Per quel piccolo neo

«Mamma, io a scuola non ci vado»
«Che cosa?!?! … Avanti, non fare i capricci e preparati»
«NO! Non è un capriccio, mamma: io ragiono con la mia testa e l’educazione che voglio me la scelgo io»
«Non è un motivo per non andare. Preparati se non vuoi restare ignorante come un somaro»
«Non insultare la mia scelta. Io non sarò un somaro. E poi lo sappiamo cosa fanno gli insegnanti…»
«Sentiamo. Cosa fanno?»
«Gli insegnanti sottopongono gli studenti ad indicibili derisioni, picchiano coloro che dovrebbero istruire e spesso ne abusano sessualmente. Non permetto a queste persone di pretendere di insegnarmi alcunché»
«La verità è che non vuoi studiare perché è faticoso. Ora fila a scuola o te le suono di santa ragione.»

Siamo sempre pronti a lamentarci, a puntare il dito e concentrare la nostra attenzione sul peggio. Andiamo a cercare anche il più piccolo neo e quando lo troviamo generalizziamo subito classificando un’intera categoria in base a quel solo piccolo neo, magari ingigantendolo diverse volte, fino a farlo diventare il marchio distintivo di quelle persone che non ci vanno a genio. Non è che lo facciamo per amore della verità, perché delle persone che ci piacciono non amiamo perdere tempo nel cercare macchie e scheletri nell’armadio. Lo facciamo perché, per altri motivi, abbiamo bisogno del torto nelle ragioni altrui.
Quando qualcuno dice o fa delle cose per noi sconvenienti, soprattutto se in cuor nostro sappiamo essere vere e/o giuste, allora cerchiamo scuse su scuse per giustificare innanzitutto noi stessi rendendo ingiustificabile quel qualcuno. Eppure questo comportamento è un chiudere gli occhi di fronte all’immenso bene che fanno quelle persone delle quali cerchiamo gli orrori, è un “tagliare fuori” una parte della realtà per i propri fini. In parole povere, un’ideologia.

Maestra

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Le magie dei genitori

Ricordo che quando frequentavo ancora le elementari, pochi giorni dopo l’inizio della scuola, mio padre cercava di insegnarmi il rispetto per le mie cose mostrandomi come si foderavano i libri. Il suo scopo era anche quello di rendermi autosufficiente in questi lavori e non doverlo più fare lui ma non è di questo che voglio parlare.

Capitò un anno che fu comprato un rotolo di plastica trasparente colorata per foderare i miei libri scolastici. All’interno del rotolo c’era un adesivo che trovai veramente bello. Era una di quelle targhettine dove scrivere il proprio nome e cognome in modo da dare un proprietario al libro anche qualora non fosse tra le mani di chi lo aveva legittimamente acquistato.
Sono passati tanti anni e non ricordo più neanche cosa ci fosse disegnato sopra, forse un paio di coccinelle.

Come al solito, venne il momento di foderare i libri. Immagino di aver voluto tentare di fare tutto da solo ottenendo qualcosa di veramente brutto, perché mio padre decise di togliere la fodera al libro per rifarla. Il problema è che avevo già incollato quel bellissimo adesivo che, in un tentativo di staccarlo dalla fodera di scarto, si strappò irrimediabilmente.
Ero davvero seccato, anzi, credo di essermi messo pure a piangere.

Mio papà allora mi disse che ci avrebbe pensato lui ma che io non avrei dovuto vedere cosa andava a fare e dove andava. Qualche tempo dopo era di ritorno con l’adesivo pulito e integro. Mi sono sempre chiesto se in quel frangente fosse andato a comprare un rimpiazzo oppure se, prevedendo cosa sarebbe successo, ne avesse acquistato un doppione.  Avevo comunque intuito che quella “magia” doveva averla compiuta con i mezzi dei quali disponeva. Che si fosse insomma “servito” di meccanismi che conosceva abbastanza bene per farmi credere di aver fatto una magia.

