Il tramonto dei sognatori

Ieri a cena il discorso è caduto su alcune attività commerciali della mia città. Un grande rivenditore di elettrodomestici ha chiuso i battenti. Ci avevo comprato un glorioso videoregistratore Minerva a sei testine, la macchina del gelato tuttora utilizzata – slurp! – ed un piccolo registratore per le conferenze. Ora quello stabile è triste: luci spente, ambienti vuoti, saracinesche abbassate.
Qualche anno fa anche la cartoleria che avevo sotto casa ha chiuso. Era una risorsa per tutto il quartiere, ed anche oltre – data la sua vicinanza al complesso che ospita asilo, elementari e medie della zona – considerando che l’equivalente più vicino dista quasi un chilometro. Ora non saprei dire bene cosa ci sia o ci sarà in quegli stessi locali: mesi fa era un negozio di moda, fallito anch’esso – al quartiere serve la cartoleria, è difficile da capire? – e sostituito da un fruttivendolo che vedo sempre a corto di clienti.

La stessa brutta sensazione degli esempi precedenti la provo anche quando ripenso allo Space Shuttle, la gloriosa navicella riutilizzabile della NASA che è andata in pensione senza lasciare eredi. Il cosmo, l’esplorazione, la tipica voglia umana di andare dove nessun uomo è mai giunto prima, sono inflazionati e pertanto chiudono i battenti. Non interessa più.
Secondo me questo la dice lunga su un’umanità che perde pian piano la sua essenza confondendosi nel mare di distrazioni e svaghi che una certa mondanità offre. A che serve sognare di esplorare Marte se puoi sollazzarti con i giochini dell’Iphone? A che giova immaginare missioni verso l’ignoto quando puoi trascorrere il pomeriggio guardando i messaggi di stato dei tuoi contatti su Facebook? Perché sfidare sé stessi nell’escogitare il modo di realizzare grandi sogni quando la sera si ha il divertimento dei giochi erotici?

Dov’è finito l’uomo esploratore che sfidava la morte per raggiungere il polo? Dove sono i John Glenn, gli Auguste Piccard, i Cristoforo Colombo? Siamo sicuri che sia più bello e più degno per noi esseri umani appiattirci in una dimensione di pigrizie soddisfatte dalla tecnologia e di orizzonti limitati a poche avventure casalinghe?
No; mi spiace. Io non riesco a rinnegare la mia natura di sognatore, esploratore, avventuriero. Apparirò come uno che butta il suo tempo in fantasticherie, come un giovanotto avventato, come uno che non ha la testa sulle spalle, ma ritengo che serva anche questo a rendere doverosa giustizia all’umanità che c’è in me, colmando il desiderio di infinito che ho nel cuore.

Esplorazione

Share

Esperimento con il bianchetto

Supponiamo che un vostro amico burlone abbia preso il libro che state leggendo e ve lo abbia restituito dopo aver passato uno strato di bianchetto sul nome di un personaggio del quale non avevate ancora letto nulla. Beh, non potete proprio sopravvivere all’ignoranza di quel nome, perciò vi armate con una lametta e cominciate a raschiare via il bianchetto. Bisogna però fare molta attenzione perché potreste portarvi via anche l’inchiostro.Segni di inchiostro

Dopo un po’ che raschiate appare qualche segmento di una lettera. Uhm… All’inizio vi sembrano segni senza senso. Qualcuno potrebbe anche dubitare che lì sotto vi possa mai essere stato un reale simbolo della vostra lingua e potrebbe anche dire che l’autore del libro, scrivendo un nome alieno, abbia messo macchie casuali di inchiostro. Fase uno: elementi sconosciuti che richiedono interpretazione.

OCR oDopo aver fissato le macchie per un po’, aiutandovi con il testo circostante, capite che la lettera dev’essere dell’alfabeto latino e la disposizione dei segni vi suggerisce che la lettera misteriosa sia una “o”. Qualcuno potrebbe, a questo punto, dichiarare chiusa la faccenda e passare alla lettera successiva. Fase due: teoria.

