Regali

Ancora a proposito di cose date per scontate, ignorate perché considerate sistematiche e matematicamente dovute come se averle fosse una legge fisica, ce n’è una particolare che forse è la più importante di tutte.

Le persone che effettivamente vivono come punti isolati, provvedendo completamente a sé stesse e considerando il mondo come un “do ut des”, sono davvero poche e non fanno una bella vita, proprio perché a mancare è quella componente fondamentale alla quale nessun essere umano può rinunciare senza soffrire almeno un poco.
Una cosa così fondamentale da provocare così grandi devastazioni nel cuore non può essere devalorizzata al punto da ritenerla un bene di basso valore, elargito a titolo gratuito perché “io sono io e me lo merito”.

Come ho cercato di dire nel post precedente, non esiste entità che merita l’assegnazione di un valore così basso. Neanche l’aria che respiriamo, così abbondante, naturalmente presente e fruita ad ogni inalazione, è banale che ci sia: basta un po’ di inquinamento, il ritrovarsi sott’acqua o nello spazio, avere qualche problema respiratorio, per accorgersi che il poter respirare è un regalo prezioso.
Di tutte le cose che riceviamo, ce n’è quindi una per la quale sarebbe letteralmente delittuoso ignorarla perché da essa proviene buona parte delle altre. Il più grande delitto che possiamo fare è non renderci conto di quanto siamo amati.

Regalo

Share

Accadde proprio lì

Maria era stracotta di un suo compagno di classe, Antonio. Si sorprendeva spesso ad osservarlo intensamente; lo sguardo fisso su di lui; il tempo come rallentato mille volte cosicché ogni istante sembrava avere la durata di intere ore. Era successo poche volte che anche lui si voltasse verso di lei e, anche se si trovava all’altro capo della stanza, quell’incrociarsi di sguardi, pupilla contro pupilla, generava in Maria effetti di potenza paragonabili ad un uragano.
I due si scambiavano anche qualche parola ma la ragazza non aveva mai confessato i suoi sentimenti. Non pensava di essere considerata da Antonio qualcosa di più che una buona amica ma, in fondo al cuore, aveva come la sensazione che i suoi sentimenti fossero ricambiati.

Per il suo compleanno Maria aveva organizzato una piccola festicciola a casa sua. Aveva invitato diversi amici e, certamente, non si era lasciata sfuggire l’occasione di invitare anche Antonio. Ad un certo punto della festa, si era deciso di divertirsi tutti con un gioco da tavolo. Si rideva, si scherzava ma, mentre si giocava, Antonio si accorse che Maria non c’era. Alzatosi la andò a cercare.
Si incrociarono, anzi scontrarono, in un angolo tranquillo della casa. In quell’angolino anonimo, mentre si sentivano le risate dei loro amici provenire dall’altra stanza, avvenne la cosa più inaspettata e straordinaria che Maria potesse immaginare.

Anche a distanza di diversi giorni, a Maria bastava uno sguardo verso quell’angolo della casa per rievocare quell’istante meraviglioso. Decise allora di proteggere quel luogo dal tempo: sarebbe rimasto per sempre così, esattamente come quel giorno.
Non fu facile: dovette imporsi sui genitori e arrivare, qualche volta, al litigio; ne aveva straordinaria cura. Con il passare degli anni fece di tutto per restare in quella casa quando i genitori si trasferirono altrove. Anche quando era una mamma, non permetteva ai figli di giocherellare in quella zona e, quando furono abbastanza grandi, spiegò loro anche perché.
Ora, accompagnata dagli acciacchi dell’età, teneva per mano la nipotina e si preparava a raccontare ancora una volta la storia di quel luogo: «È proprio qui che il nonno ed io ci scambiammo il nostro primo bacio. È rimasto esattamente come quel giorno». Gli occhi della ragazzina erano pieni di stupore per quel luogo sopravvissuto per quasi un secolo ai cambiamenti che avevano subìto la casa e i suoi abitanti.

