Facevo una passeggiatina sulla Luna…

Alle 22:17 – ora italiana – del 20 luglio del 1969, un veicolo poco più grande di un’utilitaria e con un computer di bordo infinitamente meno potente di un qualsiasi moderno cellulare, toccava il suolo lunare.
Un folto gruppo di persone ritiene che questa informazione sia un falso e, da diverso tempo, alimenta le diatribe e le polemiche introducendo le più svariate ragioni, corroborate da corrispondenti prove.

Supponendo di considerare l’intera questione senza avere alcun pregiudizio né idea “a priori” di quale sia la verità, diventa molto complicato capire chi, tra i sostenitori e i critici dell’allunaggio, abbia realmente ragione.
C’è chi dice che le foto scattate sono false perché senza stelle; chi ribatte che sono autentiche perché il riverbero della luce lunare le sovrasta; chi risponde trovando foto che sarebbero false perché in esse le stelle si vedono; chi afferma che le ombre non sarebbero realistiche; chi risponde che questi difetti sono dovuti al riverbero etc. Un continuo ripetersi di ipotesi, obiezioni, obiezioni alle obiezioni, prove, controprove e interpretazioni. Ambo le parti del dibattito partono da un’idea di come si siano svolti i fatti e usano tutto ciò che puossono usare, con ingegno e caparbietà, cercando di distruggere l’idea dell’avversario ed ottenere l’ambita incontestabile ragione. Più che un impegno in nome della verità sembra il compiacimento del proprio orgoglio: “Io devo avere ragione”.
Allo stato attuale della discussione neanche un documento autentico della NASA ha più un valore, poiché prova fornita dall’accusato. Ma a quali conclusioni possiamo mai arrivare se rigettiamo i fatti con criteri di questo tenore?

Ripartiamo dalla realtà. Magari la risposta definitiva non si trova in complesse argomentazioni scientifiche, ma nella gioia di quelle persone che ebbero il privilegio di calpestare quel suolo lontano. Anche io al loro posto avrei cantato. Sì: avrei riso e cantato sulla Luna; sarebbe stata la mia autentica risposta a quella circostanza, come ritengo che sia stata autentica anche la loro.


I was strolling on the Moon one day, adattamento di questa canzone

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Una rosa nel cielo

Oggi aspettavo il mio “capo” nell’atrio del dipartimento di fisica. Su una delle tante bacheche era affissa la locandina di un incontro tenuto da un “esperto” di fenomeni paranormali. Uno di quelli che sanno sempre quale trucco c’è dietro l’illusionista e che hanno la risposta pronta per ogni cosa che sia fuori dal comune.

La locandina diceva qualcosa come “noi crediamo a tante cose così come le vediamo ma i sensi possono ingannare”. Vero, verissimo. Non fa una grinza. Mentre leggevo non ho però potuto fare a meno di pensare che alcune tra le più grandi scoperte scientifiche dell’antichità erano state classificate come “paranormale” prima di diventare la fortunata osservazione di un uomo di cultura. Cosa sarebbe stato di quelle scoperte se avessero avuto la meglio le spiegazioni tanto pronte quanto improbabili di chi riduce l’insolito ad una banale coincidenza?

Il problema di chi ha l’hobby di sbugiardare gli altri è che spesso valica il confine delle vere frodi, nelle quali il trucco c’è perché intenzionale, finendo per aggredire qualsiasi cosa non rientri negli schemi della normalità. Così se una persona vede qualcosa di insolito viene rapidamente liquidata senza neanche indagare seriamente sul fenomeno del quale ella è testimone. Se qualcuno venisse a dirmi di aver visto una rosa fluttuare nel cielo sarei tentato anche io di prenderla per matta, ma c’è un’onestà razionale che dovrebbe spingerci a verificare con l’esperienza quanto ci viene detto. Potremmo scoprire qualcosa di nuovo o, semplicemente, prendere un telescopio e vedere proprio una rosa in cielo.

