Arma letale

Supponiamo di essere dei brillanti ingegneri che si sono uniti a dei ribelli (i Maquis) per opporsi a degli oppressori doppiogiochisti (i Cardassiani) che hanno costruito un’arma potentissima: un missile dalla potenza disgregatrice di mille chili di antimateria e altrettanti di materia. Ora supponiamo di essere così in gamba da entrare all’interno del missile, violando i suoi codici di sicurezza, e di riprogrammare la sua intelligenza artificiale per colpire un bersaglio cardassiano. Come ci sentiremmo se la nostra “creatura” fosse completamente fuori rotta e pronta a distruggere milioni di innocenti?

Nell’episodio dal titolo “Dreadnought” della serie “Star Trek: Voyager” il capo ingegnere B’Elanna Torres incrocia la suaTorres strada con una sua vecchia conoscenza: un missile cardassiano che lei stessa aveva riprogrammato ma che era andato disperso. Ora, a causa di un evento non considerato, il missile è stato catapultato a settantamila anni luce da casa, cioè nel quadrante delta, e sta puntanto un pianeta del tutto innocente.
Quando B’Elanna entra per la seconda volta nel missile cerca di convincere l’intelligenza artificiale – che ha la sua stessa voce – del madornale errore di rotta. Il programma del missile si rivela più furbo del previsto e, dopo aver imbrogliato il capo ingegnere, riprende la sua rotta verso il suo bersaglio di innocenti. La conclusione del computer di bordo è disarmante: «La probabilità di trovarsi nel quadrante delta, a settantamila anni luce dal bersaglio, è trascurabile». Il computer di bordo ripete questa frase più volte e costruisce una sua versione della realtà che gli faccia proseguire il viaggio mortale: B’Elanna è passata al nemico; la storia del quadrante delta è una cospirazione. Notare l’assenza di condizionale.

Il Dreadnought, che trascorre il tempo creando scenari, ipotesi e tattiche per evitare ogni imprevisto da parte del nemico (ha persino un messaggio per le navi “amiche” in modo che lo lascino passare) mi ricorda molto certe persone – che definirei disperate - incontrate in rete. Come sappiamo, una cosa improbabile non è impossibile ma, quando ci sono di mezzo le ideologie, lo diventa. Non ci sono ragioni, né spiegazioni, né logiche che tengano con chi ha stabilito a priori come debba andare il Mondo. Quando la realtà non ci piace, diventiamo scettici, cominciado a tirar fuori la probabilità per “sbugiardare” gli altri e, se sono insistenti, inventandoci anche qualche bella cospirazione di cui accusarli o qualche fantasiosa ipotesi “scientifica” di come si sarebbero svolti i fatti.

Il problema del Dreadnought è che non basa le conclusioni che formula sulle osservazioni, ma su congetture e congetture di congetture, divergendo dal reale. Esattamente come alcuni che pur di non ammettere la possibilità che l’interlocutore abbia ragione – o anche semplicemente di non sapere – , arrivano ad ipotizzare le cose più irragionevoli e ad imporre la loro “versione” a suon di dialettica. L’Universo non è fatto soltanto di materia, misure, teorie e probabilità, ma è pieno di cose che non possiamo neanche immaginare.

Arma letale, Dreadnought, Voyager

Bene, gente… Domani vengo catapultato nel quadrante delta. Ciò potrebbe comportare interruzione di comunicazioni per un po’, eventuali mondi alieni ai quali abituarsi e bizzarre avventure da annotare sul diario di bordo. Restate in linea ed attendete segnali dal subspazio, anche se dovessero passare diversi giorni. A presto!

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La furbizia dell’hacker

Possiamo assimilare la rete informatica mondiale ad una società nella quale ogni individuo è costituito da un “corpo” fisico – l’hardware – e da un software. C’è chi spende tempo, energie e creatività nel creare applicativi, siti come questo o altri ben più complessi, ogni tipo di manifestazione della creatività di uno o più programmatori. C’è anche chi assembla computers ed esprime il proprio ingegno nella realizzazione di sistemi stabili e performanti. Un software ben scritto installato su una macchina ben assemblata è forse paragonabile, quanto ad ingegno e creatività, ad un’opera d’arte “tecnica” ed esprime perciò una sua bellezza che può essere apprezzata. Le cose apprezzate, poi, si diffondono fra gli utenti.

