Su per le montagne

Oggi mi hanno portato a visitare da vicino le montagne, percorrendo sentieri che ora si arrampicavano su per il versante, ora scendevano rapidamente. Tutto attorno lo spettacolo delle sommità rocciose e ripidissime che producevano curiosi effetti di luci ed ombre. In alcuni punti i ruscelli formavano cascate tra gli alberi del bosco mentre sulle radure pascolava ogni sorta di bestia erbivora addomesticata dall’uomo.
Io ero partito con due desideri: trovare un fossile o una conchiglia preistorica – che si racconta siano frequenti da quelle parti – e riuscire a fotografare uno degli animali del bosco, magari qualche scoiattolo o uno stambecco o un camoscio.

Il gruppo cammina rapidamente, ci sono gli orari da rispettare e la lentezza può comportare una situazione di pericolo – trovarsi la notte in giro per le montagne può non essere piacevole. Buona parte dei miei compagni di avventura chiacchierano, ridono, fanno rumore.
Ho percorso così velocemente il sentiero che non ho avuto il tempo di analizzare ogni singola pietra alla ricerca di fossili; non ho neanche potuto andare dove i cedimenti avevano sicuramente fatto affiorare qualcosa. Il rumore della presenza umana ha fatto fuggire gli animali che, tenendosi a debita distanza, sono sfuggiti al mio sguardo.

Torno in albergo con la bellezza dei panorami e delle montagne nel cuore. So però che c’è un di più, qualcosa che non è stato possibile apprezzare per una maniera un po’ frettolosa e chiassosa di fare. Molte volte ci sfugge “il meglio” perché il metodo che utilizziamo per affrontare la vita, i rapporti interpersonali, l’osservazione del mondo circostante, è frettoloso e superficiale. Magari qualcuno ci racconta di una bellezza e vogliamo anche cercarla ma poi ci buttiamo, ci improvvisiamo esperti, e ci facciamo sfuggire proprio quella bellezza che stavamo cercando. Una delusione che per qualcuno può significare anche smettere di cercare, auto-convincersi che non c’è altra bellezza se non quella superficiale.
Io spero di tornare in questi luoghi, accompagnato da qualcuno che mi sappia indicare dove trovare i fossili e come non fare scappare gli animali. Allo stesso modo, certa bellezza si può scoprire con l’amicizia di una guida, di qualcuno che ha già visto quella meraviglia alla quale ci conduce.

Pale di San Martino

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Scolaresche

Capita, circa una volta all’anno, che delle scolaresche vengano in visita presso i laboratori dove studio e lavoro. Le visite sono gestite allestendo delle “postazioni” nelle sale più importanti, dove un incaricato descrive ciò che gli studenti hanno davanti spiegandone anche il funzionamento.
Allestire delle postazioni fisse richiede però che gli studenti si possano spostare da una postazione all’altra e, poiché il percorso tra una sala e l’altra non è in linea retta né tanto meno in orizzontale, è fondamentale che qualcuno sia incaricato di accompagnare le scolaresche attraverso il labirinto di corridoi e passaggi.

In linea del tutto teorica si potrebbero mettere cartelli ovunque e lasciare la gente libera di andare dove vuole. Si potrebbe, in altre parole, fare affidamento sul buon senso dei visitatori conferendo loro la libertà di scegliere dove andare. Se ognuno però andasse dove vuole e quando vuole, senza una guida che indicasse un percorso, i problemi crescerebbero in maniera esponenziale.
Non è soltanto una questione di “ordine”, di fluidità delle visite per evitare accavallamenti, spiacevoli attese, sovraffollamento delle postazioni: chi viene abbandonato a sé stesso rischia di perdersi, di non vedere nulla annullando lo scopo della sua visita e, addirittura, di contaminarsi rischiando la salute.