Bene! Avete una spiegazione che funziona ma, se non siete cattivi utilizzatori del rasoio di Occam, non potete non chiedervi se quei segni sono veramente una “o” o se avete invece preso una cantonata. Una spiegazione semplicissima e perfettamente funzionante non è per forza la migliore, quella che descrive la realtà, la verità.
Vi viene a trovare una vostra amica che vi dice: «Qui c’è un cerchio ma la lettera potrebbe acnhe essere una “q”». Avete due possibilità: ascoltare la vostra amica oppure prenderla per una scocciatrice che vi vuole dare torto sulla vostra bellissima teoria della “o”. Se non siete chiusi mentalmente vi metterete a raschiare intorno per cercare nuovi elementi. Fase tre: apertura mentale. Swgni di inchiostro

Se è vero che lì c’è una “q” allora, raschiando in basso a destra si dovrebbe trovare dell’inchiostro. Con molta fatica riuscite a raschiare un altro po’ di bianchetto ed ecco comparire un altro segno. Cavolo! Eravate proprio convinti che fosse una “o”. Qualcuno però potrebbe dire che il nuovo segno che avete trovato sia soltanto un minuscolo insetto che è rimasto invischiato nel bianchetto e perciò la spiegazione della “o” andrebbe bene ugualmente. Se non siete troppo orgogliosi e, ancora una volta, chiusi mentalmente non la pensate affatto così. Fase 4: verifica.

OCR qSiete certi che la lettera sia una “q”? Se avete imparato la lezione della “o” allora dovreste pensare che ciò che avete trovato può non essere una “q”, anzi, che potrebbero essere diverse lettere o che avete raschiato male. Se siete onesti ed umili allora non andrete a combattere con la dialettica chi vi dice che quei segni sono in realtà una “g” e che, magari, ve lo dice proprio perché quel libro lo ha già letto. Se siete ragionevoli non potete asserire con assoluta certezza che nei vostri segni non c’è e non ci sarà mai una “g” e che pertanto chi sostiene la “g” debba senz’altro sbagliarsi.
Non basta che una teoria spieghi bene i fatti noti e ne preveda alcuni non noti. La posizione onesta, di fronte alla natura, è quella di ammettere di non sapere e, soprattutto, di non negare una cosa, solo perché sembra improbabile o inverosimile, solo perché non rientra nei nostri schemi. Diceva Luigi Pirandello: «Le assurdità della vita non hanno bisogno di parer verosimili, perché sono vere. All’opposto di quelle dell’arte che, per parer vere, hanno bisogno d’esseri verosimili.»

OCR g Nessun libro è stato vilipeso per la realizzazione di questo post

Share

Affidarsi alle onde

Ci sono due tipi di bagnanti: quelli che stanno semplicemente a mollo dove si tocca e quelli che invece nuotano divertendosi.

I primi non accettano di concedere al mare il benché minimo potere di spostarli (anche se poi ci riesce lo stesso). Mantengono la posizione ribellandosi alle onde e vivendo il bagno come un continuo assalto al dominio della propria posizione da parte del mare. In genere chi fa così non sa nuotare e se cerca di galleggiare non ci riesce. Più cerca di galleggiare con un proprio sforzo, più va a fondo.

I secondi sanno che per nuotare devi abbandonarti alle misteriose acque almeno in parte; che quando si galleggia non è uno sforzo a sostenerli ma il mare stesso. Sono cullati dalle onde e solcano le correnti muovendosi in ogni direzione anche dove non si tocca. Addirittura si rilassano facendo “il morto” e abbandonandosi completamente alle onde, pur potendo smettere in qualsiasi momento.
È una questione di orgoglio e fiducia: c’è chi si affida alle onde; c’è chi si ostina nella sua posizione e non scopre mai quanto sia bello nuotare.