Rosa nel cielo

 

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Giochi di carte

Nel periodo natalizio ci si incontra con amici e parenti fra le mura domestiche e si trascorre la giornata non solo stando insieme o chiacchierando, ma anche giocando a carte. I giochi di carte sono tantissimi, ciascuno con le sue regole e con la sua scala di valori associati alle varie carte.

Personalmente mi sono sempre perso nelle “regole del gioco” mentre mi venivano esposte e, giocando ugualmente, non è che abbia fatto una gran bella figura. Il problema non è tanto la conoscenza delle regole e dei valori delle carte a rendere vincente un giocatore, quanto la capacità di giocare seguendo delle logiche che trascendano le regole stesse. Ad esempio, il poker si gioca soprattutto su fattori che non c’entrano per nulla con le regole del gioco: saper bluffare; apparire neutrali in viso sia quando il proprio mazzo è perdente, sia quando è vincente etc. Stesso discorso per gli scacchi; identico discorso per la dialettica – c’è chi, con le parole, ti fa dire quel che vuole e poi ti frega.

L’applicazione rigida e asettica delle regole non è garanzia di vittoria, anzi è un possibile fattore di sconfitta. Ciò non vale solo per il tavolo da gioco, ma anche per la realtà e per la scienza. Se studio un fenomeno del reale e ne scopro le leggi devo stare attento a come le applico ad altri fenomeni che non ho ancora studiato, perché rischio di andare completamente fuori strada; di spiegare un fenomeno con un meccanismo che apparentemente funziona ma che è estraneo, nei fatti, alla realtà stessa del fenomeno. Come chi ottiene ragione con la dialettica non è detto che abbia realmente ragione.
Ancora una volta, la realtà è molto più ampia di quanto pensiamo.

Poker

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Esperimento con il bianchetto

Supponiamo che un vostro amico burlone abbia preso il libro che state leggendo e ve lo abbia restituito dopo aver passato uno strato di bianchetto sul nome di un personaggio del quale non avevate ancora letto nulla. Beh, non potete proprio sopravvivere all’ignoranza di quel nome, perciò vi armate con una lametta e cominciate a raschiare via il bianchetto. Bisogna però fare molta attenzione perché potreste portarvi via anche l’inchiostro.Segni di inchiostro

Dopo un po’ che raschiate appare qualche segmento di una lettera. Uhm… All’inizio vi sembrano segni senza senso. Qualcuno potrebbe anche dubitare che lì sotto vi possa mai essere stato un reale simbolo della vostra lingua e potrebbe anche dire che l’autore del libro, scrivendo un nome alieno, abbia messo macchie casuali di inchiostro. Fase uno: elementi sconosciuti che richiedono interpretazione.

OCR oDopo aver fissato le macchie per un po’, aiutandovi con il testo circostante, capite che la lettera dev’essere dell’alfabeto latino e la disposizione dei segni vi suggerisce che la lettera misteriosa sia una “o”. Qualcuno potrebbe, a questo punto, dichiarare chiusa la faccenda e passare alla lettera successiva. Fase due: teoria.

Bene! Avete una spiegazione che funziona ma, se non siete cattivi utilizzatori del rasoio di Occam, non potete non chiedervi se quei segni sono veramente una “o” o se avete invece preso una cantonata. Una spiegazione semplicissima e perfettamente funzionante non è per forza la migliore, quella che descrive la realtà, la verità.
Vi viene a trovare una vostra amica che vi dice: «Qui c’è un cerchio ma la lettera potrebbe acnhe essere una “q”». Avete due possibilità: ascoltare la vostra amica oppure prenderla per una scocciatrice che vi vuole dare torto sulla vostra bellissima teoria della “o”. Se non siete chiusi mentalmente vi metterete a raschiare intorno per cercare nuovi elementi. Fase tre: apertura mentale. Swgni di inchiostro

Se è vero che lì c’è una “q” allora, raschiando in basso a destra si dovrebbe trovare dell’inchiostro. Con molta fatica riuscite a raschiare un altro po’ di bianchetto ed ecco comparire un altro segno. Cavolo! Eravate proprio convinti che fosse una “o”. Qualcuno però potrebbe dire che il nuovo segno che avete trovato sia soltanto un minuscolo insetto che è rimasto invischiato nel bianchetto e perciò la spiegazione della “o” andrebbe bene ugualmente. Se non siete troppo orgogliosi e, ancora una volta, chiusi mentalmente non la pensate affatto così. Fase 4: verifica.

