Brina

Per molti, trovare il mondo ricoperto da minuscoli cristalli di ghiaccio al mattino può essere una cosa banale e scontata ma, per me che provengo da ben altre situazioni climatiche la brina è una cosa veramente curiosa. Quando si cambia casa, modificando anche le proprie latitudini, il nuovo luogo di residenza può sembrare “alieno”, strano, bizzarro.

La cosa più curiosa che ho notato, oltre al misterioso fascino delle foglie luccicanti come diamanti è che la brina persiste solo dove vi è ombra. Laddove arriva la luce del sole le verdi erbette si scrollano di dosso il peso della fredda ed umida notte e si drizzano rigogliose. La stessa brina che le ricopriva, una volta ritornata liquida, lascia umido il terreno rendendo inutile la pioggia.
Diversa è la situazione delle zone in ombra. Là dove la luce del Sole fatica a diffondersi, ostacolata dalla presenza di case, alberi o sassi, il ghiaccio persiste a lungo.

In quell’erba nell’oscurità, gelata dal ghiaccio, ricoperta da un manto di freddezza, ricurva su se stessa, vedo come tanti omini e donnine che quella luce non l’hanno ancora vista, che vivono una notte senza alba, senza fine, senza scopo; a sé stessi bastanti, unica cosa rilevante in un cosmo di gelo e tenebra. Eppure pochi centimetri più in là ci sono dei fuscelli che l’alba l’hanno vista, che già sentono il calore della luce solare, che sono aiutati dall’energia ricevuta ad ergersi in direzione del cielo. Con il loro splendore testimoniano la potenza della radiazione luminosa, dicono: «Il Sole sta arrivando anche da te».

brina

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Progresso regresso

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere questo componimento di Carlo Alberto Salustri, detto Trilussa:

Er Gambero e l’Ostrica
Ormai che me so’ messo
su la via der Progresso,
disse er Gambero a l’Ostrica – nun vojo
restà vicino a te che sei rimasta
sempre attaccata su lo stesso scojo. -
L’Ostrica je rispose: – E nun t’abbasta?
Chi nun te dice ch’er progresso vero
sia quello de sta’ fermi? Quanta gente,
che combatteva coraggiosamente
pe’ vince le battaje der Pensiero,
se fece rimorchià da la prudenza
ar punto de partenza?… -
Er Gambero, cocciuto,
je disse chiaramente: – Nun m’incanti!
Io vado all’antra riva e te saluto. -
Ma, appena ch’ebbe fatto quarche metro
co’ tutta l’intenzione d’annà avanti,
capì che camminava a parteddietro.

Ci battiamo e ci adoperiamo per ottenere un progresso, un diritto, una rivoluzione sociale, ma quante volte ciò per cui ci battiamo è realmente un progresso? Accade purtroppo spesso che alcune cose reclamate e definite “progresso” siano, in realtà, concetti antichi che – magari – sono stati debellati dopo tanti sforzi. Eh sì, a volte le mode e i costumi ci prendono proprio in giro.

Trilussa

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Radiazioni, queste sconosciute

Qualcuno, già leggendo la prima parola del titolo, si sarà spaventato. Quanta paura, paura per cosa? Una cosa naturale, naturalissima, forse tra le responsabili della nostra stessa esistenza e presenza nell’universo. Ne siamo pervasi, ne siamo persino sorgenti. Un eccesso ci fa male – vero – come l’eccesso in qualsiasi cosa. Qualsiasi.

La differenza con tutte le altre cose è che non vediamo le radiazioni, o meglio, vediamo solo ciò che i nostri sensi riescono a vedere: la radiazione dal rosso al violetto. Eh, già! Si chiama radiazione nel visibile. Anche l’eccesso in quella fa male, con scottature e abbagli, ma fa meno paura perché è visibile, perché è conosciuta.
Chi conosce anche le altre radiazioni impara ad usarle per indagare il mondo, come se fossero i suoi nuovi occhi. C’è addirittura chi le usa per curare le persone. Eh, già! Un fascio di radiazioni ben collimato e ben selezionato in energia è più efficace di un bisturi e molto meno doloroso – anzi – per nulla doloroso. Per non parlare di radiografie, TAC, liquido di contrasto…