L’hacker – o meglio – quella categoria di hacker che ha intenzioni cattive è un individuo della stessa “pasta” del programmatore. Anch’egli si ingegna e conosce i segreti della programmazione e delle reti ma il suo obiettivo è quello di estendere il suo potere su più macchine possibile. Nessun hacker che si ritenga abbastanza furbo ha come obiettivo la formattazione o la distruzione di un pc. Al personaggio in questione, un computer “serve più da vivo che da morto”: può essere utilizzato come copertura per altri atti punibili dalla legge. I pc della rete sono cose da “usare”, da infettare con un programma occulto che consenta al malintenzionato di accedere come e quando vuole per poi attaccare altri pc ed estendere le proprie potenzialità. Un computer conquistato diventa a sua volta conquistatore e veicolo di infezione.

Potrebbe essere interessante seguire il percorso inverso. Come nella grande rete, Qualcuno ci plasma, produce bellezza, assembla pezzetto per pezzetto, prevede per ciascuno delle attività proficue. Ci sono però gli hacker, che non sono d’accordo: inquinano le coscienze con ideologie, ipotesi non ragionevoli, idee e pensieri falsi che bucano le difese della coscienza facendo leva sui piaceri, sulla comodità di certo pensiero. Accade così che persone capaci di cose meravigliose si riducono all’attacco e distruzione delle altre persone che ancora si sforzano di costruire qualcosa in linea con la natura umana.
Che peccato…
Quando un server è conquistato ed usato per un attacco, non resta che disconnetterlo dalla linea e, nei casi più disperati, formattarlo per ripristinare la programmazione originaria. Come realizzare questo nel mondo non virtuale? Si può? Si deve? Quali speranze ci sono?

Hacker

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Interpolazioni

Circa quattro anni fa durante una lezione di “Fisica nucleare con sonde elettromagnetiche” il docente mostrò agli studenti un grafico estratto da un articolo scientifico. Nel grafico stavano, evidentemente disposti su una retta, i dati sperimentali che quegli autori avevano raccolto.

Retta

I ricercatori, osservando i dati sperimentali, conclusero che la legge che legava le due quantità sugli assi era di tipo lineare.

y = 0.7·x – 5

Qualche tempo dopo questo esperimento la tecnologia fece alcuni passi avanti e fu possibile estendere le misure al di là dei  limiti precedenti. Con grande sorpresa si scoprì che i dati sperimentali, in realtà, non ne volevano proprio sapere di stare su una retta:

Saturazione

Quindi la legge che univa le due quantità sugli assi non era per niente lineare, ma era un cosiddetto “gradino smussato”. I punti misurati nel primo esperimento continuavano a stare (correttamente) sulla curva, ma la conclusione dedotta a partire da una limitata conoscenza della realtà era sbagliata.

Sono poche le cose che l’umanità conosce in modo esteso: più ci si spinge nell’infinitamente piccolo o nell’infinitamente grande, più si va idietro o avanti nel tempo, più ci si spinge verso le bassissime energie o altissime energie e meno ne sappiamo. Il ricercatore onesto sa che può pronunciarsi solo su ciò che conosce e limitarsi a formulare discutibilissime ipotesi per quanto riguarda tutto il resto; e questo “tutto il resto” e enormemente grande e altrettanto oscuro.
Spesso le ipotesi e le teorie degli scienziati si trasformano in verità assolute quando passano nella bocca dell’uomo comune, con la conseguenza che ci si ritrova a litigare su cose delle quali non si conosce nulla. Stiamo attenti a come interpoliamo la realtà: corriamo il rischio di fare clamorosi errori.

