L’energia esiste

Che cos’è l’energia? Domanda all’apparenza semplice ma dalla risposta difficile. L’energia non si crea né si distrugge ma si trasferisce da un ente all’altro cambiando anche tipologia. L’energia chimica contenuta nel succo di frutta che abbiamo bevuto si trasforma in energia potenziale quando saliamo le scale; l’energia potenziale acquistata dall’automobile che si è arrampicata su un paesino di montagna diventa energia cinetica quando questa ridiscende senza usare i freni e quando diventa troppa l’autista rallenta e l’energia cinetica si trasferisce ai freni sotto forma di calore.

L’energia non si tocca, non si vede ma si osservano solo i suoi effetti. La manifestazione dell’energia cinetica è la velocità; dell’energia termica, la temperatura; dell’energia chimica, le reazioni; dell’energia luminosa, il numero di fotoni per unità di superficie. Non esiste dispositivo al mondo in grado di misurare direttamente l’energia. Gli unici rivelatori che danno informazione sull’energia misurano il numero di coppie elettrone-lacuna generate dentro uno strato di silicio dal passaggio di una particella carica. Possiamo misurare la temperatura, la velocità, la quantità di reagente prodotto, la quantità di luce, il flusso degli elettroni in un conduttore, il numero di ioni, ma non l’energia.

Che sia pura convenzione? L’invenzione dei fisici per fare tornare i conti? No. L’energia esiste, non è una convenzione. Non è convenzione il Sole, che brucia il suo combustibile nucleare per produrre luce e calore. Non è convenzione la stanchezza che percepiamo ogni giorno e il cibo che ingeriamo per recuperare le energie. Che l’energia esista è praticamente ovvio ma difficile da dire perché l’energia è elusiva. Solo l’esperienza dell’osservazione lo conferma, permette di vedere le trasformazioni e i viaggi dell’energia nell’Universo.

Una manifestazione tangibile dell’energia c’è e si chiama massa, quell’entità che è suscettibile alla gravitazione, ciò che indirettamente misuriamo ogni volta che saliamo sulla bilancia. Distruggendo la massa si libera energia, da un fotone che ha una certa energia si può ottenere massa. Quando l’energia si “incarna” diventa tangibile e ci accorgiamo che ce n’è in tutte le cose che esistono, ovunque. Siamo ancora al punto di partenza: misuriamo la massa, non l’energia direttamente.
Che strana quest’energia: una cosa invisibile, intangibile, non misurabile, definibile con difficoltà, della quale possiamo mostrare solo gli effetti ma che abbiamo certezza che essa esiste ed è ovunque, permea ogni cosa. Caratteristiche che dovrebbero fare riflettere tutti coloro che sostengono – per via di un materialismo spregiudicato – l’esistenza di sole le cose misurabili. L’energia trascende la materia tangibile.

Fiamma, energia

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Fiori all’ultravioletto

Per certi versi gli insetti ci vedono meglio di noi e i fiori lo sanno. Anche qualche fotografo di frontiera lo sa, perché ha avuto l’intuizione di utilizzare un apposito filtro – e un apposita camera – che gli consentano di vedere ciò che usualmente non può essere visto. Ecco che così un fiore qualunque, uniformemente giallo, mostra un disegno occulto, un’informazione supplementare prima impossibile da vedere.

Quanto ci fidiamo dei nostri sensi, dei nostri occhi, dei nostri strumenti? La parte dell’universo attualmente misurabile, dimostrabile, confutabile, documentabile non è che una minima parte dell’intero cosmo – senza neanche voler ipotizzare che vi possa essere qualcosa di non appartenente alla nostra idea stessa di cosmo…
Ciò che vediamo non è che un minuscolo sottoinsieme di ciò che esiste. Come possiamo pretendere di avere certezza su qualcosa al di là della nostra portata? Di quel fiore giallo posso dire di vedere solo quel suo colore ma non posso pretendere che in quei petali vi sia soltanto ciò che vedo.

Fiore ultravioletto

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Casa degli specchi

Le fiere e i luna park meglio forniti hanno una “casa degli specchi”. È un’attrazione all’interno della quale non c’è nient’altro che pareti riflettenti delle forme più svariate e combinate insieme per ottenere illusioni ottiche di ogni tipo. C’è lo specchio che ti allunga e quello che ti accorcia; quello che ingrassa e quello che fa dimagrire; uno specchio per alterare le proporzioni fra le varie parti del corpo e uno per essere moltiplicati decine di volte sembrando un esercito di cloni.
Combinando insieme specchi diversi si possono creare anche vere e proprie immagini olografiche, oggetti che ci appaiono in un luogo con tridimensionalità ma che in realtà sono altrove. Entrando in una casa degli specchi è anche possibile perdersi confondendo i corridoi reali con una loro immagine. Non pochi incoscienti si beccano delle fragorose capocciate mettendosi a correre in ambienti così costruiti.