Nella natura, ogni animale sa che dietro un angolo inesplorato può nascondersi un predatore; che ogni cosa che non sia ordinaria è un potenziale pericolo. L’animale teme l’ignoto e lo evita. Anche noi, belli cresciuti e razionali, sentiamo l’istinto di temere ciò che non conosciamo. Un istinto che ci fa agire in due modi: o gli diamo retta ignorando l’analisi ragionevole e finendo per combattere l’ignoto; oppure filtriamo l’istinto con pensieri più sofisticati e tipici della natura umana, abbattendo il muro della novità e arricchendo la nostra conoscenza. Non è il caso di sottolineare che il vero progresso richiede di agire in quest’ultimo modo.

Radiografia neutroni

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Modelli

Un modello è un sistema di equazioni e regole che descrivono bene un soggetto fisico ed il suo comportamento, ma che sono basati su delle ipotesi che possono anche non essere sempre verificate o che, pur non essendo vere, semplificano il problema. Per fare un esempio, una delle ipotesi che si fa più spesso è quella di supporre che il sistema che stiamo studiando sia omogeneo, cioè di composizione e caratteristiche identiche in ogni suo punto. La realtà invece è che ci sono punti dell’oggetto più amalgamati di altri o con composizione chimica diversa.

Uno stesso oggetto può essere descritto da più modelli. Ad esempio, il comportamento di un nucleo può essere descritto dal modello a goccia liquida (ottimo per descrivere la fissione) o dal modello a shell (buono per descrivere le eccitazioni e alcuni tipi di decadimento); c’è poi il modello statistico (utile per descrivere il processo di fusione) oppure il modello a cluster e così via…
Il fisico che si appresta a studiare un sistema sceglie di utilizzare il modello che funziona meglio nelle condizioni del suo esperimento. Non c’è un modello che ha più ragione di altri e neanche significa che il modello dica realmente come si comporti un nucleo. Infatti il modello a goccia di liquido suppone che il nucleo possa comportarsi come una goccia sferica di materia liquida ma non dice che il nucleo è un liquido. È semplicemente un modo di descrivere dei comportamenti e fare delle previsioni senza alcuna pretesa che la realtà sia esattamente quella che il modello ipotizza.

Noi non sappiamo ancora quale sia l’esatta realtà del nucleo. Ci appelliamo ai modelli per indagare meglio la natura ma non sappiamo intimamente quali siano i reali meccanismi che stanno dietro ad un determinato sistema.
La scienza funziona così: le spiegazioni che “funzionano” vengono adottate in mancanza d’altro ma il buon funzionamento di un modello o di una teoria non significa che quel modello o quella teoria dicano la verità sulla natura del sistema descritto. E ciò non vale soltanto per i nuclei, ma anche per tutto ciò che crediamo assodato e certificato. Neanche la legge di gravità sopravvive alla “prova perché”, cioè esiste sempre un momento in cui la domanda “perché?” non ha più risposta poiché sconosciuta.

Pensiamo al sistema geocentrico: un complesso modello di equazioni spiegava come calcolare la traiettoria dei pianeti visti da terra, compreso il fatto che ad un certo punto invertissero il moto sulla volta celeste. La spiegazione che “funziona” meglio, non è detto che sia la più “vera”.

simulazione calcio

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Il curatore

Si erano fatti strada nella giungla selvaggia per giorni e giorni, marciando con difficoltà, combattendo gli insetti mentre l’aria umida faceva ristagnare il sudore. Il quindicesimo giorno, i due esploratori trovarono una radura. La giungla si fermava di netto, lasciando il posto ad uno spettacolo di colori floreali.

«È stupendo – disse il primo – qualcuno deve sicuramente curare questo terreno». L’altro non era d’accordo: «Mah, potrebbe essere tutto spontaneo». «Aspettiamo e vediamo» rispose il primo. Così montarono le loro tende e si misero ad aspettare, ma dopo un paio d’ore ancora non si vedeva nessuno. Il terreno era veramente vasto: il misterioso curatore poteva essere stato in altre zone non a vista ed essere quindi passato inosservato.
Poiché sarebbe stato faticoso montare la guardia nella notte ad aspettare qualcuno che non sarebbe mai arrivato, il secondo esploratore disse sprezzante: «Tagliamo la testa al toro. Ora ci penso io!». Stufo di aspettare prese il filo spinato ed eresse una recinzione, che elettrificò. «Se viene qualcuno – disse soddisfatto – non ci sfuggirà».
Nessun grido di dolore fu udito durante la notte e il mattino dopo nessun corpo fu notato durante l’accurata ronda.

