Arma letale

Supponiamo di essere dei brillanti ingegneri che si sono uniti a dei ribelli (i Maquis) per opporsi a degli oppressori doppiogiochisti (i Cardassiani) che hanno costruito un’arma potentissima: un missile dalla potenza disgregatrice di mille chili di antimateria e altrettanti di materia. Ora supponiamo di essere così in gamba da entrare all’interno del missile, violando i suoi codici di sicurezza, e di riprogrammare la sua intelligenza artificiale per colpire un bersaglio cardassiano. Come ci sentiremmo se la nostra “creatura” fosse completamente fuori rotta e pronta a distruggere milioni di innocenti?

Nell’episodio dal titolo “Dreadnought” della serie “Star Trek: Voyager” il capo ingegnere B’Elanna Torres incrocia la suaTorres strada con una sua vecchia conoscenza: un missile cardassiano che lei stessa aveva riprogrammato ma che era andato disperso. Ora, a causa di un evento non considerato, il missile è stato catapultato a settantamila anni luce da casa, cioè nel quadrante delta, e sta puntanto un pianeta del tutto innocente.
Quando B’Elanna entra per la seconda volta nel missile cerca di convincere l’intelligenza artificiale – che ha la sua stessa voce – del madornale errore di rotta. Il programma del missile si rivela più furbo del previsto e, dopo aver imbrogliato il capo ingegnere, riprende la sua rotta verso il suo bersaglio di innocenti. La conclusione del computer di bordo è disarmante: «La probabilità di trovarsi nel quadrante delta, a settantamila anni luce dal bersaglio, è trascurabile». Il computer di bordo ripete questa frase più volte e costruisce una sua versione della realtà che gli faccia proseguire il viaggio mortale: B’Elanna è passata al nemico; la storia del quadrante delta è una cospirazione. Notare l’assenza di condizionale.

Il Dreadnought, che trascorre il tempo creando scenari, ipotesi e tattiche per evitare ogni imprevisto da parte del nemico (ha persino un messaggio per le navi “amiche” in modo che lo lascino passare) mi ricorda molto certe persone – che definirei disperate - incontrate in rete. Come sappiamo, una cosa improbabile non è impossibile ma, quando ci sono di mezzo le ideologie, lo diventa. Non ci sono ragioni, né spiegazioni, né logiche che tengano con chi ha stabilito a priori come debba andare il Mondo. Quando la realtà non ci piace, diventiamo scettici, cominciado a tirar fuori la probabilità per “sbugiardare” gli altri e, se sono insistenti, inventandoci anche qualche bella cospirazione di cui accusarli o qualche fantasiosa ipotesi “scientifica” di come si sarebbero svolti i fatti.

Il problema del Dreadnought è che non basa le conclusioni che formula sulle osservazioni, ma su congetture e congetture di congetture, divergendo dal reale. Esattamente come alcuni che pur di non ammettere la possibilità che l’interlocutore abbia ragione – o anche semplicemente di non sapere – , arrivano ad ipotizzare le cose più irragionevoli e ad imporre la loro “versione” a suon di dialettica. L’Universo non è fatto soltanto di materia, misure, teorie e probabilità, ma è pieno di cose che non possiamo neanche immaginare.

Arma letale, Dreadnought, Voyager

Bene, gente… Domani vengo catapultato nel quadrante delta. Ciò potrebbe comportare interruzione di comunicazioni per un po’, eventuali mondi alieni ai quali abituarsi e bizzarre avventure da annotare sul diario di bordo. Restate in linea ed attendete segnali dal subspazio, anche se dovessero passare diversi giorni. A presto!

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Altre dimensioni

In genere, se spostiamo un oggetto, qualsiasi suo movimento può essere considerato come la somma di tre traslazioni lungo le tre direzioni: x; y; z. La posizione di un oggetto è quindi definita dalle sue tre coordinate e dall’informazione sull’istante in cui occupava quella posizione: x; y; z; t.
Se c’è una cosa interessante dei fisici teorici è che sognano e fanno sognare: una delle ipotesi più affascinanti che siano state concepite è che non esistano soltanto le dimensioni spaziali e la dimensione temporale alle quali siamo abituati, ma che esistano altre coordinate delle quali non riusciamo a percepire l’esistenza.

