Scontato

Come i miei lettori ormai sapranno fino alla noia, mi sono trasferito. Ero preparato a dover fare delle rinunce ma una cosa è certa: capisco solo adesso che internet h24 non era scontato averlo, che il posto di lavoro non è scontato che sia vicino a casa e che ci voglia meno di trenta minuti per raggiungerlo, che non è scontato avere dei momenti tranquilli nella giornata per poter scrivere due righe sul blog.

Oggi un viceministro ha sostenuto che un ventottenne che ancora studia per ottenere la laurea (al di là degli studenti lavoratori) sarebbe definibile “sfigato”.
Io ho fatto l’ITIS e a 28 anni sto ultimando il dottorato di ricerca in fisica nucleare, dopo aver già preso una laurea triennale ed una laurea specialistica a pieni voti. Ciononostante non condivido affatto che una persona della mia età che stia ancora studiando per la laurea debba essere definito “sfigato”. Chi parla in questo modo e chi difende quest’ottica del “o sei secchione o sei sfigato” non ha mai avuto a che fare con ben altre realtà, di gente dotatissima stroncata dal sistema universitario, provetti Leonardo da Vinci classificati come “brocchi” da esaminatori incapaci, potenziali Einstein distrutti da un sistema che non contempla metodi di studio alternativi ma pur validi, personaggi con il q.i. di Steven Hawking ridotti al fuori corso dalla (s)fortuna di Paperino.
In qualità di “secchione”, so che non è scontato che un buon cervello porti subito alla laurea. Sono infatti certo che coloro i quali si definiscono “secchioni” per dare dello “sfigato” agli altri cadrebbero anche loro in questa seconda categoria se avessero meno fortuna, meno salute, meno insegnanti di talento o un metodo di studio erroneamente giudicato sbagliato. Il secchione fa affidamento su molte cose che, finché ci sono, non si rende neanche conto di quanto sia enormemente fortunato ad averle.

Non ci rendiamo mai conto del valore delle cose che abbiamo finché non ce le portano via. Anzi, non ci rendiamo conto che averle non è nemmeno poi così scontato. Tutto ciò che abbiamo, per quanto accessibile e a portata di mano ci sembri, non è banale, né dovuto, né certo. Piuttosto, riconosciamo che buona parte dei nostri successi non sarebbero tali senza quelle decine di condizioni al contorno che ci hanno favorito, quelle cose sulle quali non meditiamo neanche un istante ma per le quali dovremmo essere più che grati.

Laurea

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Il cielo stellato sul capo

Ero giovanissimo, avevo l’illusione che l’intelligenza umana potesse arrivare a tutto. E perciò m’ero ingolfato negli studi oltre misura. Non bastandomi la lettura di molti libri, passavo metà della notte a meditare sulle questioni più astruse. Una fortissima nevrastenia mi obbligò a smettere; anzi a lasciare la città, piena di tentazioni per il mio cervello esaurito, e a rifugiarmi in una remota campagna umbra.
Mi ero ridotto a una vita quasi vegetativa: ma non animalesca. Leggicchiavo un poco, pregavo, passeggiavo abbondantemente in mezzo alle floride campagne (era di maggio), contemplavo beato le messi folte e verdi screziate di rossi papaveri, le file di pioppi che si stendevano lungo i canali, i monti azzurri che chiudevano l’orizzonte, le tranquille opere umane per i campi e nei casolari.
Una sera, anzi una notte, mentre aspettavo il sonno, tardo a venire, seduto sull’erba di un prato, ascoltavo le placide conversazioni di alcuni contadini lì presso, i quali dicevano cose molto semplici, ma non volgari né frivole, come suole accadere presso altri ceti. Il nostro contadino parla di rado e prende la parola per dire cose opportune, sensate e qualche volta sagge. Infine si tacquero, come se la maestà serena e solenne di quella notte italica, priva di luna ma folta di stelle, avesse versato su quei semplici spiriti un misterioso incanto. Ruppe il silenzio, ma non l’incanto, la voce grave di un grosso contadino, rozzo in apparenza, che stando disteso sul prato con gli occhi volti alle stelle, esclamò, quasi obbedendo ad una ispirazione profonda: «Com’è bello! E pure c’è chi dice che Dio non esiste».
Lo ripeto, quella frase del vecchio contadino in quel luogo, in quell’ora: dopo mesi di studi aridissimi, toccò tanto al vivo l’animo mio che ricordo la semplice scena come fosse ieri. Un eccelso profeta ebreo sentenziò, or sono tremil’anni: «I cieli narrano la gloria di Dio». Uno dei più celebri filosofi dei tempi moderni scrisse: «Due cose mi riempiono il cuore di ammirazione e di reverenza: il cielo stellato sul capo e la legge morale nel cuore».

Enrico Fermi, premio Nobel per la Fisica 1938.
M. Micheli, Enrico Fermi e Luigi Fantappié. Ricordi personali, Responsabilità del sapere

Enrico Fermi

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Infinito

La mia colazione, questa mattina, ha previsto una bella fetta di pandoro da bagnare nel latte caldo: una tra le colazioni che considero le più deliziose. Anche se non sembra – per via del ridotto peso specifico – il pandoro è un alimento abbastanza grasso ed energetico, perciò bisogna andarci piano e limitare le quantità. L’effetto collaterale è che il piacere di una colazione così buona dura di meno perché c’è meno roba buona da mangiare.

Mentre mangiavo pensavo infatti che nel mondo sono poche, pochissime, – e comunque niente di materiale, misurabile, tangibile – le cose che garantiscono una soddisfazione permanente. Terminata la mia fetta di pandoro mi sono detto: “Ecco. È stato bello, mi è piaciuto, ma è già finito”. Eppure mi ha fatto riflettere l’aver detto “È già finito” perché in qualche modo evidenzia il desiderio inconscio di qualcosa che non si esaurisca in pochi bocconi – anzi, che non si esaurisca affatto. Non è un semplice senso di insoddisfazione dovuto al fatto che non mi sia riempito lo stomaco fino a scoppiare, perché una colazione abbondante riesce bene a saziarmi. È qualcosa che va oltre gli istinti della fame e della sazietà.

Nell’uomo, c’è una specie di “buco nero per le cose belle e positive”, ciò che lo spinge ad esplorare, a studiare, a inventare, a creare. Ma questo vuoto è lo stesso che, a volte, si cerca di riempire con tutte quelle cose che, essendo limitate, non ci riescono mai. Potrei ad esempio comprare un quintale di pandoro e fare una colazione perpetua, ma è chiaro che, se sopravvivo, prima o poi finirà e sarà di nuovo come all’inizio – se non peggio, a causa delle conseguenze. E questo modo di fare lo praticano in tanti e, spesso, si accorgono troppo tardi di aver sprecato il proprio tempo in una esagerazione.

È bizzarro però che degli esseri limitati, abituati alla vita in un mondo di oggetti limitati e con meccanismi biologici sviluppati appositamente per agire entro tutti questi limiti, abbiano un desiderio di qualcosa che sia privo di limiti. Potremmo chiamarlo “desiderio di infinito” ma l’infinito esiste solo nella mente di chi fa matematica perché, nell’universo, di illimitato non c’è nulla. Persino i buchi neri che osservano gli astronomi hanno una massa finita e una vita finita; persino l’universo ce l’ha. Questo “desiderio di infinito” non è di questo mondo, non è di questa dimensione, di questo spazio-tempo.

Infinito

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