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Delitto impossibile

Anche quella volta l’investigatore Ferguson si era fatto accompagnare da Herbert White – il famoso giallista che collaborava con la polizia nel ruolo di consulente – sul luogo del delitto. Si trattava di un appartamento in una palazzina con un unico ingresso custodito da un addetto alla portineria.

«Ferguson, polizia». Alla vista del distintivo il portiere alzò un sopracciglio e disse: «Da questa parte». Ferguson e White lo seguirono fin sul pianerottolo del terzo piano dove notarono già alcune orme di sangue, che per dimensione e andatura erano state probabilmente lasciate da un uomo di media statura. Il portiere aprì la porta. All’interno dell’appartamento erano presenti alcuni segni di colluttazione; una pozza di sangue e alcune orme.
Il corpo era stato portato via.
«Lei è stato tutto il tempo in portineria?» Si rivolse Ferguson al portiere. «Sissignore» rispose.
«E ha notato entrare o uscire qualcuno dall’ultima volta che ha visto la vittima?» – «Nossignore»
«Potrebbe non essersene accorto» osservò White. – «Nossignore. Se fosse passato qualcuno me ne sarei accorto. Da quando la signora Flint è rientrata nessun altro è passato dall’ingresso fino all’arrivo della signora delle pulizie»

Dopo l’arrivo della scientifica Ferguson e White andarono ad interrogare i negozianti che avevano una buona visuale sull’ingresso dell’edificio. La maggior parte erano stati troppo occupati per notare qualcosa ma due di loro, non avendo molta clientela quel giorno, sostennero di non aver visto nessuno né entrare, né uscire.
Ai successivi controlli tutti i condomini risultarono avere alibi di ferro, essendo successo il fatto in un giorno lavorativo.

Ferguson non ne veniva a capo: «Quel corpo non può essersi volatilizzato… Forse la signora Flint si è ferita accidentalmente ed in uno stato confusionale si è gettata dalla finestra». «Non ha senso: non è stato trovato nulla nei dintorni dell’edificio… E poi come le spieghi quelle orme?» ribattè White.
«Beh forse la signora Flint, sotto l’effetto di qualche sostanza, aveva assunto comportamenti anomali e, indossando scarpe da uomo, si è ferita lanciandosi poi dalla finestra e cadendo su qualche mezzo pesante… Un camion, per esempio»
«Questa è una delle ricostruzioni più fantasiose e improbabili che tu abbia mai fatto. Nel dubbio controllerei la circolazione di mezzi pesanti nei dintorni ma sono certo che l’omicida è entrato nello stabile»
«Lo hai visto anche tu che non è entrato nessuno. La mia ipotesi è più probabile della tua»
«Il caso è abbastanza improbabile da richiedere una spiegazione improbabile allora»

Per sfatare ogni dubbio decisero allora di ritornare sul luogo del delitto alla ricerca di tracce di sangue sulle finestre. Pochi istanti prima che varcassero la soglia dello stabile entrò il postino che, ignaro di quanto fosse accaduto, salutò il portiere e si diresse verso le cassette della posta. White osservò attentamente la reazione del portiere: sembrava perplesso, come se avesse avuto un deja vu. «Cosa c’è?» chiese White al portiere. «Niente, Signore. Solo che mi sembrava che oggi il postino fosse già passato».
«Cioè lei vuole dirmi che ha visto entrare il postino e ci ha detto che non era entrato nessuno?»
«Ma il postino non è “qualcuno”. È semplicemente il postino. Che può aver mai fatto a parte consegnare le lettere?»
«Glielo dico io cos’ha fatto: l’omicida, travestito da postino, ha poi portato fuori il cadavere dentro il sacco della posta»

Spesso non ci rendiamo conto dell’importanza di certe cose perché le riteniamo banali e scontate. Entrano talmente nella quotidianità che diventano come invisibili. Altrettanto spesso, quando non siamo in grado di comprendere qualcosa siamo anche disposti ad ignorare le orme lasciate al suolo e le contraddizioni delle spiegazioni “razionali” che formuliamo pur di non escludere una possibilità a noi scomoda. La realtà dev’essere l’ultima parola sulle nostre idee: non permettiamo mai alle ideologie di ingannarci con affascinanti risposte razionali ma inverosimili.