OCR qSiete certi che la lettera sia una “q”? Se avete imparato la lezione della “o” allora dovreste pensare che ciò che avete trovato può non essere una “q”, anzi, che potrebbero essere diverse lettere o che avete raschiato male. Se siete onesti ed umili allora non andrete a combattere con la dialettica chi vi dice che quei segni sono in realtà una “g” e che, magari, ve lo dice proprio perché quel libro lo ha già letto. Se siete ragionevoli non potete asserire con assoluta certezza che nei vostri segni non c’è e non ci sarà mai una “g” e che pertanto chi sostiene la “g” debba senz’altro sbagliarsi.
Non basta che una teoria spieghi bene i fatti noti e ne preveda alcuni non noti. La posizione onesta, di fronte alla natura, è quella di ammettere di non sapere e, soprattutto, di non negare una cosa, solo perché sembra improbabile o inverosimile, solo perché non rientra nei nostri schemi. Diceva Luigi Pirandello: «Le assurdità della vita non hanno bisogno di parer verosimili, perché sono vere. All’opposto di quelle dell’arte che, per parer vere, hanno bisogno d’esseri verosimili.»

OCR g Nessun libro è stato vilipeso per la realizzazione di questo post

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Delitto impossibile

Anche quella volta l’investigatore Ferguson si era fatto accompagnare da Herbert White – il famoso giallista che collaborava con la polizia nel ruolo di consulente – sul luogo del delitto. Si trattava di un appartamento in una palazzina con un unico ingresso custodito da un addetto alla portineria.

«Ferguson, polizia». Alla vista del distintivo il portiere alzò un sopracciglio e disse: «Da questa parte». Ferguson e White lo seguirono fin sul pianerottolo del terzo piano dove notarono già alcune orme di sangue, che per dimensione e andatura erano state probabilmente lasciate da un uomo di media statura. Il portiere aprì la porta. All’interno dell’appartamento erano presenti alcuni segni di colluttazione; una pozza di sangue e alcune orme.
Il corpo era stato portato via.
«Lei è stato tutto il tempo in portineria?» Si rivolse Ferguson al portiere. «Sissignore» rispose.
«E ha notato entrare o uscire qualcuno dall’ultima volta che ha visto la vittima?» – «Nossignore»
«Potrebbe non essersene accorto» osservò White. – «Nossignore. Se fosse passato qualcuno me ne sarei accorto. Da quando la signora Flint è rientrata nessun altro è passato dall’ingresso fino all’arrivo della signora delle pulizie»

Dopo l’arrivo della scientifica Ferguson e White andarono ad interrogare i negozianti che avevano una buona visuale sull’ingresso dell’edificio. La maggior parte erano stati troppo occupati per notare qualcosa ma due di loro, non avendo molta clientela quel giorno, sostennero di non aver visto nessuno né entrare, né uscire.
Ai successivi controlli tutti i condomini risultarono avere alibi di ferro, essendo successo il fatto in un giorno lavorativo.