Mentre i due abbandonavano il terreno in cerca di qualcosa di più eccitante, lassù, in cima alla rupe, vestito di foglie intrecciate, li osservava seduto un anziano e calmo signore. «Che maleducati – pensò – Sono entrati nel mio giardino nel giorno di riposo e, non contenti, mi hanno pure messo filo spinato ovunque… – Un lungo sospiro non interruppe il pensiero – Ma perché, invece di venirmi a cercare, mi hanno tenuto alla larga dal mio stesso giardino? Cosa volevano? Che morissi per loro su quel fino spinato?».
I due figuri dovevano essere senza dubbio dei malintenzionati. Quando fu certo di essere di nuovo solo, il vecchio si alzò con il suo bastone in mano e incamminandosi concluse il suo pensiero: «Boh… Forse avrei dovuto farlo…».
Quante volte siamo stati avventati e impazienti? Quante volte non abbiamo saputo cercare e, non trovando, abbiamo smesso?  Che si tratti di metodo o di pazienza o di apertura mentale, se non riusciamo a vedere qualcosa è molto probabile che il motivo siamo noi stessi.

Giardino

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Uguaglianza dei biscotti

Altro post partorito a colazione: sarà il sonno, sarà il vuoto cerebrale post-risveglio, ma mentre facevo colazione mi è venuta in mente la grande varietà di biscotti. Non sono tutti uguali: ci sono quelli che si inzuppano pian piano; quelli che vanno a fondo; quelli che galleggiano qualsiasi cosa succeda; quelli che diventano poltiglia; quelli che rimangono asciutti e impermeabili anche se li lasci a mollo per mezz’ora.

Però sono tutti biscotti. Stesso oggetto, differenze di specie. Ogni biscotto è fatto per essere consumato in modo diverso: alcuni biscotti si devono spezzare prima di immergerli; altri vanno immersi per metà per essere iniziati; altri hanno un verso specifico altrimenti risultano impermeabili; altri ancora hanno bisogno del cucchiaino sotto, per essere recuperati prima di diventare poltiglia. Sebbene stiamo parlando sempre e solo di biscotti, ogni tipologia ha i suoi pregi e i suoi difetti, il suo modo corretto di essere consumato, una maniera idonea e ideale di essere trattato, il suo modo di interagire con il latte.

Stesso discorso per le persone. Siamo tutti esseri umani, certo, ma pari dignità e diritti sono conferiti sugli aspetti che sono già comuni. Quando però, con la presunzione di un uguaglianza che in realtà non esiste, vogliamo abbattere le differenze naturali, stiamo cercando di tenere a mollo per dieci minuti un biscotto che diventa poltiglia in trenta secondi. Cioè non abbiamo capito il meccanismo della dignità. Se c’è differenza tra uomo e donna, tra persona e persona, è perché ogni qualità e proprietà – differente dalle altre – ha un suo campo di applicazione ed un suo impiego che sarebbe sviluppato male se affidato a chi, quelle qualità, non le possiede. Non dobbiamo pretendere di essere buoni a tutto, anche a ciò per cui non siamo tagliati, ma riconoscere che essere fatti in un certo modo implica finalità specifiche, un modo di vivere più “calzante” di altri.

Biscotto

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Zucche per l’acqua

Esiste un particolare tipo di zucche che non viene coltivato per essere mangiato. Si tratta della Lagenaria siceraria, un rampicante parente delle zucchine che produce dei frutti con due lobi – uno superiore più piccolo e uno inferiore più grande – separati da un collo più o meno stretto. La peculiarità di questi frutti è che, raccolti per tempo e lasciati essiccare completamente, si svuotano completamente della polpa e induriscono la buccia esterna in modo del tutto automatico. Quando il frutto è pronto, agitandolo produce il suono dei semi che all’interno sono liberi di muoversi. A questo punto basta praticare un foro sulla sommità per permettere la fuoriuscita dei semi e poi richiuderlo con un tappo di sughero per ottenere una borraccia per l’acqua.