Quando in un dato luogo avviene qualcosa di veramente grande, una sorta di “big bang” della nostra storia, si tenta in tutti i modi di conservarlo, di preservarlo. Quel luogo, che prima era anonimo e uguale a tanti altri, non è più lo stesso: si carica di memoria e ne diventa segno tangibile, testimone di un avvenimento.

Soglia

Share

Per cosa combatti

Se cerco il vocabolo “combattere” sul dizionario trovo che viene usato in diverse situazioni ma che tutte, o quasi, le volte che viene usato è accompagnato da una finalità. Per combattere è necessario uno scopo.

Chi è che oggi combatte? Per cosa combatte? Come combatte?
Viviamo in un’epoca di pace, soprattutto rispetto al secolo scorso che ha visto due conflitti mondiali, eppure si combatte ugualmente. Com’è possibile – ci chiediamo – che si combatta in una situazione geopolitica nella quale il nemico più vicino si trova in un altro continente? La battaglia c’è ma viene poco percepita perché si è spostata dal fronte materiale delle armi, delle bombe, della distruzione, dell’omicidio al fronte ideologico.

Il motore che alimenta queste “battaglie” è spesso l’indignazione, il malcontento, uno stato d’animo conseguenza di qualche sopruso subìto o di qualche egoismo che non ha trovato soddisfazione. Ciò di cui è difficile rendersi conto è che anche questo tipo di motore necessita di carburante. Un carburante che viene consumato lentamente ed inesorabilmente finché il motore è acceso, e questo carburante è la persona stessa che fa dell’indignazione il suo motore.
Quel desiderio che vuole la fine di una tal persona, colpevole o innocente che sia, per quanto pessima e deprecabile, finisce per rendere insensibili alla bellezza, incapaci di godere di quel che si ha. Prende pian piano il sopravvento sugli altri pensieri, pensieri belli e carichi di sentimento, creando come un sipario che scende sul mondo.

Sembra impossibile eppure è così: l’oggetto dell’indignazione si presenta nella pausa pranzo come argomento di conversazione; si insinua nelle lamentele (se non ci fosse *** sarebbe meglio); è collegato a tutto e tutto si collega a lui; è argomento di battute e perfino motivo di coesione tra persone che condividono lo stesso risentimento.
Più che vivere è vivacchiare; è perdersi quanto di più bello esiste per inseguire il proprio orgoglio ferito o una rabbia che non finisce mai.

I cavalieri valorosi combattevano il nemico per evitare ad ogni costo che, penetrando nella città, egli potesse distruggere quanto di bello era stato costruito, comprese la famiglia e le persone amate. Si combatteva il gradasso che stava distruggendo il debole; si combatteva per amore.
Se si ama qualcosa (o qualcuno) si è disposti a combattere per essa (egli); non si può combattere – nel senso più nobile del termine – se non per qualcosa (qualcuno) che si ama. L’indignazione non è amore: se l’amore chiama a combattere, l’indignazione chiama a vendicarsi.

La bella dama - Dicksee

Share

Evidenze

Osserviamo una coppia di innamorati. L’amore fra loro non è un oggetto tangibile, né una quantità misurabile, né qualcosa di accertabile – tant’è che esiste chi imbroglia la persona che ha accanto per anni o addirittura decenni. Al contrario c’è anche chi è certo dell’amore altrui senza nessuna dichiarazione formale né prova – e ci azzecca! Dell’amore noi possiamo solo vedere i suoi effetti: una carezza; un bacio; l’atteggiamento di fiducia; maggiore confidenza; preoccupazioni e premure che per altre persone non sussistono; capacità di perdonare superiore alla media.

Il sentimento dell’amore è qualcosa di cui sperimentiamo l’esistenza ma del quale abbiamo soltanto segnali “indiretti” ovverosia conseguenze. Anche nella scienza ci sono innumerevoli casi come questo. Ad esempio nessun esperimento di fisica nucleare permette di “vedere” o misurare le forze e i campi che agiscono su oggetti così piccoli, ma possiamo osservarne gli effetti come la deviazione di una traiettoria o un diverso numero di particelle che si comportano in un determinato modo.

