Automobili famose

Chi non ha mai sentito parlare di Herbie, il maggiolino tutto matto, o di KITT, la Supercar dell’omonimo telefilm? Sono i nomi di automobili famose per essere comparse sul grande schermo. Dietro l’immagine televisiva si nascondono però diversi “attori” particolari. Quando parlo di “attori” al plurale non mi sto riferendo ai protagonisti umani ma al gran numero di automobili gemelle che vengono prodotte quando si devono fare delle riprese per il cinema.

In molte scene vediamo che queste automobili si muovono da sole, senza conducente. In questi casi si utilizza sovente un modello radiocomandato in scala reale. Ebbene sì: esistono dei “super modellisti” che non si accontentano di una macchinina in scala 1:6 ma vogliono realmente guidare una vera automobile senza essere seduti dentro. Dei particolari servo-motori si occupano di muovere tutti i meccanismi del veicolo al posto del conducente e fanno anche di più: aprire sportelli; movimentare specchietti eccetera. Tutti i comandi vengono quindi impartiti attraverso onde radio.

Ora immaginiamo un alieno in visita sul nostro pianeta e gli diamo la nostra macchina radiocomandata. Lui la vedrà muoversi da sola e, poiché non è stupido, comincerà a studiarla scoprendo che determinate onde elettromagnetiche provocano alcuni movimenti dell’automobile. Noi raccontiamo al nostro alieno che, nascosto da qualche parte, c’è un manovratore che impartisce comandi al modellino, ma l’alieno imbraccia un generatore di onde e, interferendo, pretende di “dimostrarci” che non c’è alcun manovratore perché l’automobile sta soltanto reagendo alle onde elettromagnetiche dell’ambiente. Cosa dire del nostro alieno? Che non ha capito nulla. Esattamente come chi si diverte a dire che le persone sono solo macchine, dispositivi, delle “black box” che macinano un input per restituire un output. Dichiarazioni che farebbero stramazzare qualsiasi artista o chiunque abbia anche solo sentito parlare di filosofia.

Il maggiolino tutto matto

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Inerzia

Il primo principio della dinamica dice che un corpo perfettamente libero di muoversi e non sottoposto a nessun tipo di perturbazione esterna (compreso ogni forma di attrito e ogni tipo di reazione interna che può innescare propulsione) persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme. Significa che la natura standard delle cose è quella di restare nel loro stato: se stanno ferme restano ferme, se si muovono, continuano a muoversi nella forma più semplice di moto finché non viene qualcuno ad interferire.

Una conseguenza di questo principio sono le forze che un corpo ci oppone quando vogliamo alterarne lo stato di moto o di quiete. È il motivo per il quale nelle automobili ci sono le marce e il cambio: un’automobile ferma si oppone al moto perciò ho bisogno di più potenza e meno velocità. Per lo stesso motivo usiamo le cinture di sicurezza: se il veicolo rallenta bruscamente, la natura dei nostri corpi è quella di perseverare nella loro corsa perciò tendono ad essere sbalzati in avanti.

Il principio di inerzia si può estendere anche a cose meno tangibili come le mille opinioni e convinzioni che ci frullano nella testa. Cambiare idea è infatti una delle cose più difficili che esistano. Diceva Einstein che spezzare un atomo è più facile che spezzare un pregiudizio ed in effetti aveva ragione. La realtà è una forza che altera il nostro stato ma le nostre convinzioni si oppongono reagendo con rabbia, con la polemica, cercando argomenti, cavilli, sotterfugi e dialettiche. Tutto facciamo fuorché dare ascolto al nostro cuore e verificare se l’ideologia di turno corrisponde o no alla natura dell’uomo e al suo senso.
La nostra inerzia corrisponde alla paura di un bimbo che non entra in una stanza buia, ma tali meraviglie si celano oltre la soglia, tale è la luce che sta al di là della paura, che vale la pena essere meno inerziali, buttarsi “a capofitto” verso il reale, lasciarsi plasmare da una realtà che ci parla per sperimentarne la bellezza.

