Inerzia

Il primo principio della dinamica dice che un corpo perfettamente libero di muoversi e non sottoposto a nessun tipo di perturbazione esterna (compreso ogni forma di attrito e ogni tipo di reazione interna che può innescare propulsione) persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme. Significa che la natura standard delle cose è quella di restare nel loro stato: se stanno ferme restano ferme, se si muovono, continuano a muoversi nella forma più semplice di moto finché non viene qualcuno ad interferire.

Una conseguenza di questo principio sono le forze che un corpo ci oppone quando vogliamo alterarne lo stato di moto o di quiete. È il motivo per il quale nelle automobili ci sono le marce e il cambio: un’automobile ferma si oppone al moto perciò ho bisogno di più potenza e meno velocità. Per lo stesso motivo usiamo le cinture di sicurezza: se il veicolo rallenta bruscamente, la natura dei nostri corpi è quella di perseverare nella loro corsa perciò tendono ad essere sbalzati in avanti.

Il principio di inerzia si può estendere anche a cose meno tangibili come le mille opinioni e convinzioni che ci frullano nella testa. Cambiare idea è infatti una delle cose più difficili che esistano. Diceva Einstein che spezzare un atomo è più facile che spezzare un pregiudizio ed in effetti aveva ragione. La realtà è una forza che altera il nostro stato ma le nostre convinzioni si oppongono reagendo con rabbia, con la polemica, cercando argomenti, cavilli, sotterfugi e dialettiche. Tutto facciamo fuorché dare ascolto al nostro cuore e verificare se l’ideologia di turno corrisponde o no alla natura dell’uomo e al suo senso.
La nostra inerzia corrisponde alla paura di un bimbo che non entra in una stanza buia, ma tali meraviglie si celano oltre la soglia, tale è la luce che sta al di là della paura, che vale la pena essere meno inerziali, buttarsi “a capofitto” verso il reale, lasciarsi plasmare da una realtà che ci parla per sperimentarne la bellezza.

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Dibattito

Ieri pomeriggio sono stato ad una riunione non ufficiale del personale “non strutturato”, cioè di coloro che prestano servizio all’interno della struttura ma in condizioni di precariato o in qualità di apprendisti o studenti. L’argomento della discussione verte sulla disparità di trattamento tra il personale strutturato e il non strutturato: il personale non strutturato sarebbe visto come una risorsa solo quando ci sono attività che il personale strutturato non fa perché non sarebbe “previsto dal contratto”; al contrario, in altre situazioni il personale non strutturato non disporrebbe dei vantaggi del personale strutturato.

La polemica si accende subito tra chi è indispettito dalla situazione e chi, invece, vede la propria presenza non strutturata come una fortuna, nel senso di avere la possibilità di studiare e di fare esperienza in un luogo lavorativo come il nostro, che permette di sviluppare le proprie potenzialità.
Dopo i primi interventi, nei quali ciascuno esprimeva il proprio punto di vista, tutti gli altri interventi a seguire sono stati lievemente diversi. Ho trovato interessante notare che il 90% degli interventi del dibattito esordivano con l’esplicito intento di definire chiaramente la questione, di mettere dei punti fissi, di trovare un punto di vista oggettivo.

Nel cuore dell’uomo c’è una forte, ineliminabile, connaturata esigenza di oggettività e di assoluto. Può questo desiderio essere soddisfatto? E se non può esserlo perché allora esiste? Tutti i nostri desideri, che condizionano le nostre azioni, hanno una ragione d’essere, non sono lì a caso: ci orientano verso ciò che è bene per noi, ci spingono verso obiettivi che tutto sommato devono esistere, altrimenti non avrebbe senso desiderarli.

Dibattito

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