L’amore – e non solo – è una di quelle cose per le quali una conseguenza manifesta la presenza della causa. Ci sono cose che non possiamo vedere ma che manifestano determinati effetti: non cediamo alla tentazione di negarle a priori.

Scatola nera

Share

La combriccola dei nucleoni

Una delle cose più affascinanti della fisica nucleare – tra quelle che mi spinsero ad intraprenderne gli studi – è il concetto di difetto di massa. Il nucleo di ogni atomo è formato da nucleoni, il nome che diamo a protoni e neutroni quando stanno insieme in un nucleo. Quando stanno da soli, ciascuno per conto proprio, ogni protone ha una massa a riposo di 1.672 · 10−27 Kg ed ogni neutrone ha una massa a riposo simile (1.674 ·10−27 Kg) perciò, se la matematica non è un’opinione, chiunque concluderebbe che un nucleo di oro peserebbe esattamente la somma di 76 volte il peso del protone e 118 volte il peso del neutrone.
Invece non è così: un nucleo di oro pesa di meno! Una parte della massa “scompare” per essere spesa in energia di legame. Come e perché ciò avvenga non è chiaro al 100% ma non è di questo che voglio parlare.

Tra i più antichi ricordi che ho ci sono quelli di quando andavo all’asilo: eravamo bambini un po’ monelli, incapaci di frenare un commento o un comportamento che potesse ferire l’altro. Infatti si era formato il gruppo dei “normali” mentre gli altri erano esclusi e spesso insultati. Ricordo un compagnetto che veniva emarginato per la sua benda da occhio pigro, un altro che se ne stava isolato perché tirava su con il naso e poi c’ero io, del colore sbagliato. Non so come, invece di starcene ciascuno per conto proprio a piagnucolare sulla propria emarginazione, cominciammo a stare insieme e a giocare. Anche a me faceva impressione l’occhio pigro o il continuo tirare su con il naso, come penso che anche ai miei compari facesse uno strano effetto il mio aspetto però avevo imparato che, come i nucleoni, bisogna rinunciare ad un po’ della propria massa – pregiudizi, impressioni, esteriorità, nomea – per stare insieme. L’energia di legame nel gruppo dei “normali” era invece nulla e questo comportava divisioni e litigi, la pretesa di ciascuno per la quale devono sempre essere gli altri ad adeguarsi a noi e non il viceversa.

Un caso più calzante è quello del matrimonio: due umani (nucleoni) di diversa natura (un uomo/neutrone e una donna/protone) stanno insieme ma non può esserci vero amore senza sacrificio (difetto di massa) altrimenti, prima o poi, la coppia esplode.
Altro caso si verifica nel mondo dei blog e bloggers: ci sono quelli del “giro grosso” e quelli “strani” che in pochi vanno a visitare, piccole nicchie con grandi tesori che in pochi conoscono. Colgo allora l’occasione per ringraziare i miei 6 lettori pregandoli di restare “connessi” con questa piccola nicchia anche se per qualche giorno non avrò il tempo di pubblicare materiale nuovo. Grazie.

Nucleo e nucleoni

Share

L’eccentrico imprenditore

Quando l’auto aveva nuovamente girato l’angolo Sabrina era ancora lì, a sorridere con le labbra ma non con gli occhi a quelle vetture che transitavano per la strada a passo d’uomo. Alcune si fermavano un po’ più avanti, alcune un po’ prima e caricavano le altre ragazze che, come Sabrina aspettavano.
L’eccentrico guidatore era già passato di lì per altri motivi ma, passando veloce, non aveva potuto fare a meno di notare il viso di Sabrina fra gli altri. Perciò aveva fatto il giro dell’isolato tornando indietro e mescolandosi agli altri automobilisti.