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L’eccentrico imprenditore

Quando l’auto aveva nuovamente girato l’angolo Sabrina era ancora lì, a sorridere con le labbra ma non con gli occhi a quelle vetture che transitavano per la strada a passo d’uomo. Alcune si fermavano un po’ più avanti, alcune un po’ prima e caricavano le altre ragazze che, come Sabrina aspettavano.
L’eccentrico guidatore era già passato di lì per altri motivi ma, passando veloce, non aveva potuto fare a meno di notare il viso di Sabrina fra gli altri. Perciò aveva fatto il giro dell’isolato tornando indietro e mescolandosi agli altri automobilisti.

Lei si accomodò nei sedili posteriori e l’auto ripartì. Aveva notato lo sguardo strano del guidatore attraverso lo specchio retrovisore: sembrava guardare indietro, a quel luogo, come un profugo che avesse appena attraversato il confine del suo paese in guerra.
Di sguardi strani ne aveva visti abbastanza nonostante la sua carriera fosse iniziata da relativamente poco rispetto ad altre. Continuò a masticare la sua gomma e, quando furono abbastanza lontani, iniziò il solito “spettacolo” che faceva per tenere in caldo l’automobilista fino al luogo dove si sarebbero fermati. Aveva appena iniziato a sciogliere dei lacci quando notò che lo sguardo attraverso lo specchietto retrovisore non era “normale”. Stavolta non guardava indietro, guardava lei ma mancava quella brama che aveva visto luccicare altre volte. La cosa interruppe le sue operazioni.
«Dev’essere un pivello alla sua prima volta» – pensò Sabrina. Allora chiese: «Che c’è? Non hai mai visto una ragazza in vita tua?».
L’eccentrico uomo sospirò e disse: «È un vero peccato…» – guardò la strada, poi riprese – «Non meriti questo, sei fatta per cose più grandi». «Hai dei problemi?» – rispose Sabrina con il leggero timore di essere entrata nell’auto di un assassino o di un folle. «Cosa diresti se un grande compositore come Mozart non avesse fatto altro nella vita che lavare le scale?» – continuò l’uomo – «Cosa diresti se le sculture di Michelangelo fossero state usate come materia prima per farci i muri? È un peccato…» – «Ok, fammi scendere» – disse di scatto la ragazza, capendo che con quel matto non ci avrebbe ricavato un quattrino.
L’auto accostò ma, prima che Sabrina avesse aperto la portiera, l’uomo si era voltato allungando verso di lei un biglietto da visita e diverse banconote. «Nel caso volessi cambiare vita» – disse. Sabrina afferrò il mazzetto e uscì sbattendo la portiera. L’eccentrico uomo si aggiustò i polsini dell’elegante vestito e andò via. I soldi erano sufficienti per giustificare tutta la serata. Stranamente era scesa proprio vicino a casa sua.

Quella sera il sonno tardava a venire. Continuava a pensare a ciò che le era accaduto, a quell’uomo così bizzarro, a quello che le aveva detto, al suo sguardo. Poi pensò alla sua vita, al fatto che per la prima volta qualcuno credeva che lei avrebbe potuto fare qualcosa di meglio. Fino ad allora Sabrina si era convinta di essere una buona a nulla, di poter ambire al massimo a ciò che aveva già e faceva già.

Il giorno dopo versò la percentuale al bruto che “la possedeva”. L’individuo era talmente insensibile che non si accorse della differenza nel saluto e nel modo di guardarlo.
Pochi chilometri in autobus e si trovò all’indirizzo riportato sul biglietto da visita. Davanti a lei una grande azienda con un enorme cancello. Non si riusciva a vedere l’interno, forse nessuno in città c’era mai riuscito. La tentazione di alzare i tacchi era forte: in fondo poteva essere tutto un tranello, poteva ficcarsi in qualche guaio. Suonò al citofono. Non rispose nessuno ma il cancello automatico cominciò a scorrere aprendosi. Poco oltre il cancello c’era una casetta rurale ristrutturata dove viveva il guardiano. Attraverso il vetro lo vide parlare al telefono e sorridere. Poco dopo arrivò l’eccentrico uomo. «Grazie Antonio» – disse guardando il custode. Poi si voltò verso di lei – «Sono contento che tu abbia deciso di venire qui, Sabrina». La ragazza era un po’ stranizzata: era sicura di non aver mai pronunciato il suo nome a quell’uomo. Il suo pensiero fu interrotto dalla voce dello stravagante signore: «Seguimi!».

