Facevo una passeggiatina sulla Luna…

Alle 22:17 – ora italiana – del 20 luglio del 1969, un veicolo poco più grande di un’utilitaria e con un computer di bordo infinitamente meno potente di un qualsiasi moderno cellulare, toccava il suolo lunare.
Un folto gruppo di persone ritiene che questa informazione sia un falso e, da diverso tempo, alimenta le diatribe e le polemiche introducendo le più svariate ragioni, corroborate da corrispondenti prove.

Supponendo di considerare l’intera questione senza avere alcun pregiudizio né idea “a priori” di quale sia la verità, diventa molto complicato capire chi, tra i sostenitori e i critici dell’allunaggio, abbia realmente ragione.
C’è chi dice che le foto scattate sono false perché senza stelle; chi ribatte che sono autentiche perché il riverbero della luce lunare le sovrasta; chi risponde trovando foto che sarebbero false perché in esse le stelle si vedono; chi afferma che le ombre non sarebbero realistiche; chi risponde che questi difetti sono dovuti al riverbero etc. Un continuo ripetersi di ipotesi, obiezioni, obiezioni alle obiezioni, prove, controprove e interpretazioni. Ambo le parti del dibattito partono da un’idea di come si siano svolti i fatti e usano tutto ciò che puossono usare, con ingegno e caparbietà, cercando di distruggere l’idea dell’avversario ed ottenere l’ambita incontestabile ragione. Più che un impegno in nome della verità sembra il compiacimento del proprio orgoglio: “Io devo avere ragione”.
Allo stato attuale della discussione neanche un documento autentico della NASA ha più un valore, poiché prova fornita dall’accusato. Ma a quali conclusioni possiamo mai arrivare se rigettiamo i fatti con criteri di questo tenore?

Ripartiamo dalla realtà. Magari la risposta definitiva non si trova in complesse argomentazioni scientifiche, ma nella gioia di quelle persone che ebbero il privilegio di calpestare quel suolo lontano. Anche io al loro posto avrei cantato. Sì: avrei riso e cantato sulla Luna; sarebbe stata la mia autentica risposta a quella circostanza, come ritengo che sia stata autentica anche la loro.


I was strolling on the Moon one day, adattamento di questa canzone

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Una questione di copyright

Decenni e decenni fa, un giovane scrittore avveniristico e con lo sguardo che andava lontano utilizzò il computer della sua università per salvare su nastro il suo miglior racconto. Non ne esisteva copia cartacea, lo scopo pionieristico dell’intera faccenda era proprio quella di un uso esclusivo delle nuove tecnologie per poterci scrivere su la tesi del proprio dottorato.
Terminati gli studi, il nostro scrittore andò a lavorare altrove e il racconto da lui scritto rimase negli archivi dell’università.

Dopo qualche anno la tecnologia era cambiata. Ora c’erano i floppy e i computers erano molto più piccoli quindi l’università decise di trasferire il suo archivio su un supporto più moderno. Anche il racconto del nostro scrittore fu convertito in un nuovo file e salvato su un floppy. Nel frattempo i nastri originali erano stati gettati via perché non facenti parte di quei pochi che furono inviati al museo della tecnologia.
Passati altri anni, un tesista che faceva ricerche salvò una copia del file nel formato di word e, letto un racconto così bello, decise di distribuirne copie tra i suoi amici.

Accadde poco tempo dopo che il racconto fosse pubblicato e che finisse tra le mani di un quarantenne che aveva scritto un racconto su nastro. «Caspita! Il mio racconto!» esclamò l’uomo. Purtroppo per lui non rimaneva molto di tangibile riguardo a quei tempi di giovinezza e nulla poté certificare la paternità e la data di stesura dell’opera.

