Automobili famose

Chi non ha mai sentito parlare di Herbie, il maggiolino tutto matto, o di KITT, la Supercar dell’omonimo telefilm? Sono i nomi di automobili famose per essere comparse sul grande schermo. Dietro l’immagine televisiva si nascondono però diversi “attori” particolari. Quando parlo di “attori” al plurale non mi sto riferendo ai protagonisti umani ma al gran numero di automobili gemelle che vengono prodotte quando si devono fare delle riprese per il cinema.

In molte scene vediamo che queste automobili si muovono da sole, senza conducente. In questi casi si utilizza sovente un modello radiocomandato in scala reale. Ebbene sì: esistono dei “super modellisti” che non si accontentano di una macchinina in scala 1:6 ma vogliono realmente guidare una vera automobile senza essere seduti dentro. Dei particolari servo-motori si occupano di muovere tutti i meccanismi del veicolo al posto del conducente e fanno anche di più: aprire sportelli; movimentare specchietti eccetera. Tutti i comandi vengono quindi impartiti attraverso onde radio.

Ora immaginiamo un alieno in visita sul nostro pianeta e gli diamo la nostra macchina radiocomandata. Lui la vedrà muoversi da sola e, poiché non è stupido, comincerà a studiarla scoprendo che determinate onde elettromagnetiche provocano alcuni movimenti dell’automobile. Noi raccontiamo al nostro alieno che, nascosto da qualche parte, c’è un manovratore che impartisce comandi al modellino, ma l’alieno imbraccia un generatore di onde e, interferendo, pretende di “dimostrarci” che non c’è alcun manovratore perché l’automobile sta soltanto reagendo alle onde elettromagnetiche dell’ambiente. Cosa dire del nostro alieno? Che non ha capito nulla. Esattamente come chi si diverte a dire che le persone sono solo macchine, dispositivi, delle “black box” che macinano un input per restituire un output. Dichiarazioni che farebbero stramazzare qualsiasi artista o chiunque abbia anche solo sentito parlare di filosofia.

Il maggiolino tutto matto

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Io robot: cuore e cervello

Isac Asimov ha dedicato molti dei suoi scritti all’intelligenza artificiale e ai robot, in generale. Mi è casualmente ritornato il pensiero su un film ispirato dai racconti di Asimov, “Io robot“, e sul protagonista robotico, Sonny.
Sonny è un robot “unico” nel suo genere, dimostra di avere dei sentimenti, di non essere puramente analitico o puramente logico; riesce addirittura ad avere dei sogni. Le sue qualità derivano da un elemento che altri robot non hanno: un cervello “doppione” che sta nel suo torace e che è apparentemente in contraddizione con il cervello “ordinario” che si trova nella sua scatola cranica.

Sonny ha un Cuore. Un cuore cibernetico, qualcosa che la libertà della narrativa di fantascienza permette di conferire anche ad una creazione dell’uomo. Possiamo però dire che Sonny è più “umano” dei suoi fratelli robot proprio perché ha questa parte tanto fondamentale e diffusa tra gli uomini quanto assente nei robot.
Ciò che rende un umano veramente “umano” è il Cuore. Non a caso una persona che si dice “senza cuore” non è umana. Entrambe le entità, Cuore e mente, devono coesistere ed essere valutate per la grande importanza che hanno senza far prevaricare l’una a scapito dell’altra. Rinunciare al proprio Cuore per valorizzare eccessivamente la “ragione”, la logica e il conseguente materialismo significa auto-infliggersi una mutilazione.

Ci sono persone, ahimè, che per qualche motivo – suppongo qualche brutto evento che ha ferito il loro Cuore – hanno deciso di farne a meno. Sarà anche logico – se non c’è un cuore non c’è niente da ferire – ma è ingiusto e sbagliato, innanzitutto verso sé stessi. L’uomo è un essere razionale ma è anche un essere che non può basare la sua esistenza solo sulla ragione asettica di un pensiero eccessivamente logico. Il risultato più evidente di un’umanità vissuta pienamente è la bellezza della creatività, della passione e della ricerca di quel qualcosa che va oltre i confini biologici di un organo ospitato all’interno del cranio. Il Cuore trascende la materialità del cervello eppure è ciò che ci spinge verso le cose più grandi.

