Girandola

Nelle fredde serate invernali della mia infanzia mio papà costruiva un giocattolo molto semplice: prendeva un foglio di carta e ritagliava una spirale, una chiocciola di carta che aveva al centro una parte circolare un po’ più grossa; poi prendeva un bastoncino appuntito o una penna scarica o una matita e conficcava la parte tozza tra le fessure del termosifone mentre, sulla punta, sistemava – pigiando bene di modo che il buchino risultante tenesse tutto insieme – la chiocciola di carta che aveva ritagliato.

Magicamente la chiocciola cominciava a ruotare su sé stessa senza fermarsi finché non arrivava qualcuno ad interferire. Fu così che da bambino mi fu insegnato che l’aria calda si dilata diventando più leggera di quella fredda e, per questo motivo, andava sempre verso l’alto. Con quel gioco, il mio stupore da bambino mi permise di osservare ciò che fino a quel momento mi era inosservabile perché non ancora pronto a certi studi: l’aria trasparente; gli effetti del calore; il principio di funzionamento delle mongolfiere; la fisica.

La settimana scorsa, durante un turno di misura nel quale ero solo, ho trovato sul tavolo della sala di acquisizione dei dati una forbice ed un foglio di carta. Così, ricordandomi di quegli inverni di tanto tempo fa, ho costruito una di quelle strane girandole e l’ho montata sopra gli alimentatori dei rivelatori (non sono molto caldi ma hanno delle ventole per essere raffreddati, quindi c’è sempre un flusso d’aria).
Poi il mio turno è finito e nessuno sembra essersi accorto di nulla finché l’altro ieri, entrando per ultimo ad una riunione, mi accorgo che stanno tutti parlando di quello strano gioco. Erano insolitamente stupiti, quasi come dei bambini. Pensavo, al più, che conoscessero già il giochino e che l’avrebbero tolto per riprendersi la penna.

Basta veramente poco per scoprire l’invisibile che abbiamo sempre sotto al naso e stupirci. Quando la realtà stupisce e tocca spontaneamente il cuore percepiamo la grandezza di quanto ci circonda.

Girandola aria calda

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Al di là della scacchiera

Quando mio papà era appena uno scolaretto delle scuole elementari passava i pomeriggi a casa del cugino malato. Si portava la scacchiera e metteva in palio i fumetti di “Topolino”. Vinceva sempre, stando ai suoi racconti. Dopo trent’anni quel cugino dalla facile sconfitta è un astrofisico mentre mio papà fa un lavoro ben più umile e la sua scacchiera è rimasta lì, riposta fra tanti oggetti.

Tempo fa, più o meno alla stessa età che aveva mio papà quando scommetteva sui fumetti di Topolino, mi sono interessato a quella scacchiera. Mio papà mi insegnò le regole del gioco e i movimenti degli scacchi ma, come il cugino astrofisico, non ricordo di aver mai vinto una partita con lui. Riesco però ad immaginare il motivo.

Quando si sente parlare uno scacchista di professione, uno che partecipa ai tornei e ama giocare, si percepisce che il gioco degli scacchi non è la sterile applicazione delle regole del gioco per evitare di farsi mangiare il pezzo e per ottenere la vittoria. Spesso, chi ne parla, è come se avesse assistito a delle vere e proprie battaglie, con tattiche, tecniche, artifici dell’ingegno. Descrive ogni partita con eccitazione, narrando con naturalezza di strategie che io non sono mai riuscito a vedere al di là della scacchiera.

Per molte cose la vita è così: se ci limitiamo ad uno sguardo superficiale si riduce tutto ad una risoluzione di puzzle e, in ultima analisi, viviamo peggio di chi, al di là della realtà, vede qualcosa di impressionante, quel senso nascosto che trasforma radicalmente quella serie “puzzle”.

Scacchi

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Il regalo brutto

Un Natale di tanti anni fa, quando ero ancora un bambino che non sapeva leggere fluentemente, ricevetti uno dei regali più brutti della mia infanzia. Di solito ai bambini piacciono i giocattoli o i dolci ed era questo che mi aspettavo di trovare sotto l’albero. Quella volta però trovai qualcosa che mi apparve ancor più deludente di un pullover o di un paio di calzini.