Ferguson non ne veniva a capo: «Quel corpo non può essersi volatilizzato… Forse la signora Flint si è ferita accidentalmente ed in uno stato confusionale si è gettata dalla finestra». «Non ha senso: non è stato trovato nulla nei dintorni dell’edificio… E poi come le spieghi quelle orme?» ribattè White.
«Beh forse la signora Flint, sotto l’effetto di qualche sostanza, aveva assunto comportamenti anomali e, indossando scarpe da uomo, si è ferita lanciandosi poi dalla finestra e cadendo su qualche mezzo pesante… Un camion, per esempio»
«Questa è una delle ricostruzioni più fantasiose e improbabili che tu abbia mai fatto. Nel dubbio controllerei la circolazione di mezzi pesanti nei dintorni ma sono certo che l’omicida è entrato nello stabile»
«Lo hai visto anche tu che non è entrato nessuno. La mia ipotesi è più probabile della tua»
«Il caso è abbastanza improbabile da richiedere una spiegazione improbabile allora»

Per sfatare ogni dubbio decisero allora di ritornare sul luogo del delitto alla ricerca di tracce di sangue sulle finestre. Pochi istanti prima che varcassero la soglia dello stabile entrò il postino che, ignaro di quanto fosse accaduto, salutò il portiere e si diresse verso le cassette della posta. White osservò attentamente la reazione del portiere: sembrava perplesso, come se avesse avuto un deja vu. «Cosa c’è?» chiese White al portiere. «Niente, Signore. Solo che mi sembrava che oggi il postino fosse già passato».
«Cioè lei vuole dirmi che ha visto entrare il postino e ci ha detto che non era entrato nessuno?»
«Ma il postino non è “qualcuno”. È semplicemente il postino. Che può aver mai fatto a parte consegnare le lettere?»
«Glielo dico io cos’ha fatto: l’omicida, travestito da postino, ha poi portato fuori il cadavere dentro il sacco della posta»

Spesso non ci rendiamo conto dell’importanza di certe cose perché le riteniamo banali e scontate. Entrano talmente nella quotidianità che diventano come invisibili. Altrettanto spesso, quando non siamo in grado di comprendere qualcosa siamo anche disposti ad ignorare le orme lasciate al suolo e le contraddizioni delle spiegazioni “razionali” che formuliamo pur di non escludere una possibilità a noi scomoda. La realtà dev’essere l’ultima parola sulle nostre idee: non permettiamo mai alle ideologie di ingannarci con affascinanti risposte razionali ma inverosimili.

Ispirato e adattato da “L’uomo invisibile” di G.K. Chesterton

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Il nocciolo

Prima della relatività di Einstein, il termine “teoria” significava una cosa ben precisa: un sistema di ipotesi e seguenti tesi che rappresenta una delle possibili spiegazioni ad un fenomeno. La teoria della relatività fu intesa in questo modo finché non furono osservati alcuni fenomeni – la differenza temporale fra orologi atomici in orbita, le lenti gravitazionali – che ne verificarono i postulati. Il nome “teoria” è però rimasto davanti a “relatività”, perciò si è dovuto agire sul significato del termine per permettere questa eccezione:

teoria 1 [te-o-rì-a] s.f.

  • 1 Formulazione rigorosa e sistematica dei principi di una scienza, di una filosofia o di qualsiasi altra forma di sapere: la t. della relatività; ipotesi scientifica formulata per la spiegazione di fenomeni particolari: formulare una t. sullo sviluppo economico
  • 2 Nel l. com., opinione, punto di vista riguardo a qlco.: ho una mia t. su come educare i figli
  • 3 Insieme di norme e principi generali e astratti su cui si fonda un’attività pratica; l’attività intellettuale, concettuale: la t. economica, politica || esame di t., prova scritta necessaria per conseguire la patente di guida che precede la prova pratica |in t., dal punto di vista puramente teorico: in t. la cosa è semplice

dal sabatini-coletti

Nonostante le (in)opportune correzioni, una teoria è e resta sempre in antitesi con la “pratica” e, per estensione, anche con la “realtà”. I principi di una scienza, anche se formulati rigorosamente e sistematicamente, possono ancora essere considerati non definitivi, una delle tante possibili spiegazioni, qualcosa che potrebbe rivelarsi falso in qualsiasi momento. E non finisce mica qui.
I principi di una scienza molto raramente sono autoconsistenti, cioè raramente non necessitano di alcuna base sulla quale poggiarsi. Nella stragrande maggioranza dei casi un principio altro non è che quella tesi conseguente alle ipotesi in quel sistema che rappresenta una delle possibili spiegazioni ad un fenomeno. Ciò implica che quanto più un’ipotesi si allontana dal caso reale, tanto più la teoria si trasforma in una fantasia adattata ad alcuni fatti – e che pretende di esserne poi avvalorata; non è neanche più la rappresentazione di un caso “ideale” – cioè senza imprevisti.