Sonny, Io robot

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Infinito

La mia colazione, questa mattina, ha previsto una bella fetta di pandoro da bagnare nel latte caldo: una tra le colazioni che considero le più deliziose. Anche se non sembra – per via del ridotto peso specifico – il pandoro è un alimento abbastanza grasso ed energetico, perciò bisogna andarci piano e limitare le quantità. L’effetto collaterale è che il piacere di una colazione così buona dura di meno perché c’è meno roba buona da mangiare.

Mentre mangiavo pensavo infatti che nel mondo sono poche, pochissime, – e comunque niente di materiale, misurabile, tangibile – le cose che garantiscono una soddisfazione permanente. Terminata la mia fetta di pandoro mi sono detto: “Ecco. È stato bello, mi è piaciuto, ma è già finito”. Eppure mi ha fatto riflettere l’aver detto “È già finito” perché in qualche modo evidenzia il desiderio inconscio di qualcosa che non si esaurisca in pochi bocconi – anzi, che non si esaurisca affatto. Non è un semplice senso di insoddisfazione dovuto al fatto che non mi sia riempito lo stomaco fino a scoppiare, perché una colazione abbondante riesce bene a saziarmi. È qualcosa che va oltre gli istinti della fame e della sazietà.

Nell’uomo, c’è una specie di “buco nero per le cose belle e positive”, ciò che lo spinge ad esplorare, a studiare, a inventare, a creare. Ma questo vuoto è lo stesso che, a volte, si cerca di riempire con tutte quelle cose che, essendo limitate, non ci riescono mai. Potrei ad esempio comprare un quintale di pandoro e fare una colazione perpetua, ma è chiaro che, se sopravvivo, prima o poi finirà e sarà di nuovo come all’inizio – se non peggio, a causa delle conseguenze. E questo modo di fare lo praticano in tanti e, spesso, si accorgono troppo tardi di aver sprecato il proprio tempo in una esagerazione.

È bizzarro però che degli esseri limitati, abituati alla vita in un mondo di oggetti limitati e con meccanismi biologici sviluppati appositamente per agire entro tutti questi limiti, abbiano un desiderio di qualcosa che sia privo di limiti. Potremmo chiamarlo “desiderio di infinito” ma l’infinito esiste solo nella mente di chi fa matematica perché, nell’universo, di illimitato non c’è nulla. Persino i buchi neri che osservano gli astronomi hanno una massa finita e una vita finita; persino l’universo ce l’ha. Questo “desiderio di infinito” non è di questo mondo, non è di questa dimensione, di questo spazio-tempo.

Infinito

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La radio

Tutti conosciamo dell’esistenza di quelle radioline “tascabili” con l’antennina e le batterie, di quelle che si acquistano con poco. Per noi che viviamo nel ventunesimo secolo, circondati da internet, wireless e telefonini cellulari questi aggeggini non hanno misteri, ma divertiamoci qualche istante immaginando di avere accanto un abitante del passato. Va bene qualsiasi epoca, purché sia più antica di 100 ÷ 150 anni fa.

Senza dirgli niente, affidiamogli la radiolina – magari accesa – e vediamo cosa succede.
Senza dubbio, se il nostro amico è un tipo curioso e sperimentatore, cercherà di scoprire da dove vengono le voci e i suoni che ode. Sezionerà la radio, cercando al suo interno la misteriosa sorgente di quei suoni e, molto probabilmente, non la troverà. Non troverà una piccola persona che parla o una piccola orchestra. Potrà forse immaginare che quelle non siano vera voce e vera musica, ma frutto di artificiali e casuali flussi di energia all’interno della radio stessa.

Finché non spieghiamo dell’esistenza delle onde elettromagnetiche – sempre ammesso che ne siamo in grado e che il nostro ascoltatore sia in grado di capirci - quella persona continuerà a cercare nel posto sbagliato.

Anche se così non sembra, ci sono ancora molte, moltissime cose che stiamo cercando nel posto o nel modo sbagliato; cose che probabilmente non siamo ancora in grado di capire ma che supponiamo – con leggera superbia – di aver capito alla perfezione; cose a noi ancora invisibili e inimmaginabili come lo erano le onde elettromagnetiche per la gente di qualche secolo fa.
Ciò che sappiamo attualmente è solo una versione comprensibile della realtà e della realtà osservabile: apertura mentale è ammettere che c’è sempre qualcosa oltre ciò che conosciamo, anche se quel Qualcosa appare assurdo o illogico.