Ispirato e adattato da “L’uomo invisibile” di G.K. Chesterton

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Altre dimensioni

In genere, se spostiamo un oggetto, qualsiasi suo movimento può essere considerato come la somma di tre traslazioni lungo le tre direzioni: x; y; z. La posizione di un oggetto è quindi definita dalle sue tre coordinate e dall’informazione sull’istante in cui occupava quella posizione: x; y; z; t.
Se c’è una cosa interessante dei fisici teorici è che sognano e fanno sognare: una delle ipotesi più affascinanti che siano state concepite è che non esistano soltanto le dimensioni spaziali e la dimensione temporale alle quali siamo abituati, ma che esistano altre coordinate delle quali non riusciamo a percepire l’esistenza.

Per fare un paragone esemplificativo possiamo considerare il desktop di Linux: sul mio pc Linux posso disporre di ben quattro desktop, ciascuno di essi selezionabili nella parte inferiore destra dello schermo. È come avere quattro schermi contemporaneamente, ciascuno con le sue finestre e i suoi programmi ma che hanno stesse dimensioni, stesse icone e stesso sfondo. Due programmi diversi possono allora avere identica posizione ma non essere sovrapposti perché appartenenti a due desktop differenti.

Se l’ipotesi dei teorici è corretta potrebbe anche darsi che proprio lì dove stiamo guardando lo schermo di un computer ci sia anche – in una diversa coordinata non percepibile – un fiore con petali esagonali o un drago viola o lo spazio interstellare. Chiaramente stiamo sfociando nella fantascienza, ma ci sono ricercatori che intendono utilizzare il Large Hadron Collider proprio per traslare alcune particelle lungo quelle coordinate impercettibili provocandone la letterale sparizione dal nostro universo.

Tutto questo discorso ci interroga sulla possibilità che esistano delle cose invisibili, intangibili e non misurabili ma che stiano esattamente dove siamo noi: sarebbero lì ma non le percepiremmo. Esiste soltanto ciò che possiamo percepire e/o misurare?

Selettore area di lavoro

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Modelli

Un modello è un sistema di equazioni e regole che descrivono bene un soggetto fisico ed il suo comportamento, ma che sono basati su delle ipotesi che possono anche non essere sempre verificate o che, pur non essendo vere, semplificano il problema. Per fare un esempio, una delle ipotesi che si fa più spesso è quella di supporre che il sistema che stiamo studiando sia omogeneo, cioè di composizione e caratteristiche identiche in ogni suo punto. La realtà invece è che ci sono punti dell’oggetto più amalgamati di altri o con composizione chimica diversa.

Uno stesso oggetto può essere descritto da più modelli. Ad esempio, il comportamento di un nucleo può essere descritto dal modello a goccia liquida (ottimo per descrivere la fissione) o dal modello a shell (buono per descrivere le eccitazioni e alcuni tipi di decadimento); c’è poi il modello statistico (utile per descrivere il processo di fusione) oppure il modello a cluster e così via…
Il fisico che si appresta a studiare un sistema sceglie di utilizzare il modello che funziona meglio nelle condizioni del suo esperimento. Non c’è un modello che ha più ragione di altri e neanche significa che il modello dica realmente come si comporti un nucleo. Infatti il modello a goccia di liquido suppone che il nucleo possa comportarsi come una goccia sferica di materia liquida ma non dice che il nucleo è un liquido. È semplicemente un modo di descrivere dei comportamenti e fare delle previsioni senza alcuna pretesa che la realtà sia esattamente quella che il modello ipotizza.