Per fare un esempio pratico possiamo citare il film “The core“, non tanto per il contenuto scientifico o meno ma per l’approccio alla scienza che viene più volte messo in risalto all’interno del film. Di fronte alla teoria che spiega – o spiegherebbe – come è fatto l’interno del pianeta, più volte viene presentato il dubbio: “E se non fosse così?”. Ed effettivamente il dubbio viene confermato più volte perché, nonostante tutte le prove che possono avvalorare la nostra teoria, la prova definitiva – cioè la misura in loco – non c’è. In questo, come in moltissimi altri casi nella storia della scienza, dall’archeologia all’astrofisica, la realtà si dimostra sempre ricca di sorprese; sorprese che possono distruggere in un batter d’occhio le nostre teorie.

Lo scienziato troppo fiducioso delle proprie teorie e/o troppo sicuro di sé oppure ideologicamente convinto di qualcosa (o della sua non verità ), di fronte all’evento nuovo può imbarcarsi nelle spiegazioni più contorte e impressionanti, ma l’invito concreto che dev’essergli mosso è lo stesso che sentiamo in una scena del film: «Ripeti con me: “non-lo-so“». L’umiltà di fronte al mondo circostante innanzitutto.

The core

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Scherzo da fisico

Sappiamo che il carbonio 14 è un isotopo dello stabilissimo cugino carbonio 12 e sappiamo anche che è uno di quegli isotopi che ci entrano in corpo e ci decadono dentro senza che noi lo percepiamo. Durante la nostra esistenza lo rinnoviamo continuamente all’interno del nostro corpo nutrendoci e respirando (viene prodotto nell’alta atmosfera); solo con la morte il rinnovo cessa e la quantità di carbonio 14 comincia a diminuire.

Supponiamo allora di misurare la percentuale di carbonio 14 in un frammento di materia organica dando i risultati a due persone: Andrea e Piero. Andrea, che ragiona secondo un principio rigido e chiuso, conclude che, entro i margini di errore, quel frammento è vecchio di un certo numero di anni. Piero invece non fa il passo più lungo della gamba, ma si limita a dire che una certa percentuale di isotopo è compatibile con un corrispondente periodo di tempo dalla morte. La differenza tra i due sembra impercettibile ma è fondamentale.

Se io, senza dire nulla, prendessi un osso di dinosauro e lo bombardassi con un certo fascio di particelle di una certa energia per poi farlo datare ad Andrea e Piero, il primo mi direbbe che gli ho portato un falso, il secondo si limiterebbe a dire che ha misurato una percentuale di isotopo incompatibile con il triassico. Mentre il primo giunge ad una conclusione falsa per aver chiuso le sue ipotesi, il secondo tiene sempre bene a mente che la datazione ha senso se e solo se nulla è intervenuto sul reperto ad eccezione dello scorrere del tempo. Andrea, non conoscendo tutta la storia del reperto – compreso il mio scherzo da fisico nucleare – ha dato per scontate una serie di ipotesi perché non lascia alcuna apertura verso fenomeni a lui ignoti.

Ci sono due modi di considerare la scienza, i suoi risultati e la conoscenza in nostro possesso. Uno è rigido; l’altro è plastico. Il primo è presuntuoso e precipitoso; il secondo è umile e riflessivo. La differenza sta nel rapporto che abbiamo con l’ignoto e nel valore che diamo alle informazioni che conosciamo.
Noi possiamo misurare e conoscere solo una parte della realtà; per tutto il resto, che non conosciamo, è regola di buon senso non vantare certezze.