Tartaruga marina

ringrazio ovviamente la fidanzata per l’ispirazione

Share

Cosmo orfano

Finalmente l’era spaziale, la vera era spaziale per la Terra era iniziata. Da quando, all’inizio del secolo, i fratelli Guiltmore avevano costruito il primo prototipo di astronave superluce, ogni nazione aveva fatto di tutto per dotarsi di questi mezzi. Un intero cosmo era sopra tutti loro in attesa di essere scoperto, esplorato, colonizzato.
Molti ragazzi avevano intrapreso la carriera scientifica con il sogno di poter mettere piede su quelle 345 astronavi presenti nel mondo. John Clever era uno di questi. Sarebbe diventato un buon sergente di macchine una volta imbarcato. Conosceva alla perfezione ogni passaggio del funzionamento dei motori e dei reattori dei nuovi modelli di astronavi. Era solo una questione di tempo e, terminati gli studi, si sarebbe imbarcato.

Il cinque ottobre di quello stesso anno l’astronave russa знаний aveva iniziato le procedure di discesa in atmosfera verso l’astroporto di Sanpietroburgo. Era in anticipo di due ore perché il capitano era talmente eccitato per la scoperta di un pianeta extrasolare abitabile da voler precipitarsi subito a casa a comunicare personalmente la notizia. Una fitta nebbia circondava l’astroporto, nel quale si preparava il decollo della разведка.
«Tutto operativo, signore»
«Bene… Tenente, com’è finita con il disturbo statico?»
«Ancora niente, signore. Rileviamo il radiofaro dell’astroporto ma le comunicazioni sono disturbate»
Pochi minuti dopo l’addetto alle comunicazioni prese la parola: «Signore… Comunicazione in arrivo»
«In viva voce»
“…. traiettoria….pista…at…libera”
Dopo qualche secondo il capitano concluse: «Via libera. Incanalarsi lungo la traiettoria di atterraggio». L’astronave entrò in quella strana nebbia scomparendo dai radar disturbati della torre di controllo. L’operatore capo della torre, osservati i radar, allora ordinò: «Comunicate il via libera alla разведка»
«Fra poco dovremmo vedere l’astroporto» bisbigliava un tenente della знаний al suo collega seduto lì vicino, mentre tutta la plancia guardava lo schermo principale. Tutti gli occhi erano fissi su quello schermo. Da un momento all’altro avrebbero rivisto il suolo.
Improvvisamente sullo schermo apparve la разведка che andava dritta verso di loro.
«Porco diavolo!» esclamò il capitano e fu l’ultima cosa che disse. A nulla servirono le manovre di emergenza: le due navi si scontrarono e, per l’impatto, entrambi i reattori principali delle due navi detonarono sprigionando tutta la loro energia. Fu distrutta qualsiasi cosa in un raggio di ottanta chilometri. L’intera città di Sanpietroburgo cancellata dalle cartine. Milioni di morti all’istante. L’asse della Terra si spostò di tre centimetri e la contaminazione si estese fino in Francia, in India e nel Canada.

Un anno dopo la tragedia iniziò lo smantellamento delle 343 astronavi rimanenti.
Una sera John era salito a riflettere sulla collina. In lontananza vedeva le carcasse di quei bastimenti dello spazio circondate dalle luci delle fiamme ossidriche. Sembravano immense carcasse di calabroni lentamente smembrati dalle formiche.
John alzò lo sguardo e sospirò guardando la volta celeste. Proprio in quel momento una stella cadente tagliò in due la sua visuale. Quel cosmo orfano di esploratori versava una lacrima per il piccolo pianeta che si era chiuso in sé stesso. Un mondo che aveva scelto di concludere la sua agonia entro i suoi limitati confini.