Noi non sappiamo ancora quale sia l’esatta realtà del nucleo. Ci appelliamo ai modelli per indagare meglio la natura ma non sappiamo intimamente quali siano i reali meccanismi che stanno dietro ad un determinato sistema.
La scienza funziona così: le spiegazioni che “funzionano” vengono adottate in mancanza d’altro ma il buon funzionamento di un modello o di una teoria non significa che quel modello o quella teoria dicano la verità sulla natura del sistema descritto. E ciò non vale soltanto per i nuclei, ma anche per tutto ciò che crediamo assodato e certificato. Neanche la legge di gravità sopravvive alla “prova perché”, cioè esiste sempre un momento in cui la domanda “perché?” non ha più risposta poiché sconosciuta.

Pensiamo al sistema geocentrico: un complesso modello di equazioni spiegava come calcolare la traiettoria dei pianeti visti da terra, compreso il fatto che ad un certo punto invertissero il moto sulla volta celeste. La spiegazione che “funziona” meglio, non è detto che sia la più “vera”.

simulazione calcio

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Il nocciolo

Prima della relatività di Einstein, il termine “teoria” significava una cosa ben precisa: un sistema di ipotesi e seguenti tesi che rappresenta una delle possibili spiegazioni ad un fenomeno. La teoria della relatività fu intesa in questo modo finché non furono osservati alcuni fenomeni – la differenza temporale fra orologi atomici in orbita, le lenti gravitazionali – che ne verificarono i postulati. Il nome “teoria” è però rimasto davanti a “relatività”, perciò si è dovuto agire sul significato del termine per permettere questa eccezione:

teoria 1 [te-o-rì-a] s.f.

  • 1 Formulazione rigorosa e sistematica dei principi di una scienza, di una filosofia o di qualsiasi altra forma di sapere: la t. della relatività; ipotesi scientifica formulata per la spiegazione di fenomeni particolari: formulare una t. sullo sviluppo economico
  • 2 Nel l. com., opinione, punto di vista riguardo a qlco.: ho una mia t. su come educare i figli
  • 3 Insieme di norme e principi generali e astratti su cui si fonda un’attività pratica; l’attività intellettuale, concettuale: la t. economica, politica || esame di t., prova scritta necessaria per conseguire la patente di guida che precede la prova pratica |in t., dal punto di vista puramente teorico: in t. la cosa è semplice

dal sabatini-coletti

Nonostante le (in)opportune correzioni, una teoria è e resta sempre in antitesi con la “pratica” e, per estensione, anche con la “realtà”. I principi di una scienza, anche se formulati rigorosamente e sistematicamente, possono ancora essere considerati non definitivi, una delle tante possibili spiegazioni, qualcosa che potrebbe rivelarsi falso in qualsiasi momento. E non finisce mica qui.
I principi di una scienza molto raramente sono autoconsistenti, cioè raramente non necessitano di alcuna base sulla quale poggiarsi. Nella stragrande maggioranza dei casi un principio altro non è che quella tesi conseguente alle ipotesi in quel sistema che rappresenta una delle possibili spiegazioni ad un fenomeno. Ciò implica che quanto più un’ipotesi si allontana dal caso reale, tanto più la teoria si trasforma in una fantasia adattata ad alcuni fatti – e che pretende di esserne poi avvalorata; non è neanche più la rappresentazione di un caso “ideale” – cioè senza imprevisti.

Per fare un esempio pratico possiamo citare il film “The core“, non tanto per il contenuto scientifico o meno ma per l’approccio alla scienza che viene più volte messo in risalto all’interno del film. Di fronte alla teoria che spiega – o spiegherebbe – come è fatto l’interno del pianeta, più volte viene presentato il dubbio: “E se non fosse così?”. Ed effettivamente il dubbio viene confermato più volte perché, nonostante tutte le prove che possono avvalorare la nostra teoria, la prova definitiva – cioè la misura in loco – non c’è. In questo, come in moltissimi altri casi nella storia della scienza, dall’archeologia all’astrofisica, la realtà si dimostra sempre ricca di sorprese; sorprese che possono distruggere in un batter d’occhio le nostre teorie.