Lei si accomodò nei sedili posteriori e l’auto ripartì. Aveva notato lo sguardo strano del guidatore attraverso lo specchio retrovisore: sembrava guardare indietro, a quel luogo, come un profugo che avesse appena attraversato il confine del suo paese in guerra.
Di sguardi strani ne aveva visti abbastanza nonostante la sua carriera fosse iniziata da relativamente poco rispetto ad altre. Continuò a masticare la sua gomma e, quando furono abbastanza lontani, iniziò il solito “spettacolo” che faceva per tenere in caldo l’automobilista fino al luogo dove si sarebbero fermati. Aveva appena iniziato a sciogliere dei lacci quando notò che lo sguardo attraverso lo specchietto retrovisore non era “normale”. Stavolta non guardava indietro, guardava lei ma mancava quella brama che aveva visto luccicare altre volte. La cosa interruppe le sue operazioni.
«Dev’essere un pivello alla sua prima volta» – pensò Sabrina. Allora chiese: «Che c’è? Non hai mai visto una ragazza in vita tua?».
L’eccentrico uomo sospirò e disse: «È un vero peccato…» – guardò la strada, poi riprese – «Non meriti questo, sei fatta per cose più grandi». «Hai dei problemi?» – rispose Sabrina con il leggero timore di essere entrata nell’auto di un assassino o di un folle. «Cosa diresti se un grande compositore come Mozart non avesse fatto altro nella vita che lavare le scale?» – continuò l’uomo – «Cosa diresti se le sculture di Michelangelo fossero state usate come materia prima per farci i muri? È un peccato…» – «Ok, fammi scendere» – disse di scatto la ragazza, capendo che con quel matto non ci avrebbe ricavato un quattrino.
L’auto accostò ma, prima che Sabrina avesse aperto la portiera, l’uomo si era voltato allungando verso di lei un biglietto da visita e diverse banconote. «Nel caso volessi cambiare vita» – disse. Sabrina afferrò il mazzetto e uscì sbattendo la portiera. L’eccentrico uomo si aggiustò i polsini dell’elegante vestito e andò via. I soldi erano sufficienti per giustificare tutta la serata. Stranamente era scesa proprio vicino a casa sua.

Quella sera il sonno tardava a venire. Continuava a pensare a ciò che le era accaduto, a quell’uomo così bizzarro, a quello che le aveva detto, al suo sguardo. Poi pensò alla sua vita, al fatto che per la prima volta qualcuno credeva che lei avrebbe potuto fare qualcosa di meglio. Fino ad allora Sabrina si era convinta di essere una buona a nulla, di poter ambire al massimo a ciò che aveva già e faceva già.

Il giorno dopo versò la percentuale al bruto che “la possedeva”. L’individuo era talmente insensibile che non si accorse della differenza nel saluto e nel modo di guardarlo.
Pochi chilometri in autobus e si trovò all’indirizzo riportato sul biglietto da visita. Davanti a lei una grande azienda con un enorme cancello. Non si riusciva a vedere l’interno, forse nessuno in città c’era mai riuscito. La tentazione di alzare i tacchi era forte: in fondo poteva essere tutto un tranello, poteva ficcarsi in qualche guaio. Suonò al citofono. Non rispose nessuno ma il cancello automatico cominciò a scorrere aprendosi. Poco oltre il cancello c’era una casetta rurale ristrutturata dove viveva il guardiano. Attraverso il vetro lo vide parlare al telefono e sorridere. Poco dopo arrivò l’eccentrico uomo. «Grazie Antonio» – disse guardando il custode. Poi si voltò verso di lei – «Sono contento che tu abbia deciso di venire qui, Sabrina». La ragazza era un po’ stranizzata: era sicura di non aver mai pronunciato il suo nome a quell’uomo. Il suo pensiero fu interrotto dalla voce dello stravagante signore: «Seguimi!».