Radiolina

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L’altruismo di Patch Adams

Stamattina, nel pieno di uno stato febbrile – me ne sta ormai capitando uno al mese – il mio zapping si è soffermato sul film “Patch Adams” interpretato da Robin Williams e tratto dalla biografia di Hunter Campbell Adams, un simpatico signore con idee rivoluzionarie nell’approccio tra medico e paziente (il sorriso e la risata) che ebbe l’idea di una sanità gratuita ma non senza problemi.

Non voglio però parlare strettamente del personaggio o delle sue vicende. Ciò che ho trovato interessante sono alcune battute del film. Un dialogo in particolare si riferiva alla sensazione provata dal protagonista nel rendersi portatore di risata, sostegno morale ed aiuto fisico:

«- Il ricovero è la cosa migliore che mi sia mai capitata.
- Quindi i dottori ti hanno aiutato molto?
- Non mi hanno aiutato per niente. I pazienti hanno fatto molto. Mi hanno aiutato a capire che pensando a loro potevo dimenticarmi dei miei problemi. E l’ho fatto. Alcuni li ho aiutati davvero.»

È vero che certe volte si pratica l’altruismo egoisticamente, come un “hobby” ricercato più per i benefici che esso comporta, ma secondo me quel che si vuole dire in questo dialogo è che dedicarsi agli altri, riconoscendo in loro un valore umano, ridimensiona la nostra “puzza sotto al naso” perché il loro valore ci fa considerare meglio anche il nostro.
Non voglio certo dire che il dolore personale – la cosa più intima che può riguardare una persona – sia di poco conto rispetto a quello degli altri; la riflessione che propone questo dialogo è sul valore stesso del gesto, che ha ripercussioni sia su chi lo riceve, sia su chi lo compie.

Pochi secondi dopo il dialogo continua sottolineando l’aspetto più importante del gesto “altruistico”, della reazione buona – che definisco veramente “anticonformista” – al torto subito:

«- Che c’è?
- C’è che una persona… no? … che .. fa per me quello che hai fatto tu stasera dopo come ti ho trattato… Nessuno ha mai avuto un pensiero del genere prima. Grazie.»

Un gesto buono, davanti al torto subito, irrazionale, gratuito, completamente fuori dagli schemi naturali di aggressione-vendetta, può frantumare il circolo vizioso dell’odio e trasformare le persone profondamente.

Patch Adams

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Il dittatore

«Tutti mi chiamano “Signore”, vivono per mia approvazione. Mi presento: sono Zorcus, il dittatore»

Cosa l’ha spinta a diventare la personalità che è oggi?
Direi che è stata colpa della mia maestra: mi affascinò quando spiegò il funzionamento del cervello e delle sinapsi. Ogni pensiero, ogni sentimento ed emozione sono soltanto impulsi elettrici che si mescolano e si propagano all’interno del cervello. Capii da subito che quei pezzi di carne che avevo intorno potevano diventare essere solo due cose: un impiccio o uno strumento.

Pezzi di carne?
Certamente! Proprio come lei: una massa di fibre, molecole ed impulsi elettrici. Le persone non sono altro che animali efficienti che hanno l’unico svantaggio di dover essere convinti a fornirmi ciò che desidero.

E ci è riuscito?
All’inizio ben poco e ciò mi arrecava fastidio: questa è l’unica vita che ho perciò devo viverla godendola il più possibile ma questo risultato, che oggi posso definire un obiettivo raggiunto, all’inizio sembrava un lontano traguardo. Studiando ho imparato ad essere forte sia nella dialettica che nei fatti.

Nei fatti?
La scienza, l’onnipotente e razionale scienza è stata il migliore strumento che avessi mai utilizzato per ottenere con le mie forze tutto questo. Ricordo ancora come utilizzai il mio libro di chimica avanzata per occultare il primo corpo: la mia prima vittoria su coloro che mi contrastavano impedendomi di vivere serenamente. Con gli anni ho affinato sempre più la tecnica ed ho avuto sempre più sudditi in grado di liberarmi facilmente dagli avversari.

