaccia acerba!” disse allora tra sé e sé; e se ne andò. Così, anche fra gli uomini, c’è chi, non riuscendo per incapacità a raggiungere il suo intento, ne dà la colpa alle circostanze.

Esopo, XXXII; Fedro, IV, 3.

Pattini in linea

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