Quali tracce archeologiche lascia la scrittura di un libro? Se digito un testo su file qualcuno può fare un “cut and paste” su un nuovo file e alterare la data o cambiare l’autore. Come faccio a sapere quando un testo è stato scritto? Posso solo fare un confronto con altri testi che ne parlano, cercare testimonianze più “volatili” e meno tangibili, fidarmi di altri autori dell’epoca. Per molti testi che conosciamo la versione più antica pervenuta è posteriore alla loro scrittura: ad esempio i testi di Platone, scritti tra il 100 e il 44 a.C. ma giunti a noi in una copia del 900 d.C. (1000 anni dopo); oppure l’Iliade di Omero, redatta nel 1100 a.C. ma pervenutaci in una copia del 400 a.C. (700 anni dopo).
Molte di queste opere sarebbero andate perdute se nessuno le avesse pazientemente ricopiate, ma il fatto che fra le mani abbiamo solo una copia non falsifica certo l’autore originale. Si tratta di applicare un po’ di buon senso e di comprendere che quando mancano le prove si dovrebbe ammettere di non sapere, piuttosto che imporre una propria teoria.

Floppy

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Testimone

Un pensiero “istantaneo”: se una sera mi trovassi completamente solo e atterrasse davanti a me un’astronave; se dalla nave uscisse un alieno che io potessi toccare e con il quale avessi una comunicazione; se accadesse tutto questo, con quale coraggio potrei andare a riferire della non esistenza di ciò che ho toccato e visto? E se mi torturassero arriverei a dire una ignobile menzogna pur di risparmiarmi il dolore? E se mi facessero un mare di discorsi logici e scientifici che dimostrassero il contrario di ciò che ho visto, udito e toccato?

Al posto dell’UFO e dell’alieno potremmo metterci qualunque cosa. Se un avvenimento impossibile ti accadesse cosa faresti? E se questo avvenimento impossibile fosse così importante e così grande e così bello da non poterlo trattenere per te?

La verità più inconfutabile è quella verità che è vissuta. Ciò che osservo con i miei occhi, ciò che tocco con le mie mani, un avvenimento del quale sono testimone non può essere più cancellato dalla mia mente e dal mio cuore da nessuna prova e da nessun sofisma. Quando la realtà si impone irrompendo nella vita di una persona lascia un segno indelebile.

UFO

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Delitto impossibile

Anche quella volta l’investigatore Ferguson si era fatto accompagnare da Herbert White – il famoso giallista che collaborava con la polizia nel ruolo di consulente – sul luogo del delitto. Si trattava di un appartamento in una palazzina con un unico ingresso custodito da un addetto alla portineria.

«Ferguson, polizia». Alla vista del distintivo il portiere alzò un sopracciglio e disse: «Da questa parte». Ferguson e White lo seguirono fin sul pianerottolo del terzo piano dove notarono già alcune orme di sangue, che per dimensione e andatura erano state probabilmente lasciate da un uomo di media statura. Il portiere aprì la porta. All’interno dell’appartamento erano presenti alcuni segni di colluttazione; una pozza di sangue e alcune orme.
Il corpo era stato portato via.
«Lei è stato tutto il tempo in portineria?» Si rivolse Ferguson al portiere. «Sissignore» rispose.
«E ha notato entrare o uscire qualcuno dall’ultima volta che ha visto la vittima?» – «Nossignore»
«Potrebbe non essersene accorto» osservò White. – «Nossignore. Se fosse passato qualcuno me ne sarei accorto. Da quando la signora Flint è rientrata nessun altro è passato dall’ingresso fino all’arrivo della signora delle pulizie»

Dopo l’arrivo della scientifica Ferguson e White andarono ad interrogare i negozianti che avevano una buona visuale sull’ingresso dell’edificio. La maggior parte erano stati troppo occupati per notare qualcosa ma due di loro, non avendo molta clientela quel giorno, sostennero di non aver visto nessuno né entrare, né uscire.
Ai successivi controlli tutti i condomini risultarono avere alibi di ferro, essendo successo il fatto in un giorno lavorativo.

