Delitto impossibile

Anche quella volta l’investigatore Ferguson si era fatto accompagnare da Herbert White – il famoso giallista che collaborava con la polizia nel ruolo di consulente – sul luogo del delitto. Si trattava di un appartamento in una palazzina con un unico ingresso custodito da un addetto alla portineria.

«Ferguson, polizia». Alla vista del distintivo il portiere alzò un sopracciglio e disse: «Da questa parte». Ferguson e White lo seguirono fin sul pianerottolo del terzo piano dove notarono già alcune orme di sangue, che per dimensione e andatura erano state probabilmente lasciate da un uomo di media statura. Il portiere aprì la porta. All’interno dell’appartamento erano presenti alcuni segni di colluttazione; una pozza di sangue e alcune orme.
Il corpo era stato portato via.
«Lei è stato tutto il tempo in portineria?» Si rivolse Ferguson al portiere. «Sissignore» rispose.
«E ha notato entrare o uscire qualcuno dall’ultima volta che ha visto la vittima?» – «Nossignore»
«Potrebbe non essersene accorto» osservò White. – «Nossignore. Se fosse passato qualcuno me ne sarei accorto. Da quando la signora Flint è rientrata nessun altro è passato dall’ingresso fino all’arrivo della signora delle pulizie»

Dopo l’arrivo della scientifica Ferguson e White andarono ad interrogare i negozianti che avevano una buona visuale sull’ingresso dell’edificio. La maggior parte erano stati troppo occupati per notare qualcosa ma due di loro, non avendo molta clientela quel giorno, sostennero di non aver visto nessuno né entrare, né uscire.
Ai successivi controlli tutti i condomini risultarono avere alibi di ferro, essendo successo il fatto in un giorno lavorativo.

Ferguson non ne veniva a capo: «Quel corpo non può essersi volatilizzato… Forse la signora Flint si è ferita accidentalmente ed in uno stato confusionale si è gettata dalla finestra». «Non ha senso: non è stato trovato nulla nei dintorni dell’edificio… E poi come le spieghi quelle orme?» ribattè White.
«Beh forse la signora Flint, sotto l’effetto di qualche sostanza, aveva assunto comportamenti anomali e, indossando scarpe da uomo, si è ferita lanciandosi poi dalla finestra e cadendo su qualche mezzo pesante… Un camion, per esempio»
«Questa è una delle ricostruzioni più fantasiose e improbabili che tu abbia mai fatto. Nel dubbio controllerei la circolazione di mezzi pesanti nei dintorni ma sono certo che l’omicida è entrato nello stabile»
«Lo hai visto anche tu che non è entrato nessuno. La mia ipotesi è più probabile della tua»
«Il caso è abbastanza improbabile da richiedere una spiegazione improbabile allora»

Per sfatare ogni dubbio decisero allora di ritornare sul luogo del delitto alla ricerca di tracce di sangue sulle finestre. Pochi istanti prima che varcassero la soglia dello stabile entrò il postino che, ignaro di quanto fosse accaduto, salutò il portiere e si diresse verso le cassette della posta. White osservò attentamente la reazione del portiere: sembrava perplesso, come se avesse avuto un deja vu. «Cosa c’è?» chiese White al portiere. «Niente, Signore. Solo che mi sembrava che oggi il postino fosse già passato».
«Cioè lei vuole dirmi che ha visto entrare il postino e ci ha detto che non era entrato nessuno?»
«Ma il postino non è “qualcuno”. È semplicemente il postino. Che può aver mai fatto a parte consegnare le lettere?»
«Glielo dico io cos’ha fatto: l’omicida, travestito da postino, ha poi portato fuori il cadavere dentro il sacco della posta»

Spesso non ci rendiamo conto dell’importanza di certe cose perché le riteniamo banali e scontate. Entrano talmente nella quotidianità che diventano come invisibili. Altrettanto spesso, quando non siamo in grado di comprendere qualcosa siamo anche disposti ad ignorare le orme lasciate al suolo e le contraddizioni delle spiegazioni “razionali” che formuliamo pur di non escludere una possibilità a noi scomoda. La realtà dev’essere l’ultima parola sulle nostre idee: non permettiamo mai alle ideologie di ingannarci con affascinanti risposte razionali ma inverosimili.

Ispirato e adattato da “L’uomo invisibile” di G.K. Chesterton

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In qualsiasi modo la si chiami

Completamente rapito dalla Trekker-mania ripesco dalla memoria un episodio della serie originale di Star trek che ben si addice a quanto sta succedendo in questa settimana.

Nell’episodio “By any other name” l’equipaggio dell’Enterprise incontra alcuni agenti dell’impero Kelvano, situato nella galassia di Andromeda, inviati nella nostra galassia per trovare un luogo da colonizzare. La loro astronave è andata distrutta e la comparsa dell’Enterprise si presenta loro come l’occasione d’oro per tornare a casa, anche se ciò significa requisire l’astronave per trecento anni (che è la durata del viaggio intergalattico verso Kelva). I Kelvani, la cui vera forma è sconosciuta, si mostrano con sembianze umane ma risultano estremamente freddi, incapaci delle più basilari emozioni.

Per requisire l’Enterprise, i Kelvani fanno uso del loro potere, localizzato nella “fibbia” delle loro cinture. Basta premere un pulsante per trasformare una persona in una specie di sasso poroso dalla forma geometrica. Per dare una dimostrazione della loro serietà, due membri dell’equipaggio sono subito trasformati. Uno dei Kelvani prende in mano i due “oggetti” e spiega che essi possono ancora ritornare come prima ma che se il capitano e i suoi faranno un passo falso…
Il Kelvano a questo punto sgretola con la mano uno dei due membri dell’equipaggio; non tornerà più, è morto.

Fibbia

Equipaggio

Per assicurarsi una manutenzione costante dell’astronave per trecento anni, i Kelvani trasformano tutto l’equipaggio ad eccezione del numero di elementi indispensabili al funzionamento dell’Enterprise con l’intento di sostituirne saltuariamente i membri.
Ovviamente alla fine i protagonisti riescono a liberarsi e lo fanno proprio shockando i Kelvani con quelle emozioni che non avevano mai provato. Il capitano Kirk seduce l’unica donna tra i Kelvani e fa ingelosire il suo compagno. Il dottor McCoy si dà ai sedativi mentre – e lo trovo estremamente divertente – il signor Scott ne fa ubriacare uno nella classica gara a chi beve di più.

Scoot

«C’è soltanto del vecchio, vecchio, scozzese…
…WHISKY!»

La cosa interessante di questo episodio sta proprio nella modalità che usano i Kelvani per uccidere. Non lo fanno direttamente, ma ricorrono alla riduzione dell’essere umano in qualcosa che somigli più ad un oggetto. Quando vediamo sgretolare uno di quegli “oggetti”, possiamo però provare la stessa sensazione suscitata da un omicidio perché, in fondo, sappiamo che quella “cosa” è un vero essere umano ma sotto altra forma e che può ancora tornare come prima, anche se indipendentemente dal suo volere che è, in quel momento, “assopito”. È ancora una volta una questione di sensibilità: saper dare credito a quella senzazione sgradevole che si manifesta alla visione o al pensiero della soppressione di quell’oggetto umano.
Non è certo classificandola come “oggetto”, come “cosa incapace di pensiero e di sofferenza”, che possiamo sorvolare sul valore della vita umana, anche se si presenta sotto altre forme minuscole o grandi, attive o inerti, perché in qualsiasi modo la si chiami, la sua essenza è ancora quella di una persona.

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