Su per le montagne

Oggi mi hanno portato a visitare da vicino le montagne, percorrendo sentieri che ora si arrampicavano su per il versante, ora scendevano rapidamente. Tutto attorno lo spettacolo delle sommità rocciose e ripidissime che producevano curiosi effetti di luci ed ombre. In alcuni punti i ruscelli formavano cascate tra gli alberi del bosco mentre sulle radure pascolava ogni sorta di bestia erbivora addomesticata dall’uomo.
Io ero partito con due desideri: trovare un fossile o una conchiglia preistorica – che si racconta siano frequenti da quelle parti – e riuscire a fotografare uno degli animali del bosco, magari qualche scoiattolo o uno stambecco o un camoscio.

Il gruppo cammina rapidamente, ci sono gli orari da rispettare e la lentezza può comportare una situazione di pericolo – trovarsi la notte in giro per le montagne può non essere piacevole. Buona parte dei miei compagni di avventura chiacchierano, ridono, fanno rumore.
Ho percorso così velocemente il sentiero che non ho avuto il tempo di analizzare ogni singola pietra alla ricerca di fossili; non ho neanche potuto andare dove i cedimenti avevano sicuramente fatto affiorare qualcosa. Il rumore della presenza umana ha fatto fuggire gli animali che, tenendosi a debita distanza, sono sfuggiti al mio sguardo.

Torno in albergo con la bellezza dei panorami e delle montagne nel cuore. So però che c’è un di più, qualcosa che non è stato possibile apprezzare per una maniera un po’ frettolosa e chiassosa di fare. Molte volte ci sfugge “il meglio” perché il metodo che utilizziamo per affrontare la vita, i rapporti interpersonali, l’osservazione del mondo circostante, è frettoloso e superficiale. Magari qualcuno ci racconta di una bellezza e vogliamo anche cercarla ma poi ci buttiamo, ci improvvisiamo esperti, e ci facciamo sfuggire proprio quella bellezza che stavamo cercando. Una delusione che per qualcuno può significare anche smettere di cercare, auto-convincersi che non c’è altra bellezza se non quella superficiale.
Io spero di tornare in questi luoghi, accompagnato da qualcuno che mi sappia indicare dove trovare i fossili e come non fare scappare gli animali. Allo stesso modo, certa bellezza si può scoprire con l’amicizia di una guida, di qualcuno che ha già visto quella meraviglia alla quale ci conduce.

Pale di San Martino

Share

Il migliore amico

Quando ero bambino c’era un mio compagnetto delle elementari che definivo “il mio migliore amico”. Affrontavo gli altri per ottenere il diritto di sedermi accanto a lui ed ogni volta che lo scorgevo altrove lo avvicinavo per parlare o giocare. Passavo diversi pomeriggi a casa sua.

Riportando alla memoria quei tempi, temo che quel mio amico non fosse proprio d’accordo con le mie definizioni. Non è che non gli volessi bene – anzi, personalmente ho riservato simili sentimenti a pochissime persone – però qualcosa non andava.
Mi ero talmente preso a cuore “il suo bene” che mi impegnavo nel spiegargli tutto ciò che sapevo e soprattutto nel correggerlo in ogni sbaglio in modo da aiutarlo. Facevo veramente il suo bene? Probabilmente no. Concentrandomi solo sull’aspetto logico, solo sul distinguere le affermazioni vere da quelle false, trascuravo buona parte del resto, a cominciare dalla sensibilità verso l’altro. Ricordo che spesso il mio amico finiva per piangere a causa delle mie lezioncine, del mio continuo correggere, della mia pretesa di avere sempre ragione.

Oggi questa persona non mi rivolge la parola da decenni.
Per fare cose buone non bastano le buone intenzioni. Se la dobbiamo dire tutta sono spesso le buone intenzioni – mal gestite, mal perseguite – a condurci verso risultati diametralmente opposti: invece di fare il bene facciamo il male; invece di costruire distruggiamo pur avendo tutt’altre intenzioni. Non basta avere un buon obiettivo ma occorre che anche “il come” sia buono. Volere bene, amare qualcuno non giustifica qualsiasi tipo di amore, nessun fine può cioè giustificare i mezzi, perché certi mezzi illudono chi li adopera e lo conducono decisamente fuori strada.
L’esperienza personale insegna che il bene si persegue con il proprio sacrificio (non con quello degli altri); facciamo attenzione alle strade in discesa che conducono verso il miraggio di un buon proposito.