Ferguson non ne veniva a capo: «Quel corpo non può essersi volatilizzato… Forse la signora Flint si è ferita accidentalmente ed in uno stato confusionale si è gettata dalla finestra». «Non ha senso: non è stato trovato nulla nei dintorni dell’edificio… E poi come le spieghi quelle orme?» ribattè White.
«Beh forse la signora Flint, sotto l’effetto di qualche sostanza, aveva assunto comportamenti anomali e, indossando scarpe da uomo, si è ferita lanciandosi poi dalla finestra e cadendo su qualche mezzo pesante… Un camion, per esempio»
«Questa è una delle ricostruzioni più fantasiose e improbabili che tu abbia mai fatto. Nel dubbio controllerei la circolazione di mezzi pesanti nei dintorni ma sono certo che l’omicida è entrato nello stabile»
«Lo hai visto anche tu che non è entrato nessuno. La mia ipotesi è più probabile della tua»
«Il caso è abbastanza improbabile da richiedere una spiegazione improbabile allora»

Per sfatare ogni dubbio decisero allora di ritornare sul luogo del delitto alla ricerca di tracce di sangue sulle finestre. Pochi istanti prima che varcassero la soglia dello stabile entrò il postino che, ignaro di quanto fosse accaduto, salutò il portiere e si diresse verso le cassette della posta. White osservò attentamente la reazione del portiere: sembrava perplesso, come se avesse avuto un deja vu. «Cosa c’è?» chiese White al portiere. «Niente, Signore. Solo che mi sembrava che oggi il postino fosse già passato».
«Cioè lei vuole dirmi che ha visto entrare il postino e ci ha detto che non era entrato nessuno?»
«Ma il postino non è “qualcuno”. È semplicemente il postino. Che può aver mai fatto a parte consegnare le lettere?»
«Glielo dico io cos’ha fatto: l’omicida, travestito da postino, ha poi portato fuori il cadavere dentro il sacco della posta»

Spesso non ci rendiamo conto dell’importanza di certe cose perché le riteniamo banali e scontate. Entrano talmente nella quotidianità che diventano come invisibili. Altrettanto spesso, quando non siamo in grado di comprendere qualcosa siamo anche disposti ad ignorare le orme lasciate al suolo e le contraddizioni delle spiegazioni “razionali” che formuliamo pur di non escludere una possibilità a noi scomoda. La realtà dev’essere l’ultima parola sulle nostre idee: non permettiamo mai alle ideologie di ingannarci con affascinanti risposte razionali ma inverosimili.

Ispirato e adattato da “L’uomo invisibile” di G.K. Chesterton

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Il nocciolo

Prima della relatività di Einstein, il termine “teoria” significava una cosa ben precisa: un sistema di ipotesi e seguenti tesi che rappresenta una delle possibili spiegazioni ad un fenomeno. La teoria della relatività fu intesa in questo modo finché non furono osservati alcuni fenomeni – la differenza temporale fra orologi atomici in orbita, le lenti gravitazionali – che ne verificarono i postulati. Il nome “teoria” è però rimasto davanti a “relatività”, perciò si è dovuto agire sul significato del termine per permettere questa eccezione:

teoria 1 [te-o-rì-a] s.f.

  • 1 Formulazione rigorosa e sistematica dei principi di una scienza, di una filosofia o di qualsiasi altra forma di sapere: la t. della relatività; ipotesi scientifica formulata per la spiegazione di fenomeni particolari: formulare una t. sullo sviluppo economico
  • 2 Nel l. com., opinione, punto di vista riguardo a qlco.: ho una mia t. su come educare i figli
  • 3 Insieme di norme e principi generali e astratti su cui si fonda un’attività pratica; l’attività intellettuale, concettuale: la t. economica, politica || esame di t., prova scritta necessaria per conseguire la patente di guida che precede la prova pratica |in t., dal punto di vista puramente teorico: in t. la cosa è semplice