Mentre penetravano nell’enorme complesso Sabrina incrociava lo sguardo di quelli che lavoravano là dentro: non c’era ombra di tristezza, di fatica, di delusione. «Antonio, il custode…» – diceva l’eccentrico signore – «Sai che era un ubriacone? Ha accettato anche lui ed ora ha una famiglia, una casa e un lavoro.» – continuò indicando altrove – «Vedi quell’ingegnere a quella scrivania? Sta progettando un sistema estremamente complesso che solo lui può sviluppare. L’ho trovato che faceva il barbone dopo aver fondato la sua esistenza sul successo e aver fallito per aver fatto il passo più lungo della gamba. Ora lavora con noi e fa delle cose meravigliose.» – passando vicino ad un operaio che saldava una paratia – «Armando, aveva fatto un grosso sbaglio nella sua vita. Ho dovuto creargli un’identità nuova per convincerlo ad unirsi a noi. Ora è letteralmente ri-nato: la sua vita piena di errori si è trasformata in una vita piena di valori.» – giunti ad un ufficio che non era stato assegnato a nessuno, l’uomo la guardò e disse: «È il tuo momento, Sabrina. Oggi inizia la tua nuova vita nella nostra famiglia, amica mia».

Chiedo scusa per il post estremamente lungo. Non contento aggiungo questo cortometraggio della durata di circa venti minuti. Ringrazio Vittoria per avermelo fatto notare.

 

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Svincolo

Qualche giorno fa, una delle poche volte nelle quali ho utilizzato l’automobile per andare a lavorare, stavo guidando sulla via del ritorno quando sono giunto ad uno svincolo che conosco bene. Lo svincolo si dirama in due bracci: quello sulla destra va a scendere verso sud; quello sulla sinistra va a salire verso nord in direzione di casa mia. Nell’ora di punta lo svincolo sulla sinistra è sempre intasato da una lunga fila di auto (e di certo lo STOP non aiuta) mentre sulla destra le auto scorrono normalmente.

Conosco bene la zona e so che se si imbocca il ramo destro dello svincolo, si incontra una traversa sulla sinistra che, attraverso stradine strette ma vuote, riporta verso nord, oltre lo STOP e oltre gran parte della fila. Una prima riflessione che si potrebbe fare è che l’esperienza paga: la strada indicata dalla persona che ha esperienza, anche se sembra stretta e isolata può essere migliore, molto migliore della strada che sembra più “ovvia” e più facile.

La seconda riflessione è che, anche se imboccando quella strada non ho fatto nulla di illegale, ho pur sempre eseguito un “trucco”, una manovra per avere un vantaggio sugli altri che fanno la fila, un modo di scavalcarli. Quando infatti sono arrivato sotto casa, ho trovato tutti posti occupati. Mi dico “pazienza” e vado a parcheggiare in fondo alla strada. Chiudo la macchina e mi incammino verso casa. Appena arrivo proprio davanti al portone, una delle auto parcheggiate va via liberando il posto più ambito della strada. A questo punto sono tornato alla macchina per spostarla e ho complessivamente perso più tempo di quello che avrei perso facendo la fila come tutti gli altri.

Se non avessi fatto “il furbo” avrei trovato il posto migliore fin da subito. Certo, alla fine l’ho avuto lo stesso ma ho fatto più fatica e ho perso più tempo. Questo piccolo episodio mi ha fatto riflettere sul senso di certe regole (e non mi riferisco alla legge ma anche a semplici modi di fare non scritti): spesso le rifiutiamo perché non vediamo altro che lo svantaggio che il seguirle ci apporta. Non ne capiamo il senso o non ne vediamo il beneficio ultimo se non quando gli effetti e le conseguenze della trasgressione ci si ritorcono contro.

Svincolo

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