Si dice che questi frutti siano fra i primi ad essere stati utilizzati dall’uomo. Gli impieghi che queste zucche hanno trovato sono innumerevoli: oltre a contenitori di fluidi, sono usate come cassa di risonanza per strumenti musicali e addirittura come lampade ornamentali o come nido per alcuni uccelli che si nutrono di zanzare (vedi qui).

Non è proprio una meravigliosa coincidenza che esista un frutto del genere? Sembrano essere proprio la risposta scontata e naturale al bisogno dell’uomo di portarsi da bere nelle lunghe camminate. C’è da restare stupiti da come questi frutti a forma di borraccia si adattino perfettamente, naturalmente, automaticamente – quasi come una predisposizione programmata – all’esigenza umana.

borraccia di zucca vuota

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Supposizioni

Siamo più o meno tutti abituati all’idea di una scienza abbastanza “rigida” che avanzi con certezza e passo sicuro trasformando l’oscurità dell’ignoto in luminose descrizioni della natura. Questa idea di scienza – che mi chiedo chi o cosa l’abbia mai potuta inculcare nella gente – svanisce proprio quando si comincia a lavorarci, anzi, appena la si comincia a studiare. Sicurezza e certezza ce n’è ben poca anche nell’esercizio più banale. Non esiste praticamente dimostrazione scientifica o esercizio che non contenga ipotesi e supposizioni.

Una cosa banale: la caduta di un oggetto al suolo. Si deve assumere che l’attrito con l’aria sia trascurabile; si deve ipotizzare che l’oggetto trasli soltanto e non si metta a ruotare; si deve teorizzare di trovarsi in una geometria piana quando in realtà siamo su una sfera; si deve premettere che l’accelerazione di gravità sia effettivamente costante, quando si riduce con l’altezza; si deve supporre che l’accelerazione di gravità nel luogo dove ci troviamo sia la stessa che è scritta sul libro (infatti bisogna supporre che la Terra sia omogenea per poterlo dire); si deve presumere che la legge del moto uniformemente accelerato abbia tutti i termini del suo sviluppo in serie (tranne i primi tre) trascurabili etc.
Insomma, una decina di supposizioni solo per sapere quanto ci sta una penna caduta dal tavolo a toccare il suolo. Per non parlare del calcolo del punto esatto di contatto al suolo…

La scienza avanza per ipotesi, cose non dimostrate e non provate che però sono accettate come vere, reali, effettive. Il metodo scientifico non va oltre l’ignoranza della scienza stessa e perciò deve dare per buone alcune cose, deve cioè fare affidamento alla ragionevolezza. Che qualcosa sia ragionevole non significa obbligatoriamente che sia dimostrabile ma significa che l’ipotesi che facciamo è pensata, “ragionata”, valutata razionalmente. La ragione mi dice che l’America esiste anche se non ci sono mai stato; che quella pallina luminosa nel cielo è il pianeta Giove; che mia madre non usi avvelenare il cibo con il quale mi nutre in virtù dell’amore materno che ha per me e l’amore non si dimostra con una misura o con uno sforzo di logica.

Gli assunti ragionevoli che facciamo, si rivelano spesso corretti, veritieri. Nella vita di tutti i giorni ci sono svariate ipotesi – anche non scientifiche – che sono ragionevoli, alcune delle quali di importanza cruciale per il nostro agire e per il senso che diamo a noi stessi e quanto ci circonda.

H S fluttuazioni cosmiche

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Granchio anomalo

Un’estate di qualche anno fa mi trovavo nel parco naturale della valle dell’Anapo. Un posto suggestivo anche per le necropoli risalenti a più di tremila anni fa. La riserva naturale mostra paesaggi e creature tipici che cercano di sopravvivere alla contaminazione umana, spesso intenzionalmente dannosa per sottrarre e sfruttare economicamente i terreni del parco.