dal sabatini-coletti

Nonostante le (in)opportune correzioni, una teoria è e resta sempre in antitesi con la “pratica” e, per estensione, anche con la “realtà”. I principi di una scienza, anche se formulati rigorosamente e sistematicamente, possono ancora essere considerati non definitivi, una delle tante possibili spiegazioni, qualcosa che potrebbe rivelarsi falso in qualsiasi momento. E non finisce mica qui.
I principi di una scienza molto raramente sono autoconsistenti, cioè raramente non necessitano di alcuna base sulla quale poggiarsi. Nella stragrande maggioranza dei casi un principio altro non è che quella tesi conseguente alle ipotesi in quel sistema che rappresenta una delle possibili spiegazioni ad un fenomeno. Ciò implica che quanto più un’ipotesi si allontana dal caso reale, tanto più la teoria si trasforma in una fantasia adattata ad alcuni fatti – e che pretende di esserne poi avvalorata; non è neanche più la rappresentazione di un caso “ideale” – cioè senza imprevisti.

Per fare un esempio pratico possiamo citare il film “The core“, non tanto per il contenuto scientifico o meno ma per l’approccio alla scienza che viene più volte messo in risalto all’interno del film. Di fronte alla teoria che spiega – o spiegherebbe – come è fatto l’interno del pianeta, più volte viene presentato il dubbio: “E se non fosse così?”. Ed effettivamente il dubbio viene confermato più volte perché, nonostante tutte le prove che possono avvalorare la nostra teoria, la prova definitiva – cioè la misura in loco – non c’è. In questo, come in moltissimi altri casi nella storia della scienza, dall’archeologia all’astrofisica, la realtà si dimostra sempre ricca di sorprese; sorprese che possono distruggere in un batter d’occhio le nostre teorie.

Lo scienziato troppo fiducioso delle proprie teorie e/o troppo sicuro di sé oppure ideologicamente convinto di qualcosa (o della sua non verità ), di fronte all’evento nuovo può imbarcarsi nelle spiegazioni più contorte e impressionanti, ma l’invito concreto che dev’essergli mosso è lo stesso che sentiamo in una scena del film: «Ripeti con me: “non-lo-so“». L’umiltà di fronte al mondo circostante innanzitutto.

The core

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Scherzo da fisico

Sappiamo che il carbonio 14 è un isotopo dello stabilissimo cugino carbonio 12 e sappiamo anche che è uno di quegli isotopi che ci entrano in corpo e ci decadono dentro senza che noi lo percepiamo. Durante la nostra esistenza lo rinnoviamo continuamente all’interno del nostro corpo nutrendoci e respirando (viene prodotto nell’alta atmosfera); solo con la morte il rinnovo cessa e la quantità di carbonio 14 comincia a diminuire.

Supponiamo allora di misurare la percentuale di carbonio 14 in un frammento di materia organica dando i risultati a due persone: Andrea e Piero. Andrea, che ragiona secondo un principio rigido e chiuso, conclude che, entro i margini di errore, quel frammento è vecchio di un certo numero di anni. Piero invece non fa il passo più lungo della gamba, ma si limita a dire che una certa percentuale di isotopo è compatibile con un corrispondente periodo di tempo dalla morte. La differenza tra i due sembra impercettibile ma è fondamentale.

Se io, senza dire nulla, prendessi un osso di dinosauro e lo bombardassi con un certo fascio di particelle di una certa energia per poi farlo datare ad Andrea e Piero, il primo mi direbbe che gli ho portato un falso, il secondo si limiterebbe a dire che ha misurato una percentuale di isotopo incompatibile con il triassico. Mentre il primo giunge ad una conclusione falsa per aver chiuso le sue ipotesi, il secondo tiene sempre bene a mente che la datazione ha senso se e solo se nulla è intervenuto sul reperto ad eccezione dello scorrere del tempo. Andrea, non conoscendo tutta la storia del reperto – compreso il mio scherzo da fisico nucleare – ha dato per scontate una serie di ipotesi perché non lascia alcuna apertura verso fenomeni a lui ignoti.