Stella cadente

Share

Scherzo da fisico

Sappiamo che il carbonio 14 è un isotopo dello stabilissimo cugino carbonio 12 e sappiamo anche che è uno di quegli isotopi che ci entrano in corpo e ci decadono dentro senza che noi lo percepiamo. Durante la nostra esistenza lo rinnoviamo continuamente all’interno del nostro corpo nutrendoci e respirando (viene prodotto nell’alta atmosfera); solo con la morte il rinnovo cessa e la quantità di carbonio 14 comincia a diminuire.

Supponiamo allora di misurare la percentuale di carbonio 14 in un frammento di materia organica dando i risultati a due persone: Andrea e Piero. Andrea, che ragiona secondo un principio rigido e chiuso, conclude che, entro i margini di errore, quel frammento è vecchio di un certo numero di anni. Piero invece non fa il passo più lungo della gamba, ma si limita a dire che una certa percentuale di isotopo è compatibile con un corrispondente periodo di tempo dalla morte. La differenza tra i due sembra impercettibile ma è fondamentale.

Se io, senza dire nulla, prendessi un osso di dinosauro e lo bombardassi con un certo fascio di particelle di una certa energia per poi farlo datare ad Andrea e Piero, il primo mi direbbe che gli ho portato un falso, il secondo si limiterebbe a dire che ha misurato una percentuale di isotopo incompatibile con il triassico. Mentre il primo giunge ad una conclusione falsa per aver chiuso le sue ipotesi, il secondo tiene sempre bene a mente che la datazione ha senso se e solo se nulla è intervenuto sul reperto ad eccezione dello scorrere del tempo. Andrea, non conoscendo tutta la storia del reperto – compreso il mio scherzo da fisico nucleare – ha dato per scontate una serie di ipotesi perché non lascia alcuna apertura verso fenomeni a lui ignoti.

Ci sono due modi di considerare la scienza, i suoi risultati e la conoscenza in nostro possesso. Uno è rigido; l’altro è plastico. Il primo è presuntuoso e precipitoso; il secondo è umile e riflessivo. La differenza sta nel rapporto che abbiamo con l’ignoto e nel valore che diamo alle informazioni che conosciamo.
Noi possiamo misurare e conoscere solo una parte della realtà; per tutto il resto, che non conosciamo, è regola di buon senso non vantare certezze.

Curva di calibrazione del carbonio 14

Share

Il campo di forza

Quando, circa cento anni fa, gli Attanistei avevano iniziato a solcare gli immensi spazi del cosmo, le loro navi non erano nulla di speciale: corazze in metallo; propulsori a curvatura; armi a particelle. Vedevano lo spazio interstellare come un immenso mare da esplorare con innumerevoli porti ad attenderli, popoli da conoscere, mondi da esplorare. Quanto di più affascinante un popolo aveva da dare loro lo accoglievano arricchendosi e poi facevano altrettanto con tutto ciò che avevano visto e imparato.

Purtroppo anche lo spazio nasconde delle insidie. Oltrepassata la nube di Liodo, gli Attanistei furono assaliti più e più volte dai pirati dello spazio. Ci fu pure una volta in cui gli assalitori non erano in cerca di mercanzie ma di materiale biologico. Gli Attanistei, che erano un popolo sensibile e aperto, si erano fatti imbrogliare e uccidere fin troppo: subivano il dolore e il male come assorbivano la bellezza degli altri popoli.
Fu così che gli Attanistei cambiarono, si chiusero. Per loro era amico solo un altro Attanisteo, tutti gli altri erano nemici e si doveva attaccare prima di diventare il bersaglio. Inventarono un potente campo di forza che respingeva ogni cosa e si dotarono di armi veramente pericolose.

Successe allora che, per un guasto al sistema di traduzione, vi fu un equivoco e aprirono il fuoco contro una nave di Arsictini, colpevoli solo di esistere. Quelli si difesero ma il campo di forza riflesse all’indietro i colpi e tutto l’equipaggio di quella nave morì.