Per fare un paragone esemplificativo possiamo considerare il desktop di Linux: sul mio pc Linux posso disporre di ben quattro desktop, ciascuno di essi selezionabili nella parte inferiore destra dello schermo. È come avere quattro schermi contemporaneamente, ciascuno con le sue finestre e i suoi programmi ma che hanno stesse dimensioni, stesse icone e stesso sfondo. Due programmi diversi possono allora avere identica posizione ma non essere sovrapposti perché appartenenti a due desktop differenti.

Se l’ipotesi dei teorici è corretta potrebbe anche darsi che proprio lì dove stiamo guardando lo schermo di un computer ci sia anche – in una diversa coordinata non percepibile – un fiore con petali esagonali o un drago viola o lo spazio interstellare. Chiaramente stiamo sfociando nella fantascienza, ma ci sono ricercatori che intendono utilizzare il Large Hadron Collider proprio per traslare alcune particelle lungo quelle coordinate impercettibili provocandone la letterale sparizione dal nostro universo.

Tutto questo discorso ci interroga sulla possibilità che esistano delle cose invisibili, intangibili e non misurabili ma che stiano esattamente dove siamo noi: sarebbero lì ma non le percepiremmo. Esiste soltanto ciò che possiamo percepire e/o misurare?

Selettore area di lavoro

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Ricostruzioni

Supponiamo di allestire un bel biliardo nucleare, facendo scontrare due oggetti per diverse volte allo scopo di scoprire quante volte si si forma un certo risultato e quante volte se ne forma un altro. Immaginiamo che di questi prodotti, non tutti siano visibili, misurabili o identificabili oppure che sia facile notare la presenza di alcuni prodotti e sia complicato scovare gli altri. Se volessi sapere quante volte è stato prodotto un particolare nucleo, come dovrei fare?

Ci sono dei modelli teorici, delle formule che, sotto forma di programma per computer, fanno delle previsioni. Utilizziamo uno di questi programmi il quale ci dice che, secondo le previsioni, ogni prodotto ha una sua proporzione rispetto agli altri. Allora mi basterebbe misurare soltanto quei due o tre nuclei facili da vedere per poi risalire a tutti gli altri basandomi sulle proporzioni che il software mi ha fornito.

In questi giorni mi sono reso conto che questo modo di fare può condurre facilmente in errore perché dev’essere la natura a parlare e non il modello. Ho confrontato il risultato del programma con quello che invece si era riusciti a misurare, con fatica. Se avessi scelto la strada facile, misurando soltanto ciò che era facile misurare, avrei sbagliato di grosso, infatti, le proporzioni fra i prodotti sono totalmente diverse da quelle che tira fuori il programma. Se invece di misurare anche “il superfluo” mi fossi accontentato di ricostruire la realtà basandomi su pochi elementi parziali, sarei giunto ad un risultato falso.

Il problema di certe discipline, come ad esempio l’archeologia e la storia, non è diverso da quello fisico: l’archeologo e lo storico possono vedere solo le prove che sono sopravvissute al tempo e sono costretti poi a ricostruire la porzione mancante basandosi su supposizioni e ipotesi che possono anche rivelarsi errate. Il buon senso ci dice che tante più supposizioni sono necessarie ad una ricostruzione, tanto più questa ricostruzione è incerta. Nel caso della storia, più andiamo indietro nel tempo e meno certezze ci sono. Facciamo particolare attenzione ai risultati di certe ricerche, soprattutto quando sono utilizzabili per attaccare le ideologie degli altri o per difendere la nostra: evitiamo di dare per assodato e per scontato ciò che può essere solo una ipotesi; un’ipotesi che può essere la ricostruzione forzata di chi ha in mente un secondo fine.

Residui

Non posso misurare solo il germanio68 e basarmi sul modello perché misurando il gallio67 vedo che il modello lo sovrastima, sbagliando.

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