Lo scienziato troppo fiducioso delle proprie teorie e/o troppo sicuro di sé oppure ideologicamente convinto di qualcosa (o della sua non verità ), di fronte all’evento nuovo può imbarcarsi nelle spiegazioni più contorte e impressionanti, ma l’invito concreto che dev’essergli mosso è lo stesso che sentiamo in una scena del film: «Ripeti con me: “non-lo-so“». L’umiltà di fronte al mondo circostante innanzitutto.

The core

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Scherzo da fisico

Sappiamo che il carbonio 14 è un isotopo dello stabilissimo cugino carbonio 12 e sappiamo anche che è uno di quegli isotopi che ci entrano in corpo e ci decadono dentro senza che noi lo percepiamo. Durante la nostra esistenza lo rinnoviamo continuamente all’interno del nostro corpo nutrendoci e respirando (viene prodotto nell’alta atmosfera); solo con la morte il rinnovo cessa e la quantità di carbonio 14 comincia a diminuire.

Supponiamo allora di misurare la percentuale di carbonio 14 in un frammento di materia organica dando i risultati a due persone: Andrea e Piero. Andrea, che ragiona secondo un principio rigido e chiuso, conclude che, entro i margini di errore, quel frammento è vecchio di un certo numero di anni. Piero invece non fa il passo più lungo della gamba, ma si limita a dire che una certa percentuale di isotopo è compatibile con un corrispondente periodo di tempo dalla morte. La differenza tra i due sembra impercettibile ma è fondamentale.

Se io, senza dire nulla, prendessi un osso di dinosauro e lo bombardassi con un certo fascio di particelle di una certa energia per poi farlo datare ad Andrea e Piero, il primo mi direbbe che gli ho portato un falso, il secondo si limiterebbe a dire che ha misurato una percentuale di isotopo incompatibile con il triassico. Mentre il primo giunge ad una conclusione falsa per aver chiuso le sue ipotesi, il secondo tiene sempre bene a mente che la datazione ha senso se e solo se nulla è intervenuto sul reperto ad eccezione dello scorrere del tempo. Andrea, non conoscendo tutta la storia del reperto – compreso il mio scherzo da fisico nucleare – ha dato per scontate una serie di ipotesi perché non lascia alcuna apertura verso fenomeni a lui ignoti.

Ci sono due modi di considerare la scienza, i suoi risultati e la conoscenza in nostro possesso. Uno è rigido; l’altro è plastico. Il primo è presuntuoso e precipitoso; il secondo è umile e riflessivo. La differenza sta nel rapporto che abbiamo con l’ignoto e nel valore che diamo alle informazioni che conosciamo.
Noi possiamo misurare e conoscere solo una parte della realtà; per tutto il resto, che non conosciamo, è regola di buon senso non vantare certezze.

Curva di calibrazione del carbonio 14

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Non è tutto vero ciò che è semplice

Nel film “Contact” di Robert Zemeckis (1997) la protagonista si ritrova, dopo varie vicissitudini, a sostenere un avvenimento della quale è l’unica testimone e per il quale non è in grado di fornire altra prova se non la sua stessa testimonianza. La spiegazione più “semplice” che il mondo scientifico dà all’accaduto è che sia stato tutto una colossale truffa. In realtà lo spettatore, che “ha visto tutto”, sa che la spiegazione della protagonista è vera e sa anche che una telecamera che registra in pochi millesimi di secondo un rumore di diciotto ore è una prova da non rigettare.
Il film mostra come, ignorando o rigettando alcuni elementi che sono in realtà validi, sia possibile giungere a conclusioni totalmente errate.


Spoiler: consiglio di non guardare a chi non vuole rovinato il finale del film.
Il volume è un po’ basso ma spero si senta lo stesso.