Mentre penetravano nell’enorme complesso Sabrina incrociava lo sguardo di quelli che lavoravano là dentro: non c’era ombra di tristezza, di fatica, di delusione. «Antonio, il custode…» – diceva l’eccentrico signore – «Sai che era un ubriacone? Ha accettato anche lui ed ora ha una famiglia, una casa e un lavoro.» – continuò indicando altrove – «Vedi quell’ingegnere a quella scrivania? Sta progettando un sistema estremamente complesso che solo lui può sviluppare. L’ho trovato che faceva il barbone dopo aver fondato la sua esistenza sul successo e aver fallito per aver fatto il passo più lungo della gamba. Ora lavora con noi e fa delle cose meravigliose.» – passando vicino ad un operaio che saldava una paratia – «Armando, aveva fatto un grosso sbaglio nella sua vita. Ho dovuto creargli un’identità nuova per convincerlo ad unirsi a noi. Ora è letteralmente ri-nato: la sua vita piena di errori si è trasformata in una vita piena di valori.» – giunti ad un ufficio che non era stato assegnato a nessuno, l’uomo la guardò e disse: «È il tuo momento, Sabrina. Oggi inizia la tua nuova vita nella nostra famiglia, amica mia».

Chiedo scusa per il post estremamente lungo. Non contento aggiungo questo cortometraggio della durata di circa venti minuti. Ringrazio Vittoria per avermelo fatto notare.

 

Share

Copertura

Annalisa amava Francesco; lo amava di quell’amore vero, sincero e razionale che guarda al futuro e fa attenzione all’altro nella sua interezza; difetti inclusi.
Una sera Francesco rientrò molto agitato. Era in ritardo ed Annalisa non aveva mai visto quell’espressione sul suo volto. Per Francesco era impossibile nascondere ad Annalisa ciò che era successo – quello che aveva fatto – perciò, chiusa la porta, si sedette con lei al tavolo della cucina ed iniziò a raccontare del suo errore.

Il racconto andava avanti sempre più lentamente, la voce di Francesco si faceva sempre più flebile e soffocata dall’emozione della colpa. Quando cominciò a parlare delle vittime non poté trattenere il pianto ed il racconto si interruppe più volte per singhiozzi e crisi. Le mani di Francesco passavano ripetutamente dai suoi capelli ai suoi occhi coprendo, ogni tanto, l’intero volto devastato da quella colpa troppo grande.
Anche Annalisa piangeva, non perché fosse ferita o oltraggiata in qualche modo da ciò che aveva fatto Francesco – e lo era – ma perché percepiva nettamente la sofferenza ed il pentimento di Francesco.

«La mia vita è finita, non c’è più speranza per uno come me» – concluse Francesco, lasciando immaginare che di lì a poco l’avrebbe fatta finita in qualche modo. Annalisa lo guardò negli occhi – «No, Francesco. Io ti conosco e ti amo: so cosa è meglio per te e so come ti stai sentendo ora. Proprio per questo so che quanto è accaduto oggi non si ripeterà mai più e…»
Rumori provenienti da fuori interruppero la frase. «Nasconditi qui e non fiatare» – disse rapidamente Annalisa mentre trascinava per un braccio Francesco. Lui avrebbe voluto non farlo, ma era troppo scosso per muovere qualsiasi obiezione.

Pochi istanti dopo bussarono alla porta. Era un gruppo di sei o sette persone che cercavano Francesco perché “doveva pagare”.
«Non è qui. Potete anche controllare se volete» – replicò loro Annalisa. Dopo essersi guardati un po’ intorno, quelli se ne andarono e Francesco poté nuovamente sedersi a parlare con Annalisa – «So che quanto è accaduto oggi non si ripeterà mai più e che tu sei realmente pentito. Ora, l’unica cosa della quale hai bisogno è di cominciare una vita nuova, una vita migliore. Hai bisogno di essere accolto ed amato, non di essere punito, perché è già tremenda la punizione che stai infliggendo a te stesso. L’unica cosa della quale devi preoccuparti è di riparare il riparabile, di ricavare un bene dal male che è già stato compiuto, non di scontare pene.»

