Filosofi a calcio

In un vecchio esilarante filmato dei Monty Phyton i più grandi filosofi si trovano a disputare una partita di calcio. I filosofi vengono dotati di palloni, sono schierati, alcuni palleggiano ma…
… ma nessuno di loro sa quale sia lo scopo del gioco. Passano l’intera partita riflettendo, discutendo e spremendosi le meningi.

Forse se avessero visto giocare un professionista non avrebbero perso tutto quel tempo o forse no. Vedere giocare qualcuno può non servire a nulla se ci si concentra sul puro ragionamento e non si trasforma quanto visto in una osservazione. Il ragionamento privo della componente osservativa può condurre a concludere che i giocatori professionisti stiano sbagliando e non abbiano capito il gioco, mentre il mio ragionamento isolato, per motivi che mi appaiono logici, diventa per me la vera soluzione al problema. In questo caso però sono io a sbagliarmi, ma non me ne rendo conto.

E se qualcuno avesse spiegato loro le regole del gioco e l’obiettivo della partita? Potevano sempre non credere, ritenendo le regole del gioco una serie di imposizioni infondate. Anzi, a lungo andare la scarsa comprensione delle regole, la chiusura mentale e la globale sfiducia verso chi sta spiegando le regole possono condurre ad assurde dietrologie, spesso alimentate proprio da quel ragionamento apparentemente molto logico ma completamente chiuso rispetto all’osservazione. In questo caso chi spiega le regole si trasforma da aiuto essenziale ad oppressore, ladro, sfruttatore, assetato di potere etc. rischiando anche la pelle.

Noi che siamo gli spettatori e conosciamo più o meno tutti le regole del gioco, sappiamo cosa significhi giocare a calcio e ci sembra pure una cosa ovvia. Chi invece non conosce il gioco, parlando con – o guardando – noi, può pensare di parlare con uno che sta delirando o non riuscire completamente a capire quel che gli viene detto interpretando, in base al proprio ragionamento isolato, le parole altrui in discorsi completamente diversi che assecondino l’idea che egli si è fatto del gioco. Tutto ciò non succede certo con il calcio, come nel caso ipotetico del video, ma per molte cose importanti della vita sì; e perdere la partita della vita per non aver capito il gioco per tempo è la più grande disfatta.

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Scienza confutatoria?

Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione in questi ultimi anni ha favorito la diffusione degli argomenti scientifici alimentandone l’interesse anche fra i non addetti ai lavori. Sebbene da una parte ciò significhi un bene – perché il sapere è sempre una ricchezza – dall’altra, non essendoci stata – né prima, né durante -  alcuna educazione, si è finito con il travisare lo spirito scientifico.

Può darsi che nemmeno chi stia scrivendo sappia bene cosa sia il senso della scienza, fatto sta che quando un meccanismo funziona male, stride e il suo rumore dà fastidio.
Il lavoro di uno scienziato è simile a quello di un esploratore: vuole conoscere ciò che ancora non è conosciuto; comprendere ciò che  nessun uomo aveva compreso prima. Come l’esploratore affronta la tempesta per approdare alla spiaggia sconosciuta, così lo scienziato affronta le difficoltà sperimentali e si ingegna nel risolvere problemi per scoprire e capire ciò che sta al di là della frontiera del sapere umano.

Alcune persone hanno una maniera di concepire la scienza che, in qualche modo, la offende. Di fronte ad un evento nuovo, invece di approfondire ed esplorare, come l’apertura mentale alla base dello spirito scientifico vorrebbe, cercano di spiegarlo combinando uno o più eventi già noti avanzando ipotesi su ipotesi. È come se avessero paura della novità, di valicare quel confine che, secondo la leggenda, veniva definito “hic sunt leones”.
Probabilmente la paura c’è e, in nome di questa paura, usano barbaramente la scienza come accetta per abbattere i mostri. È la paura di ammettere di non sapere; il terrore che nel mondo ci sia ancora qualcosa che si può definire “mistero” (che parola rinnegata: la si trova solo nelle trasmissioni televisive basate sulla dietrologia). Tra loro e quelli che difendevano il sistema geocentrico con i circoli deferenti e gli epicicli non c’è differenza.

E dire che centinaia di migliaia di anni fa era scontato che il mondo fosse in gran parte mistero. Oggi lo è ancora, ma l’immenso oceano da scoprire fa paura e fa più comodo fare finta di trovarsi in una pozzanghera della quale si vedono bene i confini. Se i nostri antenati si fossero fermati a spiegare il Sole come “semplicemente” e “solamente” un grosso ceppo in fiamme, saremmo ancora come loro. Invece c’è stato chi è rimasto affascinato dal mistero e ha cercato di scoprirlo, di colmare quella sete inesauribile di sapere che, a causa del fraintendimento accennato all’inizio, viene oggi sempre più ignorata. Eppure, in un universo finito popolato da esseri finiti, questa sete infinita dovrebbe far riflettere.

Leones

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