Il mondo della scienza non è nuovo a questo tipo di approccio fallace: lo abbiamo visto per quanto riguarda i fossili, ma cose analoghe sono successe per le meteore, i microrganismi e, perfino, il concetto stesso di “Big Bang”. Pensiamo, per esempio, all’esperimento di Rutherford: bombardare con particelle alfa un foglio d’oro e osservare i bagliori prodotti su uno schermo fluorescente dall’impatto di queste particelle. La maggior parte dei bagliori sono osservati dall’altra parte del foglio, evidenziandone l’attraversamento da parte delle particelle alfa. Una piccolissima quantità di bagliori viene però vista all’indietro: la spiegazione più “semplice” sarebbe quella di imputare questi ultimi bagliori a rumore di fondo e perturbazioni dall’esterno. Avessimo dato credito a questa spiegazione, penseremmo ancora che l’atomo sia un panettone con gli elettroni e i protoni al posto dei canditi. Come invece sappiamo, la spiegazione vera è più complessa: un nucleo; un grande spazio vuoto; elettroni che orbitano all’esterno.

Il Rasoio di Occam è il principio metodologico, formulato nel XIV secolo da Guglielmo di Occam, secondo il quale la spiegazione di un fenomeno è tanto migliore quanto minori sono le ipotesi ad essa necessarie. Potrebbe anche essere formulato, in altri termini, sostenendo che, a parità di fattori, la spiegazione più “semplice” sarebbe quella migliore.
L’esperienza personale insegna però che a maneggiare un rasoio con poca perizia si rischia di provocarsi qualche doloroso taglio o di restarci addirittura secchi. Il principio, di per sé, non è errato ma, di fatto, può essere applicato solo a casi abbastanza ipotetici, dove si può imporre l’ipotesi che l’osservatore sia a conoscenza della totalità dei fattori con grande precisione. Nel momento in cui l’osservatore ha a disposizione solo una piccola porzione degli elementi in gioco o sceglie arbitrariamente di ignorare alcuni fattori, si fa in modo che la spiegazione più semplice sia la propria. A questo punto, applicare il Rasoio di Occam diventa solo un modo per piegare i fatti alla propria teoria perché, per chiusura mentale, ne abbiamo stabilito la validità a priori.

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Fossili 2

Qualche escursionista fortunato, passeggiando per un passo di montagna, avrà avuto l’occasione di trovare qualche fossile. Il genere di fossili che si trovano in montagna sono di tipo marino: conchiglie; scheletri di pesci etc. Per noi del ventunesimo secolo questo fatto non è però stupefacente quanto poteva esserlo per gli uomini di qualche secolo fa.
Anticamente il ritrovamento di conchiglie sulle Dolomiti era associato al diluvio universale: cosa mai poteva aver portato delle conchiglie sulle montagne, il luogo perfettamente in antitesi con il mare? Sul fatto però che una volta, proprio dove ora ci sono montagne, ci fosse il mare gli antichi non si sbagliavano.

Anche qualche secolo fa esistevano gli scettici incalliti, di quelli che pur di negare una risposta, giusta o sbagliata che sia, finiscono per anteporre una risposta ancora più sbagliata. Del caso dei fossili ne avevo già parlato qualche tempo fa, proponendo questo comportamento come vicenda ipotetica ma mai mi sarei immaginato che quanto fantasticavo fosse realmente accaduto.
Il pensatore Voltaire sostenne infatti che c’erano state delle persone – pellegrini che usavano la conchiglia come segno di riconoscimento – ad aver portato le conchiglie sulla montagna, magari proprio per costruire una montatura.

Sull’origine delle conchiglie ritrovate sulle Dolomiti si sbagliavano sia Voltaire che i suoi oppositori, ma è interessante osservare come il pregiudizio di Voltaire e, se permettete, il suo atteggiamento ideologico verso i suoi oppositori lo abbia portato a costruire un’ipotesi sbagliata che, tra l’altro, accusava ingiustamente delle persone che non c’entravano nulla.
L’ideologia, mescolata ad un carattere accusatore, produce dei mostri. Quando trasformiamo un soggetto – o gruppo o associazione – nel nostro nemico e gli muoviamo battaglia “a prescindere”, finiamo con il calpestare gli innocenti sotto gli zoccoli scintillanti del nostro cavallo bianco e diventiamo, non solo condottieri del massacro, ma anche grandi ipocriti.

Cassetta fossileRingrazio Riccardo per la soffiata (e, in ritardo, per i filosofi a calcio)

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