Ci sono due modi di considerare la scienza, i suoi risultati e la conoscenza in nostro possesso. Uno è rigido; l’altro è plastico. Il primo è presuntuoso e precipitoso; il secondo è umile e riflessivo. La differenza sta nel rapporto che abbiamo con l’ignoto e nel valore che diamo alle informazioni che conosciamo.
Noi possiamo misurare e conoscere solo una parte della realtà; per tutto il resto, che non conosciamo, è regola di buon senso non vantare certezze.

Curva di calibrazione del carbonio 14

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Non è tutto vero ciò che è semplice

Nel film “Contact” di Robert Zemeckis (1997) la protagonista si ritrova, dopo varie vicissitudini, a sostenere un avvenimento della quale è l’unica testimone e per il quale non è in grado di fornire altra prova se non la sua stessa testimonianza. La spiegazione più “semplice” che il mondo scientifico dà all’accaduto è che sia stato tutto una colossale truffa. In realtà lo spettatore, che “ha visto tutto”, sa che la spiegazione della protagonista è vera e sa anche che una telecamera che registra in pochi millesimi di secondo un rumore di diciotto ore è una prova da non rigettare.
Il film mostra come, ignorando o rigettando alcuni elementi che sono in realtà validi, sia possibile giungere a conclusioni totalmente errate.


Spoiler: consiglio di non guardare a chi non vuole rovinato il finale del film.
Il volume è un po’ basso ma spero si senta lo stesso.

Il mondo della scienza non è nuovo a questo tipo di approccio fallace: lo abbiamo visto per quanto riguarda i fossili, ma cose analoghe sono successe per le meteore, i microrganismi e, perfino, il concetto stesso di “Big Bang”. Pensiamo, per esempio, all’esperimento di Rutherford: bombardare con particelle alfa un foglio d’oro e osservare i bagliori prodotti su uno schermo fluorescente dall’impatto di queste particelle. La maggior parte dei bagliori sono osservati dall’altra parte del foglio, evidenziandone l’attraversamento da parte delle particelle alfa. Una piccolissima quantità di bagliori viene però vista all’indietro: la spiegazione più “semplice” sarebbe quella di imputare questi ultimi bagliori a rumore di fondo e perturbazioni dall’esterno. Avessimo dato credito a questa spiegazione, penseremmo ancora che l’atomo sia un panettone con gli elettroni e i protoni al posto dei canditi. Come invece sappiamo, la spiegazione vera è più complessa: un nucleo; un grande spazio vuoto; elettroni che orbitano all’esterno.

Il Rasoio di Occam è il principio metodologico, formulato nel XIV secolo da Guglielmo di Occam, secondo il quale la spiegazione di un fenomeno è tanto migliore quanto minori sono le ipotesi ad essa necessarie. Potrebbe anche essere formulato, in altri termini, sostenendo che, a parità di fattori, la spiegazione più “semplice” sarebbe quella migliore.
L’esperienza personale insegna però che a maneggiare un rasoio con poca perizia si rischia di provocarsi qualche doloroso taglio o di restarci addirittura secchi. Il principio, di per sé, non è errato ma, di fatto, può essere applicato solo a casi abbastanza ipotetici, dove si può imporre l’ipotesi che l’osservatore sia a conoscenza della totalità dei fattori con grande precisione. Nel momento in cui l’osservatore ha a disposizione solo una piccola porzione degli elementi in gioco o sceglie arbitrariamente di ignorare alcuni fattori, si fa in modo che la spiegazione più semplice sia la propria. A questo punto, applicare il Rasoio di Occam diventa solo un modo per piegare i fatti alla propria teoria perché, per chiusura mentale, ne abbiamo stabilito la validità a priori.

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Cold Case

È circa l’ora di pranzo, la maggior parte della gente è a lavorare o a casa a mangiare. Alla centrale di polizia giunge la telefonata di una donna che riferisce di aver assistito ad un omicidio. Dopo qualche minuto i poliziotti giungono sul posto, un minimarket annesso ad una stazione di servizio di una strada non molto trafficata. La donna che ha effettuato la telefonata è la commessa. La vittima è una cliente della quale nessuno conosce il nome ma il suo corpo non si trova all’interno del negozio. L’unica traccia è del sangue sul pavimento e un contenitore di sacchi per l’immondizia rovesciato a terra.
Un primo investigatore interroga a fondo la commessa e scrive un suo rapporto sull’accaduto. Versione 1.