Tra coloro che entrano insieme in una casa degli specchi sono pochi quelli che riescono a vedere la stessa cosa: lo stesso oggetto o la stessa persona potranno essere visti più grossi da qualcuno e più stretti da un altro; di forme diverse e in luoghi diversi a seconda del punto in cui ci si trova; potrebbero addirittura apparire di diverso colore.
Vedere immagini diverse di uno stesso oggetto non significa che è l’oggetto a mutare o che tutte le sue riproduzioni corrispondano alla realtà. Se non si indaga, se non si spinge la mano a toccare l’oggetto, non si può scoprire se stiamo guardando un ologramma o la superficie di uno specchio oppure no.

Delle certezze ci sono sempre e devono esistere perché sono necessarie per vivere. L’esistenza dell’oggetto che viene riflesso e deformato è una certezza perché, anche se noi lo vediamo alterato, sappiamo che da qualche parte dev’esserci qualcosa che quella alterazione l’ha subita. Uno specchio infatti può soltanto riflettere un’immagine, ma mai crearla. La certezza non è – appunto – un’entità che è possibile creare, perché proviene da un giudizio sviluppato a partire da testimonianze di fiducia o da eventi vissuti personalmente.
Se, invece, si parte dal pregiudizio, niente di ciò che può accaderci è capace di modificarlo. Innanzitutto perché non ci rendiamo conto di averne: i pregiudizi sono come specchi deformi che ci sono stati messi davanti da processi educativi o da noi stessi per convenienza o per emulazione di altri. L’unico modo di rendercene conto è di “toccare con mano” l’immagine che vediamo: l’oggetto, a differenza della sua immagine, resiste alla prova degli altri sensi. Sta a noi metterli in gioco.

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Meccanica “non si sa”

Quando vogliamo fare una previsione per un sistema classico ci bastano un’equazione e alcuni dati al contorno per ottenere quel che cerchiamo. Se, ad esempio, voglio prevedere l’orario di arrivo di un treno mi basta applicare la legge del moto rettilineo uniforme conoscendo la lunghezza del percorso, la velocità media del treno e l’orario di partenza.

Quando le dimensioni del nostro sistema si riducono considerevolmente o il numero di variabili cresce, questa operazione diventa praticamente impossibile. L’unico espediente per riuscire a darsi verso è quello del formalismo della meccanica quantistica (o ondulatoria) che, nonostante tutto, non consente di prevedere dove e quando troverò una particella. Il formalismo della meccanica quantistica tratta le probabilità, cioè di un sistema posso solo sapere quanto è probabile che avvenga un determinato fenomeno ma non so esattamente quando avverrà. Insomma, un’impotenza conoscitiva nascosta sotto un tappeto matematico.

Se costruisco un aeroplano di carta e lo lancio dal tetto della mia casa, potrò dire che probabilmente cadrà da qualche parte davanti a me e meno probabilmente mi cadrà dietro ma, considerando che una qualsiasi corrente d’aria può portarlo in posti imprevedibili, non sono in grado di sapere dove esattamente l’aereo cadrà (e potrebbe cadere proprio dietro di me).
Ecco: spesso pensiamo che con la scienza abbiamo tutto a portata di mano, tutto calcolabile e tutto definibile; invece basta aumentare il numero delle variabili o rimpicciolire abbastanza il sistema ché dobbiamo “accontentarci” di un calcolo delle probabilità, perché in effetti non sappiamo prevedere granché. La scienza ha i suoi limiti e la meccanica quantistica – ovvero meccanica “non lo so come finisce ma in un caso su cento finisce bene” – ne è la testimonianza.

Funzioni d'onda dell'idrogeno

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Supposizioni

Siamo più o meno tutti abituati all’idea di una scienza abbastanza “rigida” che avanzi con certezza e passo sicuro trasformando l’oscurità dell’ignoto in luminose descrizioni della natura. Questa idea di scienza – che mi chiedo chi o cosa l’abbia mai potuta inculcare nella gente – svanisce proprio quando si comincia a lavorarci, anzi, appena la si comincia a studiare. Sicurezza e certezza ce n’è ben poca anche nell’esercizio più banale. Non esiste praticamente dimostrazione scientifica o esercizio che non contenga ipotesi e supposizioni.

