Candela

Nei luoghi dove ancora l’energia elettrica non è giunta o nei secoli del nostro passato, la luce era un bene prezioso. All’imbrunire diventava difficile riuscire a leggere un libro e non pochi si rovinavano la vista nello sforzo di distinguere quegli antichi caratteri con così poca luce.

Quella scarsa e flebile luce poteva essere il fuoco di un camino o, spesso, la fiamma di una candela. Oggi usiamo le candele con scopi ornamentali ma un tempo la luce emessa da quella cordicina immersa in un cilindro di cera era l’unica cosa che permettesse di lavorare ancora qualche ora – o anche tutta la notte, per i più forti.

Un significato simbolico della candela è che per permettere l’illuminazione dell’ambiente circostante essa deve consumarsi. Non ci può essere luce se la candela non si consuma. Allo stesso modo, se il nostro agire è luminoso, se permette a chi ci circonda di vedere meglio e godere della nostra luce, la conseguenza è che spendiamo noi stessi – consumiamo la cera. Più cerchiamo di preservare la cera e meno luce emettiamo.
Facciamo attenzione ed evitiamo l’estremo di spegnerci lasciando vincere l’oscurità.

Candela

Share

I frutti

Passavo all’esterno di un agrumeto, ormai abbandonato da chissà quanti anni, osservando gli alberi. Gran parte erano morti, per “carenza di affetto” si potrebbe dire. Alcuni però erano ancora vivi, messi un po’ male ma ancora con qualche frutto appeso ai rami seppur piccolo e ormai inselvatichito. Il muro di cinta protegge quei frutti da qualsiasi mano, abbandonati lì a marcire e a rovinare ulteriormente tutto. Un peccato…

Qualsiasi coltivatore sa, infatti, che se si lascia il frutto sull’albero e non lo si raccoglie al momento giusto l’albero ne risente e l’anno dopo farà frutti più piccoli. Anche per le rose è così: se ogni anno non si tagliano le rose sbocciate ma le si lasciano diventare frutto succede che la pianta fa sempre meno rose o le fa sempre più piccole o sempre più brutte. Il frutto non è fatto per la pianta che lo ha generato.

E i nostri frutti? Sono soddisfazioni, certo, ma la soddisfazione lascia il tempo che trova, dura finché non si scopre chi fa meglio di noi o finché dura ciò che abbiamo realizzato; dura finché non sopraggiunge la noia, l’assuefazione. Allora succede che ci sentiamo i rami già carichi abbastanza e invece di fare nuovi frutti più belli dei precedenti, non ne facciamo più o continuiamo a fare gli stessi. Oppure diventiamo acerbi, divorati dall’invidia e cotti dalla delusione. Proprio come l’albero abbandonato alla calura, alla siccità e all’incuranza, senza nessuno che lo concimi e lo poti. Un buon agricoltore, che ha cura dei suoi alberi, è contento dei frutti e sa coglierli al momento giusto facendo il bene dell’albero e di coloro che ne mangeranno i frutti. Dà dignità e senso ad alberi, frutti e lavoro.

agrumeto

Share

Indignazione

È finita sui notiziari nazionali la tragica vicenda di quella studentessa colpita da un proiettile vagante mentre usciva dalla facoltà di lettere dell’università di Catania. Il proiettile sembra essersi conficcato in una posizione molto vicina ai centri vitali e la donna rischia la morte o la paralisi.

Se andate a guardare le pagine aperte su facebook che la riguardano vedrete una cosa non molto simpatica. La maggior parte dei commenti non sono richieste sullo stato di salute della donna o proposte di conforto per lei e la sua famiglia o richieste di preghiera. Niente affatto.
Sono tutti commenti più o meno irritati sulla criminalità, sulla società della città che va in malora, sulla pena severa ed estrema che dovrebbero meritare certi individui. Non mancano nemmeno quelli che approfittano della situazione per lamentarsi dei politici o delle forze dell’ordine.

È facile lamentarsi del lavoro altrui ed indignarsi per i fatti di cronaca. Molto più difficile è preoccuparsi di chi è vittima e sfruttare il proprio tempo per qualcosa di più costruttivo che puntare il dito.
Cercare gli scheletri nell’armadio della gente, sfruttare i casi orrendi e/o ingiusti per accusare il nemico di turno (politico, partito, categoria etc.) non serve a nulla. È solo un’esalazione di aggressività che fomenta il malcontento, la polemica e, alla fine, anche l’intolleranza.
Sarebbe ben più onorevole rivolgere il proprio pensiero alla vittima e fare qualcosa per lei che non sia una vendetta verso il colpevole, ma un modo per ridarle l’umanità della quale è stata privata.

Proiettile

N.B. Questo post non è farina del mio sacco. Mi è stato ispirato dalla mia fidanzata che mi illumina con le sue chicche sapienziali mentre guido.

Share

L’altruismo di Patch Adams

Stamattina, nel pieno di uno stato febbrile – me ne sta ormai capitando uno al mese – il mio zapping si è soffermato sul film “Patch Adams” interpretato da Robin Williams e tratto dalla biografia di Hunter Campbell Adams, un simpatico signore con idee rivoluzionarie nell’approccio tra medico e paziente (il sorriso e la risata) che ebbe l’idea di una sanità gratuita ma non senza problemi.

Non voglio però parlare strettamente del personaggio o delle sue vicende. Ciò che ho trovato interessante sono alcune battute del film. Un dialogo in particolare si riferiva alla sensazione provata dal protagonista nel rendersi portatore di risata, sostegno morale ed aiuto fisico:

«- Il ricovero è la cosa migliore che mi sia mai capitata.
- Quindi i dottori ti hanno aiutato molto?
- Non mi hanno aiutato per niente. I pazienti hanno fatto molto. Mi hanno aiutato a capire che pensando a loro potevo dimenticarmi dei miei problemi. E l’ho fatto. Alcuni li ho aiutati davvero.»

È vero che certe volte si pratica l’altruismo egoisticamente, come un “hobby” ricercato più per i benefici che esso comporta, ma secondo me quel che si vuole dire in questo dialogo è che dedicarsi agli altri, riconoscendo in loro un valore umano, ridimensiona la nostra “puzza sotto al naso” perché il loro valore ci fa considerare meglio anche il nostro.
Non voglio certo dire che il dolore personale – la cosa più intima che può riguardare una persona – sia di poco conto rispetto a quello degli altri; la riflessione che propone questo dialogo è sul valore stesso del gesto, che ha ripercussioni sia su chi lo riceve, sia su chi lo compie.

Pochi secondi dopo il dialogo continua sottolineando l’aspetto più importante del gesto “altruistico”, della reazione buona – che definisco veramente “anticonformista” – al torto subito:

«- Che c’è?
- C’è che una persona… no? … che .. fa per me quello che hai fatto tu stasera dopo come ti ho trattato… Nessuno ha mai avuto un pensiero del genere prima. Grazie.»

Un gesto buono, davanti al torto subito, irrazionale, gratuito, completamente fuori dagli schemi naturali di aggressione-vendetta, può frantumare il circolo vizioso dell’odio e trasformare le persone profondamente.

Patch Adams

Share