Al momento dell’omicidio nel negozio c’era un’altra persona: un ragazzino che, approfittando della sosta di rifornimento del padre, era entrato per procurarsi una merendina giusto per non avere fame durante il viaggio. Era tra gli scaffali e non è stato visto. Ha sentito la voce dell’aggressore e della vittima ma era troppo basso per vedere oltre gli scaffali. Un esperto negli interrogatori di bambini che assistono a delitti scrive un rapporto basandosi sulla testimonianza del ragazzino. Versione 2.

Il padre del ragazzo era fuori a fare benzina durante l’aggressione. Ha visto in lontananza entrare un uomo di grande stazza e uscire dopo pochi minuti con un carrello per la spesa che conteneva un grosso sacco nero per l’immondizia. Inizialmente la sua testimonianza non viene considerata perché troppo distante dal luogo dell’accaduto ma, dopo qualche mese di indagini, viene convocato per trascrivere la sua deposizione. Versione 3.

Dopo due anni di indagini, fatti di ipotesi e di indizi, un secondo investigatore scrive un testo basandosi su tutto il materiale raccolto fino a quel momento, indicando quali potrebbero essere, secondo lui, gli indiziati e aggiunge un elenco di ragazze scomparse che corrispondono al profilo della vittima, come viene descritto dalle testimonianze. Versione 4.

Dopo un altro anno, il detective muore in un incidente stradale ed il suo caso viene archiviato come irrisolto.
Un poliziotto dei giorni nostri viene a conoscenza del caso da un certo detective Malone e se ne interessa distrattamente. Legge superficialmente i quattro rapporti trovando decine di contraddizioni ed incongruenze. Poiché il suo turno era quasi finito e doveva andare a casa, conclude che si trattava di una grossa burla e che non c’è mai stato nessun omicidio, nessuna vittima, nessun aggressore. Secondo lui il caso è chiuso. Va perciò dal suo capo ed, esponendogli tutte le contraddizioni trovate, inventa anche una sua spiegazione sui presunti indizi. Spiega, ad esempio, il sangue sul pavimento dicendo che la sorella della commessa era infermiera e poteva averle dato degli scarti di trasfusioni.

Il capo lo congeda e telefona al suo referente: «Devo farlo trasferire, è proprio un incapace. Neanche un’ora fa l’investigatore Malone mi ha comunicato che la sua indagine indipendente ha dato i suoi frutti… Il corpo della donna è stato trovato ed il colpevole sta già giungendo in centrale.»
La contraddizione è fisiologica delle testimonianze soprattutto se vengono da persone diverse che possono anche essere tutte in buona fede. È stato anche scientificamente provato che il cervello tende a ricostruire le parti mancanti dei fatti involontariamente. Negare un avvenimento solo perché la sua descrizione da parte dei testimoni diversi non è copia conforme è pericoloso: si rischia di non concludere mai nulla e di lasciare la verità a fermentare nel suo nascondiglio.

Investigatore

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Fiducia e dimostrazioni

Ci sono volte in cui noi possiamo fare tutto quello di cui ha bisogno un’altra creatura, se solo questa si fiderà di noi. Quando liberiamo un cane da una trappola, estraiamo la spina dal ditino di un bimbo, insegniamo ad un ragazzo a nuotare, o salviamo uno che non ne è capace, quando aiutiamo uno spaventato principiante ad attraversare un valico pericoloso di montagna, il solo ostacolo fatale può essere la loro sfiducia.

