Automobili famose

Chi non ha mai sentito parlare di Herbie, il maggiolino tutto matto, o di KITT, la Supercar dell’omonimo telefilm? Sono i nomi di automobili famose per essere comparse sul grande schermo. Dietro l’immagine televisiva si nascondono però diversi “attori” particolari. Quando parlo di “attori” al plurale non mi sto riferendo ai protagonisti umani ma al gran numero di automobili gemelle che vengono prodotte quando si devono fare delle riprese per il cinema.

In molte scene vediamo che queste automobili si muovono da sole, senza conducente. In questi casi si utilizza sovente un modello radiocomandato in scala reale. Ebbene sì: esistono dei “super modellisti” che non si accontentano di una macchinina in scala 1:6 ma vogliono realmente guidare una vera automobile senza essere seduti dentro. Dei particolari servo-motori si occupano di muovere tutti i meccanismi del veicolo al posto del conducente e fanno anche di più: aprire sportelli; movimentare specchietti eccetera. Tutti i comandi vengono quindi impartiti attraverso onde radio.

Ora immaginiamo un alieno in visita sul nostro pianeta e gli diamo la nostra macchina radiocomandata. Lui la vedrà muoversi da sola e, poiché non è stupido, comincerà a studiarla scoprendo che determinate onde elettromagnetiche provocano alcuni movimenti dell’automobile. Noi raccontiamo al nostro alieno che, nascosto da qualche parte, c’è un manovratore che impartisce comandi al modellino, ma l’alieno imbraccia un generatore di onde e, interferendo, pretende di “dimostrarci” che non c’è alcun manovratore perché l’automobile sta soltanto reagendo alle onde elettromagnetiche dell’ambiente. Cosa dire del nostro alieno? Che non ha capito nulla. Esattamente come chi si diverte a dire che le persone sono solo macchine, dispositivi, delle “black box” che macinano un input per restituire un output. Dichiarazioni che farebbero stramazzare qualsiasi artista o chiunque abbia anche solo sentito parlare di filosofia.

Il maggiolino tutto matto

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Acchiappafantasmi

Uno strumento di misura può vedere solo ciò per cui è stato progettato. Come il nostro occhio vede solo una piccola porzione dello spettro visibile e il nostro orecchio ode solo un limitato intervallo di frequenze. Come possiamo allora sperare di poter osservare, percepire o scoprire ciò del quale non possiamo immaginare la natura?

Mi viene in mente il primo film degli acchiappafantasmi, perfettamente a cavallo tra fantasy, fantascienza e commedia. L’intero film è una parodia basata sull’esagerazione di quelle scienze o pseudo-scienze che studiano i fenomeni paranormali. Nel film, il dottor Egon Spengler ha progettato e costruito strumenti che  misurano la presenza dei fantasmi ed altre attrezzature per la loro cattura ed il loro stoccaggio.
Non manca neanche la figura dello scettico, Walter Peck, un colletto bianco del ministero dell’ambiente che definisce gli acchiappafantasmi “consumati venditori di fumo che usano gas sensorii e nervini per provocare allucinazioni”.

Ma come facciamo a sapere chi ha ragione? Lo spettatore vede tutto e ha meno dubbi, ma se il caso del film fosse una realtà bisognerebbe avanzare con i piedi di piombo perché mentre da una parte abbiamo delle misure e delle rivelazioni, dall’altra abbiamo la possibilità che quanto sia stato misurato sia del banale rumore di fondo o altri fenomeni noti ma non considerati nelle misure. Ciò però non ci autorizza a formulare fantasiose ricostruzioni che non si basino su dati veri. È qui che Walter Peck si sbaglia: sostiene la tesi dei gas allucinogeni senza averne misurato la presenza ma soltanto perché ai suoi occhi è più accettabile che sia così; finisce quindi con il provocare un disastro perché convinto di una cosa sbagliata.

L’uso corretto della ragione non è uno sterile scetticismo ideologico ma una attenta e paziente valutazione dei fatti e delle persone considerando anche la possibilità – a volte la necessità – di doversi fidare laddove necessario.

Rivelatore acchiappafantasmi

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Scienza confutatoria?

Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione in questi ultimi anni ha favorito la diffusione degli argomenti scientifici alimentandone l’interesse anche fra i non addetti ai lavori. Sebbene da una parte ciò significhi un bene – perché il sapere è sempre una ricchezza – dall’altra, non essendoci stata – né prima, né durante -  alcuna educazione, si è finito con il travisare lo spirito scientifico.

Può darsi che nemmeno chi stia scrivendo sappia bene cosa sia il senso della scienza, fatto sta che quando un meccanismo funziona male, stride e il suo rumore dà fastidio.
Il lavoro di uno scienziato è simile a quello di un esploratore: vuole conoscere ciò che ancora non è conosciuto; comprendere ciò che  nessun uomo aveva compreso prima. Come l’esploratore affronta la tempesta per approdare alla spiaggia sconosciuta, così lo scienziato affronta le difficoltà sperimentali e si ingegna nel risolvere problemi per scoprire e capire ciò che sta al di là della frontiera del sapere umano.