Ci sono persone che, dopo aver vissuto delle sofferenze e dei momenti negativi, costruiscono come un muro, pesante, oppressivo, spesso, intorno al loro cuore. Se ridono, lo fanno con un retrogusto di amarezza, quando si sbeffeggia l’avversario politico o ideologico. Se provano un sentimento, questo è solo un rancore che non si riesce a sedare, neanche vincendo le battaglie in nome della propria ideologia. In alcuni casi, il muro è così spesso, che queste persone si riducono a delle macchine: per non soffrire più eliminano completamente tutto ciò che giudicano non razionale e logico.
L’uomo non è soltanto “mente” e tessuti. Di ogni essere umano è importante il cervello ma è ugualmente importante il cuore, inteso non come muscolo cardiaco ma come nocciolo ineffabile, elemento centrale della coscienza situato al di là della sfera logica. Se scegliamo di rinunciare al cuore, rinneghiamo la nostra umanità.

Scudo spaziale

Share

Cecità e daltonismi

Erano passati ormai tre anni dall’incidente. L’ultima immagine che gli occhi di Diego avevano visto era una cascata di acido nella sua direzione, poi il buio.
Diego era una brava persona, aveva dedicato tutto il suo tempo al lavoro e alla famiglia e forse ci aveva dedicato anche troppo tempo. Il mondo gli scorreva davanti in tutte le sue manifestazioni ma lui era occupato dai suoi impegni. Semplicemente, non si poteva permettere di fermarsi e guardare, anzi, osservare ciò che lo circondava. Anche la famiglia stessa si era trasformata in una serie di post-it attaccati a delle sagome sempre uguali.

Ora che non ci vedeva più sentiva opprimente il vuoto “ottico”. Aveva poche immagini in mente, pochi ricordi della sua possibilità di vedere, cose normali, facce usuali, muri, sedie, attrezzi. Sentiva cinguettare gli uccelli ma non aveva altro che sagome stilizzate da immaginare; aveva i suoi cari vicino ma visualizzava solo lineamenti neutri.
«Non si può continuare così – si diceva – Se avessi osservato un po’ di più quando ci vedevo… C’era così tanto da vedere ma ora non mi rimane niente. Basta! Rivoglio la mia vista!»
Il poveretto era disperato ma aveva sentito parlare di un’operazione in grado di ridargli la vista. Per questo ora si trovava in quella stanza di ospedale con le bende sugli occhi.

Quell’operazione gli cambiò la vita; non perché aveva riacquistato la vista ma perché aveva ritrovato qualcosa di più importante: la voglia di stupirsi. Sentiva i versi degli uccelli e li individuava con lo sguardo scoprendo il contrasto tra il giallo becco del merlo ed il suo piumaggio nero; il carnevale giallo e rosso dei cardellini; le danze dei passeri. Ora si meravigliava guardando il viso della figlia mentre scriveva un tema; il sorriso della moglie il giorno che andarono a vedere le stelle; il movimento delle mani di sua madre quando raccontava dei tempi andati. Dettagli su dettagli. C’era sempre da scoprire qualcosa di affascinante, qualcosa che riusciva a far battere forte il cuore anche per un solo millesimo di secondo.

Non tutti sappiamo vedere l’ineffabile bellezza che ci circonda ogni giorno. Alcune persone hanno come uno scudo di monotonia e materialismo che li rende inerti alle provocazioni della bellezza. Spesso queste persone hanno bisogno di buio assoluto per poter vedere la luce. Non possono apprezzare quanto sia meraviglioso poter vedere chiaramente se non si è vissuta l’angoscia del buio. A volte, come i daltonici, riusciamo a percepire solo alcune lunghezze d’onda, quelle che ci sembrano più importanti, ma ci dimentichiamo degli altri colori, coperti da certo bagliore eccessivo che diamo alle faccende della vita. Eppure quei magnifici colori ci sono, aspettano solo di essere notati. Basta fermarsi un attimo e osservare.