L’essere stato – per così dire – ingannato è forse un motivo per volere meno bene al mio papà? Sapere che quella volta non ha fatto una vera magia lo rende meno buono verso di me o meno meritevole del mio rispetto?
Può capitare che chi ci voglia bene faccia dei “miracoli” senza dover scomodare il mondo dell’impossibile ma, spesso, quando veniamo a sapere “il trucco” ci dimentichiamo del bene che ci vuole quella Persona concentrando tutta la nostra attenzione sulla “offesa” ricevuta.
Che importa se quel giorno il sole ci parve fermo perché riflesso da un particolare strato di nubi? Che importa che quell’arcobaleno fosse la luce solare decomposta da miliardi di goccioline d’acqua? Ciò che dovrebbe importare è il senso dei gesti che vengono fatti per noi, soprattutto se è un senso dato da chi ci vuole bene.

Mago Merlino

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Nell’armadio

Per Carlo era il primo giorno in quella nuova classe, in quell’ambiente sconosciuto. La comprensibile ansia per l’ignoto che lo circondava svanì improvvisamente quando vide entrare in classe Lucia. Era la più bella ragazza che avesse mai visto.
Quando fu l’ora di ricreazione, si avvicinò al gruppo di persone che parlavano con lei: «Dobbiamo raccogliere i soldi per il regalo di compleanno di Patrizio» – «Quanto ci mettiamo a testa?» – «Decidete voi, tanto per me va bene qualunque cifra» – «Mica siamo tutte fortunate come te, Lucia» – «Forse non è del tutto vero: pensa a quando dovrà cercarsi un ragazzo… dovrà essere uno economicamente alla sua altezza…»

«Ahi! Qui si mette male, caro Carlo» pensò il nuovo arrivato. Carlo non era certo ricco, anzi, si pagava gli studi lavorando part-time come cameriere in un ristorante. Ma non era affatto cattivo e non era affatto una brutta persona. Lucia doveva scoprire il bello di Carlo ma tra loro due c’era un muro economico che sembrava insormontabile.
«Guarda, il nuovo arrivato» – «Ti chiami Carlo, giusto? Parlaci un po di te! Dove abiti?»

«Vivo in una lussuosa villa!» – un secondo dopo, Carlo si era già pentito di averlo detto ma facendolo aveva abbattuto quell’immenso muro che lo divideva da Lucia. Ora doveva proseguire con la commedia o non avrebbe solo perso Lucia ma anche la sua reputazione.
Con il passare dei giorni Lucia si innamorava sempre più di Carlo, non perché fosse “ricco” ma proprio per la parte vera e bella di lui. Questo a Giorgio non andava proprio giù perché lui stravedeva per Lucia da molto prima che si facesse vivo Carlo e lei non lo aveva mai degnato di considerazione.

Giorgio era ormai ossessionato: braccava Carlo e sorvegliava ogni sua mossa. Alla fine scoprì chi era realmente perciò invitò tutta la classe a mangiare nel ristorante dove lavorava Carlo.
Come era prevedibile, tutti videro che Carlo era solo un cameriere. La maggior parte dei compagni se ne andò con indignazione. Non per aver scoperto “la verità” su Carlo, ma per essere stata coinvolta, usata e condotta lì solo per “smascherare” il ragazzo.
«Non è divertente?» chiese Giorgio con sorriso compiaciuto.

Giorgio mi ricorda certa stampa e, in particolare, buona parte del giornalismo di inchiesta in questo paese: spesso si fanno inchieste su inchieste, indagini senza fine perseguendo una maniacale ricerca di scheletri nell’armadio. Il movente di questo immane dispendio di energie non è certo la passione per la verità né un buon senso della giustizia, perché anche nel cercare ciò che è giusto c’è una misura e c’è un modo opportuno.
Spesso si cerca la verità scomoda per il proprio nemico, per l’oggetto della nostra invidia o gelosia; si identifica qualcuno da odiare e rovinare perché ci sembra irraggiungibile la sua fortuna e vogliamo togliergliela. La vera maniera di perseguire ciò che è vero e ciò che è giusto è promuoverne il fascino e non rovinare quella brava persona che, colpevolmente o meno, ha commesso qualche errore.

Scheletro nell'armadio

P.S. Qualcuno abbastanza cresciuto potrebbe riconoscere la scena di un film che mi ha ispirato questo post. A voi ricordarlo.

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