Segnale scuola

Share

Deformazione professionale

Recenti studi neuropsichiatrici hanno evidenziato che utilizzare uno strumento modifica il cervello. Riflettendoci è una cosa quasi scontata: man mano che uso uno strumento “imparo” ad averne maggiore dimestichezza adattandomi con plasticità. In fondo, modi di dire come “deformazione professionale” descrivono bene questi effetti. Esiste però un limite oltre il quale questa “deformazione” diventa nociva?

Uno strumento che è ormai diffuso in ogni casa è la televisione. La televisione ci ha abituati ad essere spettatori, ad un rapporto privo di interazione con quanto ci viene proposto, ma ci ha anche abituati allo zapping: se un programma non mi piace, cambio canale; se non so cosa guardare, cambio canale. La cosa è ancora più marcata quando l’offerta di canali si aggira attorno al centinaio.
La conclusione di queste abitudini, quando non riusciamo a separare la vita davanti allo schermo da quella a contatto con il resto del mondo, è che pretendiamo di poter fare zapping anche con tutto ciò sul quale pensiamo di avere il benché minimo potere. Ci scegliamo gli amori, ci scegliamo la carriera, ci scegliamo il cibo, il momento per uscire, le attività della giornata, il valore stesso della propria esistenza e di quella degli altri. È così almeno finché non sopraggiunge un “imprevisto” che riporta la realtà ad imporsi sui nostri capricci.

Altro strumento è Facebook. Mi è capitato in questi ultimi giorni di sperimentare “l’effetto Facebook” cioè la trasformazione dei propri contatti e amici in una facciata web, con annessa matrice di pixel (fotografia) ed insieme di caratteri (contenuto dello stato). Quando smettiamo di vedere la persona, oltre il dato numerico che ci viene presentato attraverso la pagina, il nostro comportamento degenera rapidamente: una pagina web si può insultare, offendere e ridicolizzare quanto vogliamo; una persona che abbiamo davanti e ci guarda negli occhi no, specie se è un “amico”. Quanto più l’ideologia scende al livello della tifoseria da stadio, tanto più sostituirò la stima personale ed il rispetto con le loro antitesi.
Tutto ciò non è prerogativa di Facebook: succede praticamente con qualsiasi cosa della quale, per un motivo o per un altro, perdiamo il valore.

La nostra riflessione non deve però condurci a proibire la televisione o Facebook, come per soddisfare una qualche legge del taglione, ma deve produrre un’attenzione particolare, un costante richiamo al valore delle proprie amicizie e ad un corretto rapporto con il reale.

 

Internet cane

"su internet nessuno sa che sei un cane"

 

Share

Amico palliativo

Le medicine sono di due tipi: ci sono quelle che curano la malattia e ci sono quelle che curano i sintomi. La differenza, negli effetti immediati, sembra minima ma non lo è.

Se ho un’infezione, assumo un antibiotico il cui effetto è quello di aiutare l’organismo ad uccidere i germi che la causano. In questo caso risolvo la sorgente del problema e, una volta eliminati i dannosi intrusi, scompaiono anche i fastidi da essi provocati: febbre, dolore etc. Questo è un farmaco che cura la malattia.
Se ho l’ipertensione, assumo un farmaco che fluidifica il sangue in modo da abbassare la pressione e stare meglio. Terminato l’effetto del farmaco, il sangue ritorna alla sua consistenza e i disturbi dell’ipertensione ritornano immutati. Questo è un farmaco che cura il sintomo. In questo caso si parla di palliativo.

L’amicizia funziona allo stesso modo: ci sono amici che risolvono i problemi e ci sono amici che alleviano solo le situazioni momentanee. Solo che con l’amicizia non si può scherzare perché i problemi vengono spesso a galla quando ormai è troppo tardi. Certo, vogliamo la libertà di sbagliare, ma quando il danno è fatto avremmo voluto evitarlo.

Spesso l’amico sembra quello che non ti contesta mai, che non giudica i tuoi problemi ma ti aiuta a conviverci, che ti allevia momentaneamente il disturbo ma che poi – come accade con i palliativi – ti fa venire voglia di chiedere. «Perché mi hai lasciato sbagliare? Perché non me lo hai detto prima?». È preferibile un amico che sul momento ci faccia anche soffrire per il nostro bene ad uno che invece non ci mette in guardia dai guai.

Analgesico

Share