Chi erano i suoi avversari?
Erano solo dei cervelli che non funzionavano bene: presumevano che vi fosse un qualche motivo per il quale avrei dovuto smettere di raggiungere il mio appagamento. È stata una vera fatica sbarazzarmene e non sa quale immenso fastidio mi davano con i loro farfugli su fantomatiche realtà e presenze immaginarie. Converrà con me che è privo di senso sostenere che dentro un corpo vi possa essere qualcosa di invisibile ed intangibile ma di valore così inestimabile da impedirmi di raggiungere la felicità…

La felicità?
Ma certo! Mi basta battere le mani per chiamare i miei servi, per sollazzarmi con le mie fanciulle, per avere tutto l’oro e il potere che voglio. Non c’è motivo per il quale non dovrei ottenere dalla vita tutto ciò che voglio. Non vi è razionale motivo per il quale non dovrei battere i miei nemici: tutti coloro che mi danno fastidio. Gli altri sono servi, pezzi di carne semoventi ed utili a qualsiasi scopo. E se uno di loro non obbedisce lo si può sostituire subito. Io sono un vincitore e la mia vita è perfetta perché sono stato il più forte di tutti e ho quindi meritato. Ora vivo contento e me ne andrò a pancia piena. Quando comincerò a soffrire per la vecchiaia darò ordine di bruciare tutto in modo che nessuno possa ereditarlo e poi berrò il succo della dolce morte.

Ma non ha una coscienza?
Ma come osa? Quella parola l’ho proibita diversi decenni fa!
Portatela via, ai forni crematori!

il grande dittatore

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Orphen: salvare la vita di tutti

Un anime che ho trovato molto gradevole, anche per via di alcune riflessioni che la trama mi ha portato a fare, si intitola “Orphen lo stregone” noto anche come “Sorcerous Stabber Orphen” e “魔術士オーフェン Majutsushi Orphen”. Conosciuto attraverso la televisione nel 2004, come penso sia capitato a molti altri che non hanno la passione del fumetto.

Orphen è uno stregone (o apprendista stregone) che lascia la sua “scuola di stregoneria” in seguito ad un incidente accaduto ad una persona a lui molto cara e coincidente con l’apparizione di un terribile mostro, simile ad un drago, soprannominato “Bloody august”. Il mostro è inseguito dagli stregoni della scuola, che lo vogliono eliminare, e dallo stesso Orphen che è anche alla ricerca dei “pezzi” della spada di Balthanders. Nel frattempo incrocia la sua strada con un giovane che apprende da lui la magia, una ragazza che li accompagna ed altri amici.

Dopo il video della seconda sigla della prima serie farò uno spoiler (racconto il finale rovinando la sorpresa a chi non l’ha ancora visto) pertanto, chi vuole vedere questo anime può fermarsi qui.

Orphen e Azalee sono degli orfani che il maestro Childman alleva e istruisce alla magia. Azalee è una ragazza ambiziosa che si innamora di Childman e cerca di compiacerlo sperimentando magie sempre più complesse. Un giorno la ragazza decide di fare un esperimento con la spada di Balthanders, un oggetto magico che nessuno stregone era in grado di usare ma che si sapeva essere molto pericoloso. Trafiggendosi con questa spada Azalee si trasforma in Bloody august e fugge via. Orphen, si dà allora la missione di riportare Azalee al suo aspetto originario. Anche Childman ha segretamente questa missione, ma nelle prime fasi sembra voler uccidere Bloody august.

Nell’ultima puntata, dopo il lungo viaggio che porta Orphen a completare la spada di Balthanders riunendone i pezzi, accade che la spada venga usata male nello scontro tra Azalee e Childman (che tra l’atro, usando un incantesimo si erano pure scambiati le anime nei rispettivi corpi). Il fallimento dell’incantesimo distrugge il corpo di Childman e riporta il corpo di Bloody august alle sembianze di Azalee. Le anime dei due restano a volteggiare attorno al corpo di Azalee ma non lo occupano, sono troppe. È a questo punto che Orphen, rischiando di dissolversi anche lui o di trasformarsi anche lui in un mostro, utilizza correttamente la spada di Balthanders trasferendo l’anima di Azalee nel suo corpo e quella di Childman (non vi fu nome più profetico) in un embrione nell’utero di Azalee.

L’amore di Azalee per Childman diviene così amore materno e la vita di ciascuno è stata così risparmiata. Lo spezzone che ho descritto è visibile su Megavideo a partire dal minuto 7.

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