Una cosa banale: la caduta di un oggetto al suolo. Si deve assumere che l’attrito con l’aria sia trascurabile; si deve ipotizzare che l’oggetto trasli soltanto e non si metta a ruotare; si deve teorizzare di trovarsi in una geometria piana quando in realtà siamo su una sfera; si deve premettere che l’accelerazione di gravità sia effettivamente costante, quando si riduce con l’altezza; si deve supporre che l’accelerazione di gravità nel luogo dove ci troviamo sia la stessa che è scritta sul libro (infatti bisogna supporre che la Terra sia omogenea per poterlo dire); si deve presumere che la legge del moto uniformemente accelerato abbia tutti i termini del suo sviluppo in serie (tranne i primi tre) trascurabili etc.
Insomma, una decina di supposizioni solo per sapere quanto ci sta una penna caduta dal tavolo a toccare il suolo. Per non parlare del calcolo del punto esatto di contatto al suolo…

La scienza avanza per ipotesi, cose non dimostrate e non provate che però sono accettate come vere, reali, effettive. Il metodo scientifico non va oltre l’ignoranza della scienza stessa e perciò deve dare per buone alcune cose, deve cioè fare affidamento alla ragionevolezza. Che qualcosa sia ragionevole non significa obbligatoriamente che sia dimostrabile ma significa che l’ipotesi che facciamo è pensata, “ragionata”, valutata razionalmente. La ragione mi dice che l’America esiste anche se non ci sono mai stato; che quella pallina luminosa nel cielo è il pianeta Giove; che mia madre non usi avvelenare il cibo con il quale mi nutre in virtù dell’amore materno che ha per me e l’amore non si dimostra con una misura o con uno sforzo di logica.

Gli assunti ragionevoli che facciamo, si rivelano spesso corretti, veritieri. Nella vita di tutti i giorni ci sono svariate ipotesi – anche non scientifiche – che sono ragionevoli, alcune delle quali di importanza cruciale per il nostro agire e per il senso che diamo a noi stessi e quanto ci circonda.

H S fluttuazioni cosmiche

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Ricostruzioni

Supponiamo di allestire un bel biliardo nucleare, facendo scontrare due oggetti per diverse volte allo scopo di scoprire quante volte si si forma un certo risultato e quante volte se ne forma un altro. Immaginiamo che di questi prodotti, non tutti siano visibili, misurabili o identificabili oppure che sia facile notare la presenza di alcuni prodotti e sia complicato scovare gli altri. Se volessi sapere quante volte è stato prodotto un particolare nucleo, come dovrei fare?

Ci sono dei modelli teorici, delle formule che, sotto forma di programma per computer, fanno delle previsioni. Utilizziamo uno di questi programmi il quale ci dice che, secondo le previsioni, ogni prodotto ha una sua proporzione rispetto agli altri. Allora mi basterebbe misurare soltanto quei due o tre nuclei facili da vedere per poi risalire a tutti gli altri basandomi sulle proporzioni che il software mi ha fornito.

In questi giorni mi sono reso conto che questo modo di fare può condurre facilmente in errore perché dev’essere la natura a parlare e non il modello. Ho confrontato il risultato del programma con quello che invece si era riusciti a misurare, con fatica. Se avessi scelto la strada facile, misurando soltanto ciò che era facile misurare, avrei sbagliato di grosso, infatti, le proporzioni fra i prodotti sono totalmente diverse da quelle che tira fuori il programma. Se invece di misurare anche “il superfluo” mi fossi accontentato di ricostruire la realtà basandomi su pochi elementi parziali, sarei giunto ad un risultato falso.

Il problema di certe discipline, come ad esempio l’archeologia e la storia, non è diverso da quello fisico: l’archeologo e lo storico possono vedere solo le prove che sono sopravvissute al tempo e sono costretti poi a ricostruire la porzione mancante basandosi su supposizioni e ipotesi che possono anche rivelarsi errate. Il buon senso ci dice che tante più supposizioni sono necessarie ad una ricostruzione, tanto più questa ricostruzione è incerta. Nel caso della storia, più andiamo indietro nel tempo e meno certezze ci sono. Facciamo particolare attenzione ai risultati di certe ricerche, soprattutto quando sono utilizzabili per attaccare le ideologie degli altri o per difendere la nostra: evitiamo di dare per assodato e per scontato ciò che può essere solo una ipotesi; un’ipotesi che può essere la ricostruzione forzata di chi ha in mente un secondo fine.

Residui

Non posso misurare solo il germanio68 e basarmi sul modello perché misurando il gallio67 vedo che il modello lo sovrastima, sbagliando.

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