Curva di calibrazione del carbonio 14

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Non è tutto vero ciò che è semplice

Nel film “Contact” di Robert Zemeckis (1997) la protagonista si ritrova, dopo varie vicissitudini, a sostenere un avvenimento della quale è l’unica testimone e per il quale non è in grado di fornire altra prova se non la sua stessa testimonianza. La spiegazione più “semplice” che il mondo scientifico dà all’accaduto è che sia stato tutto una colossale truffa. In realtà lo spettatore, che “ha visto tutto”, sa che la spiegazione della protagonista è vera e sa anche che una telecamera che registra in pochi millesimi di secondo un rumore di diciotto ore è una prova da non rigettare.
Il film mostra come, ignorando o rigettando alcuni elementi che sono in realtà validi, sia possibile giungere a conclusioni totalmente errate.


Spoiler: consiglio di non guardare a chi non vuole rovinato il finale del film.
Il volume è un po’ basso ma spero si senta lo stesso.

Il mondo della scienza non è nuovo a questo tipo di approccio fallace: lo abbiamo visto per quanto riguarda i fossili, ma cose analoghe sono successe per le meteore, i microrganismi e, perfino, il concetto stesso di “Big Bang”. Pensiamo, per esempio, all’esperimento di Rutherford: bombardare con particelle alfa un foglio d’oro e osservare i bagliori prodotti su uno schermo fluorescente dall’impatto di queste particelle. La maggior parte dei bagliori sono osservati dall’altra parte del foglio, evidenziandone l’attraversamento da parte delle particelle alfa. Una piccolissima quantità di bagliori viene però vista all’indietro: la spiegazione più “semplice” sarebbe quella di imputare questi ultimi bagliori a rumore di fondo e perturbazioni dall’esterno. Avessimo dato credito a questa spiegazione, penseremmo ancora che l’atomo sia un panettone con gli elettroni e i protoni al posto dei canditi. Come invece sappiamo, la spiegazione vera è più complessa: un nucleo; un grande spazio vuoto; elettroni che orbitano all’esterno.

Il Rasoio di Occam è il principio metodologico, formulato nel XIV secolo da Guglielmo di Occam, secondo il quale la spiegazione di un fenomeno è tanto migliore quanto minori sono le ipotesi ad essa necessarie. Potrebbe anche essere formulato, in altri termini, sostenendo che, a parità di fattori, la spiegazione più “semplice” sarebbe quella migliore.
L’esperienza personale insegna però che a maneggiare un rasoio con poca perizia si rischia di provocarsi qualche doloroso taglio o di restarci addirittura secchi. Il principio, di per sé, non è errato ma, di fatto, può essere applicato solo a casi abbastanza ipotetici, dove si può imporre l’ipotesi che l’osservatore sia a conoscenza della totalità dei fattori con grande precisione. Nel momento in cui l’osservatore ha a disposizione solo una piccola porzione degli elementi in gioco o sceglie arbitrariamente di ignorare alcuni fattori, si fa in modo che la spiegazione più semplice sia la propria. A questo punto, applicare il Rasoio di Occam diventa solo un modo per piegare i fatti alla propria teoria perché, per chiusura mentale, ne abbiamo stabilito la validità a priori.

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Scettica T’Pol

In Star Trek: Enterprise, l’ultima delle serie fantascientifiche ispirate da Gene Roddenberry, la vulcaniana T’Pol si trova a che fare con eventi che le sono motivati con la “Guerra fredda temporale”. La maggior parte delle volte che, nella serie, si parla di viaggi nel tempo e cose similari, T’Pol risponde: «L’Amministrazione Vulcaniana per le Scienze, ha determinato che il viaggio nel tempo è impossibile».