Una guida ci vuole sempre, un sistema che indichi la maniera migliore, corretta, ideale, idonea, per affrontare la visita è sempre necessario e bisogna affidarsi / fidarsi. Non è una lesione della libertà ma l’evitare un eccesso che, in ultima analisi, si rivela dannoso per il visitatore stesso ed è per questo che è ragionevole dare fiducia alla guida. Lo scopo della visita è quello di scoprire cosa avviene in un luogo che solitamente è interdetto alla stragrande maggioranza delle persone; è quello di restare affascinati da ciò che si scopre durante la visita stessa. Se si abusa della propria libertà, si finisce con il perdere il meglio, con il chiudersi di fronte al fascino che altri, opportunamente guidati, hanno potuto sperimentare. Per fare buone scelte occorre una buona guida e qualche porta pericolosa già chiusa a priori.

Ciclotrone

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GEANT4

Oggi sto partecipando ad un corso introduttivo e acceleratissimo del toolkit “GEANT4″. Si tratta di un insieme di librerie e di strumenti di compilazione che servono a simulare complessi esperimenti di fisica nucleare. Viene utilizzato anche per stimare i danni da radiazione su pazienti e su astronauti o per interpretare alcune immagini astrofisiche di – ad esempio – asteroidi a partire dall’interazione della radiazione con la loro superficie.

Una cosa che mi ha colpito di questo codice informatico scritto da fisici è che il modo usuale di impararne l’utilizzo si basa sulla – testuali parole dell’oratore – “tradizione orale”. Il GEANT4, come tanti altri programmi scritti da fisici per fare fisica, è accompagnato da una bibliografia enorme che conta diversi manuali, tuttavia la lettura integrale dei manuali può essere controproducente: per chi non ha mai sentito parlare del software del quale sta studiando il manuale, la lettura dello stesso può rivelarsi un lavoro estremamente oneroso e inconcludente.

Chi si approccia al manuale soltanto dopo aver appreso da un collega più esperto le basi, riesce in poco tempo ad avere padronanza dello strumento; ad accrescere il suo sapere consultando la guida; a comprendere quanto indicato sui manuali – anche a saper cercare ciò che gli serve. Chi invece decide di fare da sé, si ritrova con una mole di informazioni che difficilmente può trasformare in pratica e finisce con l’abbandonare la lettura del manuale e con il rifiutarsi di usare quel programma.

Mi vengono alla mente decine di cose che funzionano allo stesso modo anche nella vita di tutti i giorni, tra queste anche scelte fondamentali. C’è chi apprende il software ascoltando prima la “tradizione orale” di chi quel programma sa già usarlo; c’è chi invece vuole fare da sé iniziando una lettura sterile e impreparata di un manuale difficoltoso e complicato. I secondi spesso lasciano perdere e trasformano il loro insuccesso in una critica costante e rabbiosa verso il software – “Troppo difficile”; “Non permette questo o quello” – e verso il manuale – “È contraddittorio”; “Non si capisce”. Quel software poteva essere lo strumento più potente del mondo e che gli avrebbe concesso di calcolare la qualunque… Peccato.

GEANT4

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Sussurro

Ancora sulla gita del 25 aprile. Una cosa che ho usato per la prima volta nella mia vita è stato un whisper: un aggeggino elettronico a metà strada tra un walkie talkie ed una radiolina. Con questo affare al collo e un auricolare nell’orecchio potevo sentire le spiegazioni della guida come se l’avessi avuta accanto, anche se in realtà era distante qualche decina di metri.

Devo dire che sono stati oggettini davvero utili per una comitiva di “appena” un centinaio di individui: la guida poteva permettersi il lusso di bisbigliare e nessuno poteva permettersi il lusso di chiacchierare perché aveva la voce della guida in sovrimpressione.

Risultato? Un centinaio di persone che fanno rumore per due. Questa sì che è tecnologia applicata per il benessere della gente, una tecnologia che rispetta luoghi, tempi e culture. La scienza non dovrebbe essere un “sempre e comunque”, ma essere a servizio dell’uomo e rispettarlo.

whisper

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