Stiamo chiedendo loro di fidarsi a dispetto dei loro sensi, della loro immaginazione e della loro intelligenza. Stiamo chiedendo loro di credere che un nuovo dolore farà passare il dolore e che ciò che sembra un pericolo è invece la loro salvezza. Chiediamo loro di accettare per vere cose che sembrano apparentemente impossibili: che spingere la zampa ancora più dentro la trappola è il solo modo di uscirne – che ferire ancora di più il ditino farà passare il dolore – che l’acqua che è evidentemente permeabile farà resistenza e sosterrà il corpo – che afferrarsi all’unico sostegno a portata di mano non è il modo per non annegare – che salire più in alto fino ad uno spuntone di roccia ancora più sporgente è il solo modo per non precipitare.

A sostegno di tutte queste cose incredibili possiamo solo fare assegnamento sulla fiducia dell’altro verso di noi – una fiducia che certo non si basa su dimostrazioni, che è ovviamente intrisa di emotività e forse, se l’altro ci conosce poco, basata su niente altro che il grado di sicurezza che gli infonde la nostra faccia, o il nostro tono di voce, o perfino, nel caso del cane, il nostro odore. A volte, proprio per la fiducia degli altri, noi riusciamo a fare grandi cose.

Clive Staples Lewis, Club Socratico di Oxford 1955

C. S. Lewis

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La storia del tuo paese

Tutti, chi più, chi meno, siamo un po’ attaccati a “casa” e alle nostre origini. Allo stesso modo possiamo essere orgogliosi di un hobby, o della nostra squadra del cuore oppure delle cose buone della nostra città.

Supponiamo ora di incontrare una persona straniera su qualche programma di messaggistica istantanea e che questa persona (magari per qualche preconcetto) cominci a dire delle vere sciocchezze sulla nostra città, sulla nostra casa, sul nostro hobby o sulla nostra squadra del cuore. Mi sembra evidente che ciascuno risponderebbe mostrando la dissonanza di quanto ha appena ascoltato con ciò che proviene dalla sua esperienza diretta con l’ambiente, la città, l’hobby, la squadra appena “oltraggiata”.
Capita però sempre più spesso che in una discussione del genere arrivi il fatidico momento nel quale viene pronunciata la formula: «Dovresti ascoltare delle fonti esterne al tuo gruppo di hobbisti, tifosi, cittadini etc.».

È vero che ascoltando solo la propria campana si cade in una parzialità ineliminabile, è anche vero che è però sbagliato snobbare e ignorare la campana del gruppo che si sta attaccando supponendone la parzialità. La parzialità è infatti ovunque ed è certo che non c’è essere umano che sia totalmente neutrale su un qualche argomento giacché chi si finge neutrale nasconde spesso (neanche tanto velatamente) qualche ideologia.
Se la vera storia degli Stati Uniti d’America non la si può apprendere dai libri di storia americani perché sicuramente troppo a favore degli stessi, non possiamo nemmeno pretendere di apprenderla da un libro scritto da Osama bin Laden o da qualche autore apprezzato nell’ex unione sovietica. Non possiamo pretendere che la verità sull’ebraismo ci sia elargita da un testo edito dai nazisti come non possiamo pretendere che sia uno schiavista ad istruirci su chi può essere definito umano e chi no.

Insomma, la validità di un’informazione o di un parere non si misura in base alla sua provenienza e l’ago della bilancia della verità può stare tanto verso chi “difende” quanto verso chi “attacca”. Un povero agricoltore il cui sapere non varca la soglia del suo terreno può dire una cosa verissima come un docente universitario può sbagliare dicendo una castroneria.
Il metro di giudizio sulla realtà è l’esperienza diretta ed il grado di fiducia che ne scaturisce quando la si usa per valutare una persona. Salvo rare eccezioni, ci fidiamo della nostra mamma, del fatto che non ci avveleni il pranzo, perché ella ci ha nutriti fin dall’inizio della nostra esistenza e la nostra esperienza diretta con lei conferma la sua bontà verso di noi.

Un'immagine dell'epoca di Stalin. Un personaggio diventato scomodo e quindi eliminato fisicamente, il commissario Nikolai Yezhov ex capo dei servizi segreti sovietici, fu anche cancellato dalla foto che lo ritraeva con il leader dell'URSS

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