Il fiume Anapo forma, lungo il suo percorso, alcuni stagni che sono ricchi di vita. In uno di questi avevo visto un grosso granchio che se ne stava sulla sommità di un grosso sasso a pochi centimetri dall’acqua.
Doveva esserci qualche nido di vespe più a monte, perché qualcuno di questi insetti arrivava galleggiando in cerca di un appiglio per salvarsi. Le vespe non nuotano infatti. Una di queste raggiunge il sasso dove stava il granchio e comincia a risalire verso l’asciutto, avvicinandolo.

All’inizio pensavo che si sarebbero ignorati vicendevolmente ma mi sono dovuto ricredere quando ho visto il granchio, afferrare l’ape con le chele, ucciderla e divorarla. Fino a quel momento credevo che i granchi mangiassero solo alghe e non mi venite a dire che quell’ape era un’alga a forma di insetto!
Non finisce mica qui: nello stesso posto, qualche tempo dopo, ho visto un serpente che nuotava e che, dopo essersi immerso, ha preso un pesce enorme per mangiarselo.

Non so se questi comportamenti siano già classificati e ritenuti “normali” dagli etologi. So però che se un etologo mi venisse a dire che quel che ho visto è impossibile o che forse me lo sono sognato, non cambierei di una virgola la certezza di ciò che ho visto con i miei occhi. Anzi, dovrebbe essere lui a cambiare idea. L’esperienza diretta, ciò che sperimento in prima persona, ha la priorità sulle spiegazioni degli increduli. L’importante è osservare senza pregiudizi; non precludere nulla alla nostra analisi; lasciare che l’esperienza ragionevole, che ci può anche essere proposta da qualcuno più “esperto” (=che ha già fatto quell’esperienza e vuole renderci partecipi), possa essere da noi verificata in prima persona prima di essere rigettata o accettata.

Anapo

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Ricostruzioni

Supponiamo di allestire un bel biliardo nucleare, facendo scontrare due oggetti per diverse volte allo scopo di scoprire quante volte si si forma un certo risultato e quante volte se ne forma un altro. Immaginiamo che di questi prodotti, non tutti siano visibili, misurabili o identificabili oppure che sia facile notare la presenza di alcuni prodotti e sia complicato scovare gli altri. Se volessi sapere quante volte è stato prodotto un particolare nucleo, come dovrei fare?

Ci sono dei modelli teorici, delle formule che, sotto forma di programma per computer, fanno delle previsioni. Utilizziamo uno di questi programmi il quale ci dice che, secondo le previsioni, ogni prodotto ha una sua proporzione rispetto agli altri. Allora mi basterebbe misurare soltanto quei due o tre nuclei facili da vedere per poi risalire a tutti gli altri basandomi sulle proporzioni che il software mi ha fornito.

In questi giorni mi sono reso conto che questo modo di fare può condurre facilmente in errore perché dev’essere la natura a parlare e non il modello. Ho confrontato il risultato del programma con quello che invece si era riusciti a misurare, con fatica. Se avessi scelto la strada facile, misurando soltanto ciò che era facile misurare, avrei sbagliato di grosso, infatti, le proporzioni fra i prodotti sono totalmente diverse da quelle che tira fuori il programma. Se invece di misurare anche “il superfluo” mi fossi accontentato di ricostruire la realtà basandomi su pochi elementi parziali, sarei giunto ad un risultato falso.

Il problema di certe discipline, come ad esempio l’archeologia e la storia, non è diverso da quello fisico: l’archeologo e lo storico possono vedere solo le prove che sono sopravvissute al tempo e sono costretti poi a ricostruire la porzione mancante basandosi su supposizioni e ipotesi che possono anche rivelarsi errate. Il buon senso ci dice che tante più supposizioni sono necessarie ad una ricostruzione, tanto più questa ricostruzione è incerta. Nel caso della storia, più andiamo indietro nel tempo e meno certezze ci sono. Facciamo particolare attenzione ai risultati di certe ricerche, soprattutto quando sono utilizzabili per attaccare le ideologie degli altri o per difendere la nostra: evitiamo di dare per assodato e per scontato ciò che può essere solo una ipotesi; un’ipotesi che può essere la ricostruzione forzata di chi ha in mente un secondo fine.

Residui

Non posso misurare solo il germanio68 e basarmi sul modello perché misurando il gallio67 vedo che il modello lo sovrastima, sbagliando.

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