Era una di quelle robe da quattro soldi che si acquistano in edicola; era composto da un libriccino illustrato di fiabe e favole assortite e da un’audiocassetta sulla quale era incisa la lettura degli stessi brani del libro. Ai miei occhi appariva come la cosa più noiosa, inutile e stupida del mondo. Chiaramente oggi non la penso più così ma ricordo bene che quel giorno ci stetti davvero male per quel regalo così cattivo e per la cattiveria che, secondo la mia logica di bambino, doveva aver avuto mio papà nel farmi quel regalo.

Dopo l’impatto iniziale decisi ugualmente di utilizzare quel regalo, credo per dimostrare che non fosse bello e non per trarne beneficio. Prima di cominciare leggevo lentamente e con la classica cantilena dei bambini ed ero tra gli ultimi della classe. Imparare a leggere così bene alimentò la mia autostima e cominciai ad impegnarmi un po’ di più nello studio passando dalle ultime posizioni alle prime. Oggi, addirittura, leggo in pubblico e chi mi ascolta sembra riternermi uno che legge bene (salvo alcune eccezioni), nonché ho alle spalle una carriera da studente abbastanza buona.

Nella vita si soffre. Ci capitano cose che ci fanno stare male, gratuitamente, senza alcuna apparente logica. Ancora più grave è quando il male sembra proprio provenire da chi ci vuole bene o dovrebbe volerci bene. In quel caso alla sofferenza si aggiunge la delusione e la prima cosa che viene voglia di fare è allontanarsi da quella persona negandole ogni rispetto.
A caldo non è mai facile capire. Io compresi che quel regalo era forse il migliore che mi fosse mai stato fatto solo dopo diversi anni. Chi ci vuole bene veramente finisce inevitabilmente per farci del male apparente, perché spesso non si può costruire senza distruggere e la costruzione è sempre qualcosa di paziente, visibile solo quando comincia a prendere forma.

audiocassetta

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Le magie dei genitori

Ricordo che quando frequentavo ancora le elementari, pochi giorni dopo l’inizio della scuola, mio padre cercava di insegnarmi il rispetto per le mie cose mostrandomi come si foderavano i libri. Il suo scopo era anche quello di rendermi autosufficiente in questi lavori e non doverlo più fare lui ma non è di questo che voglio parlare.

Capitò un anno che fu comprato un rotolo di plastica trasparente colorata per foderare i miei libri scolastici. All’interno del rotolo c’era un adesivo che trovai veramente bello. Era una di quelle targhettine dove scrivere il proprio nome e cognome in modo da dare un proprietario al libro anche qualora non fosse tra le mani di chi lo aveva legittimamente acquistato.
Sono passati tanti anni e non ricordo più neanche cosa ci fosse disegnato sopra, forse un paio di coccinelle.

Come al solito, venne il momento di foderare i libri. Immagino di aver voluto tentare di fare tutto da solo ottenendo qualcosa di veramente brutto, perché mio padre decise di togliere la fodera al libro per rifarla. Il problema è che avevo già incollato quel bellissimo adesivo che, in un tentativo di staccarlo dalla fodera di scarto, si strappò irrimediabilmente.
Ero davvero seccato, anzi, credo di essermi messo pure a piangere.

Mio papà allora mi disse che ci avrebbe pensato lui ma che io non avrei dovuto vedere cosa andava a fare e dove andava. Qualche tempo dopo era di ritorno con l’adesivo pulito e integro. Mi sono sempre chiesto se in quel frangente fosse andato a comprare un rimpiazzo oppure se, prevedendo cosa sarebbe successo, ne avesse acquistato un doppione.  Avevo comunque intuito che quella “magia” doveva averla compiuta con i mezzi dei quali disponeva. Che si fosse insomma “servito” di meccanismi che conosceva abbastanza bene per farmi credere di aver fatto una magia.

L’essere stato – per così dire – ingannato è forse un motivo per volere meno bene al mio papà? Sapere che quella volta non ha fatto una vera magia lo rende meno buono verso di me o meno meritevole del mio rispetto?
Può capitare che chi ci voglia bene faccia dei “miracoli” senza dover scomodare il mondo dell’impossibile ma, spesso, quando veniamo a sapere “il trucco” ci dimentichiamo del bene che ci vuole quella Persona concentrando tutta la nostra attenzione sulla “offesa” ricevuta.
Che importa se quel giorno il sole ci parve fermo perché riflesso da un particolare strato di nubi? Che importa che quell’arcobaleno fosse la luce solare decomposta da miliardi di goccioline d’acqua? Ciò che dovrebbe importare è il senso dei gesti che vengono fatti per noi, soprattutto se è un senso dato da chi ci vuole bene.

Mago Merlino

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