Annalisa è stata forse una criminale per aver “coperto” Francesco? Si può rimediare al male con altro male? Spesso noi pretendiamo che ciascuno paghi a caro prezzo i propri errori, ma non riflettiamo che anche noi ne commettiamo e che fa parte della natura umana sbagliare. Non riflettiamo, soprattutto, sul dolore che certe persone si portano dietro, sul fatto che la condanna e l’esecuzione non sono sempre la strada giusta per combattere il male. Accogliere, non significa certamente essere accondiscendenti, ma implica osservazione e riflessione affinché anche chi ha commesso il male abbia la possibilità di essere una persona buona. Se poi costui inganna e finge il pentimento, non è bene sospettare la malafede e, in ogni caso, ogni nodo verrà prima o poi al pettine.

Disperato

Share

Le magie dei genitori

Ricordo che quando frequentavo ancora le elementari, pochi giorni dopo l’inizio della scuola, mio padre cercava di insegnarmi il rispetto per le mie cose mostrandomi come si foderavano i libri. Il suo scopo era anche quello di rendermi autosufficiente in questi lavori e non doverlo più fare lui ma non è di questo che voglio parlare.

Capitò un anno che fu comprato un rotolo di plastica trasparente colorata per foderare i miei libri scolastici. All’interno del rotolo c’era un adesivo che trovai veramente bello. Era una di quelle targhettine dove scrivere il proprio nome e cognome in modo da dare un proprietario al libro anche qualora non fosse tra le mani di chi lo aveva legittimamente acquistato.
Sono passati tanti anni e non ricordo più neanche cosa ci fosse disegnato sopra, forse un paio di coccinelle.

Come al solito, venne il momento di foderare i libri. Immagino di aver voluto tentare di fare tutto da solo ottenendo qualcosa di veramente brutto, perché mio padre decise di togliere la fodera al libro per rifarla. Il problema è che avevo già incollato quel bellissimo adesivo che, in un tentativo di staccarlo dalla fodera di scarto, si strappò irrimediabilmente.
Ero davvero seccato, anzi, credo di essermi messo pure a piangere.

Mio papà allora mi disse che ci avrebbe pensato lui ma che io non avrei dovuto vedere cosa andava a fare e dove andava. Qualche tempo dopo era di ritorno con l’adesivo pulito e integro. Mi sono sempre chiesto se in quel frangente fosse andato a comprare un rimpiazzo oppure se, prevedendo cosa sarebbe successo, ne avesse acquistato un doppione.  Avevo comunque intuito che quella “magia” doveva averla compiuta con i mezzi dei quali disponeva. Che si fosse insomma “servito” di meccanismi che conosceva abbastanza bene per farmi credere di aver fatto una magia.

L’essere stato – per così dire – ingannato è forse un motivo per volere meno bene al mio papà? Sapere che quella volta non ha fatto una vera magia lo rende meno buono verso di me o meno meritevole del mio rispetto?
Può capitare che chi ci voglia bene faccia dei “miracoli” senza dover scomodare il mondo dell’impossibile ma, spesso, quando veniamo a sapere “il trucco” ci dimentichiamo del bene che ci vuole quella Persona concentrando tutta la nostra attenzione sulla “offesa” ricevuta.
Che importa se quel giorno il sole ci parve fermo perché riflesso da un particolare strato di nubi? Che importa che quell’arcobaleno fosse la luce solare decomposta da miliardi di goccioline d’acqua? Ciò che dovrebbe importare è il senso dei gesti che vengono fatti per noi, soprattutto se è un senso dato da chi ci vuole bene.

