Facevo una passeggiatina sulla Luna…

Alle 22:17 – ora italiana – del 20 luglio del 1969, un veicolo poco più grande di un’utilitaria e con un computer di bordo infinitamente meno potente di un qualsiasi moderno cellulare, toccava il suolo lunare.
Un folto gruppo di persone ritiene che questa informazione sia un falso e, da diverso tempo, alimenta le diatribe e le polemiche introducendo le più svariate ragioni, corroborate da corrispondenti prove.

Supponendo di considerare l’intera questione senza avere alcun pregiudizio né idea “a priori” di quale sia la verità, diventa molto complicato capire chi, tra i sostenitori e i critici dell’allunaggio, abbia realmente ragione.
C’è chi dice che le foto scattate sono false perché senza stelle; chi ribatte che sono autentiche perché il riverbero della luce lunare le sovrasta; chi risponde trovando foto che sarebbero false perché in esse le stelle si vedono; chi afferma che le ombre non sarebbero realistiche; chi risponde che questi difetti sono dovuti al riverbero etc. Un continuo ripetersi di ipotesi, obiezioni, obiezioni alle obiezioni, prove, controprove e interpretazioni. Ambo le parti del dibattito partono da un’idea di come si siano svolti i fatti e usano tutto ciò che puossono usare, con ingegno e caparbietà, cercando di distruggere l’idea dell’avversario ed ottenere l’ambita incontestabile ragione. Più che un impegno in nome della verità sembra il compiacimento del proprio orgoglio: “Io devo avere ragione”.
Allo stato attuale della discussione neanche un documento autentico della NASA ha più un valore, poiché prova fornita dall’accusato. Ma a quali conclusioni possiamo mai arrivare se rigettiamo i fatti con criteri di questo tenore?

Ripartiamo dalla realtà. Magari la risposta definitiva non si trova in complesse argomentazioni scientifiche, ma nella gioia di quelle persone che ebbero il privilegio di calpestare quel suolo lontano. Anche io al loro posto avrei cantato. Sì: avrei riso e cantato sulla Luna; sarebbe stata la mia autentica risposta a quella circostanza, come ritengo che sia stata autentica anche la loro.


I was strolling on the Moon one day, adattamento di questa canzone

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Il bullone lunare

Il nonno di Eddie faceva l’astronauta. Fu uno dei pochi uomini che posarono il loro piede sul suolo lunare. Una cosa incredibile che solo pochissime persone poterono fare grazie al fatto, anch’esso stupefacente di per sé, di essere stati gli unici ad aver raggiunto il satellite; da sempre oggetto di grandi sogni e ambizioni; da sempre lassù nel cielo ad indicare una meta troppo lontana per essere raggiunta dai comuni mortali. Lui e pochi altri invece non si limitarono a guardarla ma la toccarono con le loro mani.

Come in tutte le missioni lunari c’era della strumentazione che doveva essere lasciata sul satellite. Poco prima di andare via, il nonno di Eddie si era accorto di un bullone staccatosi da quella strumentazione e caduto sul suolo lunare. Pensò che quel bullone cosparso della polvere della Luna potesse essere un bel souvenir e se lo portò dietro.
Un giorno, Eddie ricevette in regalo quel prezioso bullone da suo nonno. Era un oggetto unico in tutto il mondo.

Ritornato a casa, Eddie pose il prezioso oggetto sulla scrivania e andò a dormire. L’indomani, mentre era a scuola come tutti i giorni, la donna delle pulizie vide quel bullone sporco di polvere, probabilmente pieno di germi, e lo buttò via pensando: «I ragazzini di oggi si portano in casa tutte le porcherie che trovano per strada».
La superficialità di chi non conosce i veri motivi delle azioni altrui, che non sa quale sia il vero senso che certi oggetti hanno, che non conosce il senso di certi ragionamenti apparentemente fallaci o incomprensibili finisce per utilizzare i propri paradigmi per giudicare e così sbagliare: chi ha conosciuto solo opportunismo userà questo paradigma per giudicare l’altruista e chi conosce solo la menzogna userà il paradigma scettico per giudicare la persona sincera.
Non sarebbe ora di lasciare perdere i paradigmi e dedicarsi alla realtà di chi abbiamo di fronte?

Bullone

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Il lupo complottista

Al di là di un recinto stava seduto un lupo che osservava il gregge con aria pensosa. Uno degli agnellini più piccoli del gregge ne rimase incuriosito e decise di avvicinarsi per chiedergli cosa avesse da pensare tanto. «Sono preoccupato per tutti voi» - rispose il lupo – «E perché sei preoccupato?» - chiese l’agnellino con quell’ingenuità sincera che solo i piccoli hanno.

«Per gran parte del gregge è ormai troppo tardi – disse il lupo – ma  tu sei abbastanza piccolo da poter passare sotto questa staccionata e fuggire. Fa perciò attenzione a quanto ti dico.
Ti sei mai chiesto perché quell’umano vi tiene rinchiuse qui dentro? Io lo so perché: vi vuole mangiare! Vedi quelle forbici che ha in tasca? Servono per uccidere le pecore. Quando sarete abbastanza grandi sarà peggio per voi»

Lo sappiamo bene che il pastore vuole soltanto la lana e, di certo, non lo sterminio del gregge.
Di solito, chi cerca cattiveria nel prossimo fa troppo uso della propria fantasia finendo con il rivelare le proprie intenzioni (o per lo meno, per fare intuire di cosa si sarebbe capaci) perché è tanto più facile mettere i nostri panni indosso ad altri quanto più difficile è comprendere le ragioni altrui.

lupo e agnello

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