Alcune persone hanno una maniera di concepire la scienza che, in qualche modo, la offende. Di fronte ad un evento nuovo, invece di approfondire ed esplorare, come l’apertura mentale alla base dello spirito scientifico vorrebbe, cercano di spiegarlo combinando uno o più eventi già noti avanzando ipotesi su ipotesi. È come se avessero paura della novità, di valicare quel confine che, secondo la leggenda, veniva definito “hic sunt leones”.
Probabilmente la paura c’è e, in nome di questa paura, usano barbaramente la scienza come accetta per abbattere i mostri. È la paura di ammettere di non sapere; il terrore che nel mondo ci sia ancora qualcosa che si può definire “mistero” (che parola rinnegata: la si trova solo nelle trasmissioni televisive basate sulla dietrologia). Tra loro e quelli che difendevano il sistema geocentrico con i circoli deferenti e gli epicicli non c’è differenza.

E dire che centinaia di migliaia di anni fa era scontato che il mondo fosse in gran parte mistero. Oggi lo è ancora, ma l’immenso oceano da scoprire fa paura e fa più comodo fare finta di trovarsi in una pozzanghera della quale si vedono bene i confini. Se i nostri antenati si fossero fermati a spiegare il Sole come “semplicemente” e “solamente” un grosso ceppo in fiamme, saremmo ancora come loro. Invece c’è stato chi è rimasto affascinato dal mistero e ha cercato di scoprirlo, di colmare quella sete inesauribile di sapere che, a causa del fraintendimento accennato all’inizio, viene oggi sempre più ignorata. Eppure, in un universo finito popolato da esseri finiti, questa sete infinita dovrebbe far riflettere.

Leones

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Discipline

Un buon pensatore, si sa, non ha il cervello diviso in compartimenti stagni. È vero che il sapere umano è diviso in discipline sempre più specifiche, ma questa suddivisione è il risultato del desiderio di ordine che c’è nel cuore umano; un desiderio di perfezione che è sempre esistito. Che il sapere umano sia diviso in discipline non significa però che non debbano esserci punti di contatto o che non si debba poter armonizzare tutto entro un’unica visione.

Spesso si sente dire che certe discipline non dovrebbero esistere perché sarebbero in contraddizione con altre o, addirittura, inutili. Un poeta, per esempio, non può parlare anche lui di scienza? La disciplina del poeta bada più all’emozione mentre quella dello scienziato ai meccanismi naturali, ma ha senso dire che quanto scoperto dallo scienziato sia vero mentre il poeta mente sempre? No: quando il poeta parla della gioia di scoprire i meccanismi della natura o della passione di un uomo che passa tutta la notte aspettando quel risultato che ha cercato tutta la vita, non sta mentendo.

Non c’è infatti da stupirsi dell’esistenza di scienziati poeti o scienziati filosofi o scienziati con cariche religiose. Non c’è soprattutto da stupirsi se queste persone non vivevano alcuna contraddizione nelle loro attività; non avevano alcuna schizofrenia nel passare dall’una all’altra, non avevano argomenti da ignorare volutamente per evitare contrasti interiori. Solo una persona superficiale potrebbe averne o ipotizzarne la presenza in qualcuno.

Discipline diverse che badano ad aspetti differenti della realtà non solo hanno punti di contatto, ma possono anche essere entrambe contemporaneamente vere senza contraddirsi vicendevolmente. Vale per la scienza e la letteratura come per la filosofia e l’ingegneria, la storia e la meteorologia, la geografia e l’economia.
Chi cerca le contraddizioni o cerca di costruirle  non fa altro che privarsi da sé di quella porzione di conoscenza che altrimenti lo arricchirebbe e lo fa perché ha deciso che quella porzione di realtà non ha diritto di esistere. La realtà però non obbedisce all’imposizione del singolo né del gruppo: si impone su ciascuno di noi e l’unica cosa che possiamo fare è viverla, accettandola, o rifiutarla, chiudendoci dietro un’ideologia.

Scienza

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La radio

Tutti conosciamo dell’esistenza di quelle radioline “tascabili” con l’antennina e le batterie, di quelle che si acquistano con poco. Per noi che viviamo nel ventunesimo secolo, circondati da internet, wireless e telefonini cellulari questi aggeggini non hanno misteri, ma divertiamoci qualche istante immaginando di avere accanto un abitante del passato. Va bene qualsiasi epoca, purché sia più antica di 100 ÷ 150 anni fa.

Senza dirgli niente, affidiamogli la radiolina – magari accesa – e vediamo cosa succede.
Senza dubbio, se il nostro amico è un tipo curioso e sperimentatore, cercherà di scoprire da dove vengono le voci e i suoni che ode. Sezionerà la radio, cercando al suo interno la misteriosa sorgente di quei suoni e, molto probabilmente, non la troverà. Non troverà una piccola persona che parla o una piccola orchestra. Potrà forse immaginare che quelle non siano vera voce e vera musica, ma frutto di artificiali e casuali flussi di energia all’interno della radio stessa.

Finché non spieghiamo dell’esistenza delle onde elettromagnetiche – sempre ammesso che ne siamo in grado e che il nostro ascoltatore sia in grado di capirci - quella persona continuerà a cercare nel posto sbagliato.

Anche se così non sembra, ci sono ancora molte, moltissime cose che stiamo cercando nel posto o nel modo sbagliato; cose che probabilmente non siamo ancora in grado di capire ma che supponiamo – con leggera superbia – di aver capito alla perfezione; cose a noi ancora invisibili e inimmaginabili come lo erano le onde elettromagnetiche per la gente di qualche secolo fa.
Ciò che sappiamo attualmente è solo una versione comprensibile della realtà e della realtà osservabile: apertura mentale è ammettere che c’è sempre qualcosa oltre ciò che conosciamo, anche se quel Qualcosa appare assurdo o illogico.

Radiolina

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