Mago Merlino

Share

I fiori ed il possesso

Ho sempre guardato i classici mazzi di fiori, quelli che si mettono nell’acqua per farli resistere almeno un giorno, con un po’ di dispiacere. Certo, son belli, fa anche piacere riceverli ma, per me, è un peccato tagliarli e la loro caducità non rappresenta certo un valore positivo.
Chi mi conosce sa che, se proprio voglio regalare un fiore, mi piace farlo per intero, con tutto il vaso, la terra ed il resto della pianta. In questo modo, supponendo che il ricevente fornisca adeguata cura, quel fiore potrebbe essere un regalo a lungo o lunghissimo termine, pronto a sfoggiare la sua bellezza ogni anno o anche più frequentemente.

Con i fiori puoi farci due cose: o li tagli e li porti a casa, li metti dentro un vaso e te li godi quel poco che durano; oppure li coltivi, li annaffi, li curi ma li lasci lì dove stanno. Nel secondo caso non ti appartengono veramente ma la longevità della tua esperienza piacevole con loro è dovuta proprio al sacrificio e alla tua astensione dal possesso perché hai il desiderio della loro sopravvivenza.

Ritengo che sia così anche per le cose belle e, soprattutto per le persone belle. Prendersi tutto e prenderselo subito, lascia solo uno stelo appassito in un vasetto d’acqua; coltivare con pazienza e rispetto ma senza possesso può dare un sapore di eternità a quel pezzetto di bellezza.

Fiori

Share

Amore che impregna tutto

Solo qualche riflessione che ho fatto tra me e me sul senso dell’amore.
L’amore, quello che si distingue dal semplice interesse, l’amore vero per intenderci, è qualcosa di totalizzante: diventa qualcosa che non si può escludere dalla propria esistenza e neanche dalle singole azioni quotidiane. Non sto parlando di “pensare sempre a qualcuno” e neanche sto parlando di quella fase nella quale, ad un certo punto si decide di vivere insieme. Quel che voglio dire è che, a differenza dell’interesse, l’amore vero si attacca a quasi ogni aspetto della propria esistenza. È il colore di una stanza dopo aver fatto brillare con l’esplosivo un barattolo di vernice colorata posto al suo centro (mi viene in mente un episodio di Mr. Bean ma è meglio non divagare).

L’interesse è qualcosa di quantificabile e dunque si può fare una scala gerarchica tra i vari interessi. Se mi piace la botanica ed il calcio mi dividerò il tempo fra le due attività secondo il grado di interesse che ho per ciascuna. Se il calcio viene prima della botanica, rinuncerò ad annaffiare le piante all’ora prestabilita in caso di invito ad una partita. Viceversa potrei ignorare l’invito per dedicarmi ad una piantina che ha estremo bisogno di cure immediate.
L’amore non è così. Se ami veramente qualcuno non manifesti il tuo sentimento solo quando ci parli o quando vi vedete. Non è semplicemente “pensare a” senza un preciso scopo.

Se sai che una certa azione disturba quella persona, deciderai di astenerti, anche se avessi la possibilità di nasconderla (tanto alla fine queste cose vengono sempre a galla). Se hai un impegno con quella persona rispondi “no” ad altri impegni. Ogni decisione, ogni gesto, ogni cosa detta o fatta, nel momento in cui sperimenti l’amore, si impregna ed assume un senso, una conseguenza premeditata per non ferire o per fare piacere alla persona che si ama o, semplicemente, perché la vuoi onorare.
È chiaro che un tale comportamento produce guai, produce seccature, produce anche sofferenza. Se è vero, infatti, che la conseguenza desiderata per via dell’amore viene raggiunta, è anche vero che esistono altre inevitabili conseguenze: le piantine che muoiono, i compagni della partita che ti tolgono il saluto etc. Un altro “guaio” è che alle altre persone questo comportamento può anche risultare assurdo ed insensato, come una serie di regole auto-imposte o, addirittura, imposte dalla persona amata.

Ma chi ama, non ha al centro del suo interesse queste ultime conseguenze. L’amore ti cambia la vita, in ogni suo aspetto, compreso il tuo comportamento, il tuo carattere e il modo con cui osservi la realtà.

Share