Cardellino

Share

Non è tutto vero ciò che è semplice

Nel film “Contact” di Robert Zemeckis (1997) la protagonista si ritrova, dopo varie vicissitudini, a sostenere un avvenimento della quale è l’unica testimone e per il quale non è in grado di fornire altra prova se non la sua stessa testimonianza. La spiegazione più “semplice” che il mondo scientifico dà all’accaduto è che sia stato tutto una colossale truffa. In realtà lo spettatore, che “ha visto tutto”, sa che la spiegazione della protagonista è vera e sa anche che una telecamera che registra in pochi millesimi di secondo un rumore di diciotto ore è una prova da non rigettare.
Il film mostra come, ignorando o rigettando alcuni elementi che sono in realtà validi, sia possibile giungere a conclusioni totalmente errate.


Spoiler: consiglio di non guardare a chi non vuole rovinato il finale del film.
Il volume è un po’ basso ma spero si senta lo stesso.

Il mondo della scienza non è nuovo a questo tipo di approccio fallace: lo abbiamo visto per quanto riguarda i fossili, ma cose analoghe sono successe per le meteore, i microrganismi e, perfino, il concetto stesso di “Big Bang”. Pensiamo, per esempio, all’esperimento di Rutherford: bombardare con particelle alfa un foglio d’oro e osservare i bagliori prodotti su uno schermo fluorescente dall’impatto di queste particelle. La maggior parte dei bagliori sono osservati dall’altra parte del foglio, evidenziandone l’attraversamento da parte delle particelle alfa. Una piccolissima quantità di bagliori viene però vista all’indietro: la spiegazione più “semplice” sarebbe quella di imputare questi ultimi bagliori a rumore di fondo e perturbazioni dall’esterno. Avessimo dato credito a questa spiegazione, penseremmo ancora che l’atomo sia un panettone con gli elettroni e i protoni al posto dei canditi. Come invece sappiamo, la spiegazione vera è più complessa: un nucleo; un grande spazio vuoto; elettroni che orbitano all’esterno.

Il Rasoio di Occam è il principio metodologico, formulato nel XIV secolo da Guglielmo di Occam, secondo il quale la spiegazione di un fenomeno è tanto migliore quanto minori sono le ipotesi ad essa necessarie. Potrebbe anche essere formulato, in altri termini, sostenendo che, a parità di fattori, la spiegazione più “semplice” sarebbe quella migliore.
L’esperienza personale insegna però che a maneggiare un rasoio con poca perizia si rischia di provocarsi qualche doloroso taglio o di restarci addirittura secchi. Il principio, di per sé, non è errato ma, di fatto, può essere applicato solo a casi abbastanza ipotetici, dove si può imporre l’ipotesi che l’osservatore sia a conoscenza della totalità dei fattori con grande precisione. Nel momento in cui l’osservatore ha a disposizione solo una piccola porzione degli elementi in gioco o sceglie arbitrariamente di ignorare alcuni fattori, si fa in modo che la spiegazione più semplice sia la propria. A questo punto, applicare il Rasoio di Occam diventa solo un modo per piegare i fatti alla propria teoria perché, per chiusura mentale, ne abbiamo stabilito la validità a priori.

Share

Fossili 2

Qualche escursionista fortunato, passeggiando per un passo di montagna, avrà avuto l’occasione di trovare qualche fossile. Il genere di fossili che si trovano in montagna sono di tipo marino: conchiglie; scheletri di pesci etc. Per noi del ventunesimo secolo questo fatto non è però stupefacente quanto poteva esserlo per gli uomini di qualche secolo fa.
Anticamente il ritrovamento di conchiglie sulle Dolomiti era associato al diluvio universale: cosa mai poteva aver portato delle conchiglie sulle montagne, il luogo perfettamente in antitesi con il mare? Sul fatto però che una volta, proprio dove ora ci sono montagne, ci fosse il mare gli antichi non si sbagliavano.