Nel corso della serie ripete questa frase diverse volte e non aggiunge altri argomenti contro i fantomatici viaggi nel tempo. Si fa forte di un ente scientifico accreditato del quale cita le conclusioni. Lo spettatore però sa che è invece tutto vero; che la “Guerra fredda temporale” non è una fantasia; che ci sono stati dei viaggi nel tempo. T’Pol cerca di piegare la realtà alle conclusioni dell’Amministrazione Vulcaniana per le Scienze.

T’Pol mi ricorda di coloro che, posti di fronte a delle osservazioni contrarie al loro modo di vedere, rispondono ripetendo quasi a pappagallo le sentenze e le conclusioni di organizzazioni ed enti, come se queste considerazioni fossero definitive ed inoppugnabili.
Anche l’ente più accreditato del mondo può emettere una sentenza o un documento che non rispecchi il vero e ci possono essere decine di motivi per i quali può farlo – dalla semplice inesperienza e mancanza di apertura ai motivi economici a quelli politici. Se lungo la nostra strada incontriamo qualcosa che scricchiola, è bene osservare, indagare e riflettere a prescindere dalle dichiarazioni dei grandi enti depositari del sapere, perché può darsi che le cose stiano in modo diverso da come essi stabiliscono. Qualsiasi cosa che accettiamo come vera, deve resistere al confronto con la realtà, non solo dei fatti ma anche dell’esperienza.

T'Pol

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Scienza confutatoria?

Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione in questi ultimi anni ha favorito la diffusione degli argomenti scientifici alimentandone l’interesse anche fra i non addetti ai lavori. Sebbene da una parte ciò significhi un bene – perché il sapere è sempre una ricchezza – dall’altra, non essendoci stata – né prima, né durante -  alcuna educazione, si è finito con il travisare lo spirito scientifico.

Può darsi che nemmeno chi stia scrivendo sappia bene cosa sia il senso della scienza, fatto sta che quando un meccanismo funziona male, stride e il suo rumore dà fastidio.
Il lavoro di uno scienziato è simile a quello di un esploratore: vuole conoscere ciò che ancora non è conosciuto; comprendere ciò che  nessun uomo aveva compreso prima. Come l’esploratore affronta la tempesta per approdare alla spiaggia sconosciuta, così lo scienziato affronta le difficoltà sperimentali e si ingegna nel risolvere problemi per scoprire e capire ciò che sta al di là della frontiera del sapere umano.

Alcune persone hanno una maniera di concepire la scienza che, in qualche modo, la offende. Di fronte ad un evento nuovo, invece di approfondire ed esplorare, come l’apertura mentale alla base dello spirito scientifico vorrebbe, cercano di spiegarlo combinando uno o più eventi già noti avanzando ipotesi su ipotesi. È come se avessero paura della novità, di valicare quel confine che, secondo la leggenda, veniva definito “hic sunt leones”.
Probabilmente la paura c’è e, in nome di questa paura, usano barbaramente la scienza come accetta per abbattere i mostri. È la paura di ammettere di non sapere; il terrore che nel mondo ci sia ancora qualcosa che si può definire “mistero” (che parola rinnegata: la si trova solo nelle trasmissioni televisive basate sulla dietrologia). Tra loro e quelli che difendevano il sistema geocentrico con i circoli deferenti e gli epicicli non c’è differenza.

E dire che centinaia di migliaia di anni fa era scontato che il mondo fosse in gran parte mistero. Oggi lo è ancora, ma l’immenso oceano da scoprire fa paura e fa più comodo fare finta di trovarsi in una pozzanghera della quale si vedono bene i confini. Se i nostri antenati si fossero fermati a spiegare il Sole come “semplicemente” e “solamente” un grosso ceppo in fiamme, saremmo ancora come loro. Invece c’è stato chi è rimasto affascinato dal mistero e ha cercato di scoprirlo, di colmare quella sete inesauribile di sapere che, a causa del fraintendimento accennato all’inizio, viene oggi sempre più ignorata. Eppure, in un universo finito popolato da esseri finiti, questa sete infinita dovrebbe far riflettere.

Leones

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