Anche qualche secolo fa esistevano gli scettici incalliti, di quelli che pur di negare una risposta, giusta o sbagliata che sia, finiscono per anteporre una risposta ancora più sbagliata. Del caso dei fossili ne avevo già parlato qualche tempo fa, proponendo questo comportamento come vicenda ipotetica ma mai mi sarei immaginato che quanto fantasticavo fosse realmente accaduto.
Il pensatore Voltaire sostenne infatti che c’erano state delle persone – pellegrini che usavano la conchiglia come segno di riconoscimento – ad aver portato le conchiglie sulla montagna, magari proprio per costruire una montatura.

Sull’origine delle conchiglie ritrovate sulle Dolomiti si sbagliavano sia Voltaire che i suoi oppositori, ma è interessante osservare come il pregiudizio di Voltaire e, se permettete, il suo atteggiamento ideologico verso i suoi oppositori lo abbia portato a costruire un’ipotesi sbagliata che, tra l’altro, accusava ingiustamente delle persone che non c’entravano nulla.
L’ideologia, mescolata ad un carattere accusatore, produce dei mostri. Quando trasformiamo un soggetto – o gruppo o associazione – nel nostro nemico e gli muoviamo battaglia “a prescindere”, finiamo con il calpestare gli innocenti sotto gli zoccoli scintillanti del nostro cavallo bianco e diventiamo, non solo condottieri del massacro, ma anche grandi ipocriti.

Cassetta fossileRingrazio Riccardo per la soffiata (e, in ritardo, per i filosofi a calcio)

Share

Filosofi a calcio

In un vecchio esilarante filmato dei Monty Phyton i più grandi filosofi si trovano a disputare una partita di calcio. I filosofi vengono dotati di palloni, sono schierati, alcuni palleggiano ma…
… ma nessuno di loro sa quale sia lo scopo del gioco. Passano l’intera partita riflettendo, discutendo e spremendosi le meningi.

Forse se avessero visto giocare un professionista non avrebbero perso tutto quel tempo o forse no. Vedere giocare qualcuno può non servire a nulla se ci si concentra sul puro ragionamento e non si trasforma quanto visto in una osservazione. Il ragionamento privo della componente osservativa può condurre a concludere che i giocatori professionisti stiano sbagliando e non abbiano capito il gioco, mentre il mio ragionamento isolato, per motivi che mi appaiono logici, diventa per me la vera soluzione al problema. In questo caso però sono io a sbagliarmi, ma non me ne rendo conto.

E se qualcuno avesse spiegato loro le regole del gioco e l’obiettivo della partita? Potevano sempre non credere, ritenendo le regole del gioco una serie di imposizioni infondate. Anzi, a lungo andare la scarsa comprensione delle regole, la chiusura mentale e la globale sfiducia verso chi sta spiegando le regole possono condurre ad assurde dietrologie, spesso alimentate proprio da quel ragionamento apparentemente molto logico ma completamente chiuso rispetto all’osservazione. In questo caso chi spiega le regole si trasforma da aiuto essenziale ad oppressore, ladro, sfruttatore, assetato di potere etc. rischiando anche la pelle.

Noi che siamo gli spettatori e conosciamo più o meno tutti le regole del gioco, sappiamo cosa significhi giocare a calcio e ci sembra pure una cosa ovvia. Chi invece non conosce il gioco, parlando con – o guardando – noi, può pensare di parlare con uno che sta delirando o non riuscire completamente a capire quel che gli viene detto interpretando, in base al proprio ragionamento isolato, le parole altrui in discorsi completamente diversi che assecondino l’idea che egli si è fatto del gioco. Tutto ciò non succede certo con il calcio, come nel caso ipotetico del video, ma per molte cose importanti della vita sì; e perdere la partita della vita per non aver capito il gioco per tempo è la più grande disfatta.

Share
Pagina 1 di 212