Progresso regresso

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere questo componimento di Carlo Alberto Salustri, detto Trilussa:

Er Gambero e l’Ostrica
Ormai che me so’ messo
su la via der Progresso,
disse er Gambero a l’Ostrica – nun vojo
restà vicino a te che sei rimasta
sempre attaccata su lo stesso scojo. -
L’Ostrica je rispose: – E nun t’abbasta?
Chi nun te dice ch’er progresso vero
sia quello de sta’ fermi? Quanta gente,
che combatteva coraggiosamente
pe’ vince le battaje der Pensiero,
se fece rimorchià da la prudenza
ar punto de partenza?… -
Er Gambero, cocciuto,
je disse chiaramente: – Nun m’incanti!
Io vado all’antra riva e te saluto. -
Ma, appena ch’ebbe fatto quarche metro
co’ tutta l’intenzione d’annà avanti,
capì che camminava a parteddietro.

Ci battiamo e ci adoperiamo per ottenere un progresso, un diritto, una rivoluzione sociale, ma quante volte ciò per cui ci battiamo è realmente un progresso? Accade purtroppo spesso che alcune cose reclamate e definite “progresso” siano, in realtà, concetti antichi che – magari – sono stati debellati dopo tanti sforzi. Eh sì, a volte le mode e i costumi ci prendono proprio in giro.

Trilussa

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Le formiche suicide

Ora lo so: assicurarsi sempre di aver chiuso bene i barattoli di miele/marmellata prima di riporli nella credenza. Ieri mattina, durante la colazione, mi accorgo di una strana processione di formiche che si dirigono, in una sola direzione, verso la credenza. Ne seguo il percorso fino ad arrivare ad un barattolo di miele. Quando lo apro, l’agghiacciante scoperta: decine e decine di formiche avevano trovato la morte annegando nel dolce fluido.
Il miele l’ho dovuto ovviamente buttare ma l’anomalo comportamento delle formiche mi ha fatto un po’ riflettere.

Supponiamo di essere degli animalisti incalliti – cari animalisti, sapeste quante creaturine fate fuori ad ogni passo… – e di avere particolarmente a cuore la sorte delle nostre formiche. Non cercheremmo di impedire loro il raggiungimento del miele? Se esse potessero comprendere la nostra lingua non cercheremmo di metterle in guardia? La formica è attratta da ciò che è dolce e non ha alcuna volontà razionale che la metta in guardia dal rischio di inseguire l’eccesso, non limitandosi.

C’è chi reagisce agli avvertimenti considerandoli delle gabbie, dei vincoli, dei muri che ostacolino la libertà, a cominciare dalla libertà di sbagliare. Abbiamo visto cosa è accaduto alle formiche laddove siano state libere di sbagliare e noi, come loro, spesso non pensiamo che una cosa piacevole, che ci attira, possa poi nuocerci. Non tutto ciò che piace va fatto.
Possiamo raccontarci che le regole morali di chi ci ammonisce siano fasulle e/o strumento di potere, possiamo giustificare il nostro agire da formiche tirando in ballo il progresso e la libertà ma, alla fine, è più sicuro e bello lo scorrere placido del fiume entro i suoi argini, sempre uguale ma sempre nuovo, che il suo straripare. Johan Strauss Jr docet.

Formica

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Scale

Un modo di dire recita: “Il mondo è fatto a scale, c’è chi scende e c’è chi sale”. Purtroppo quando si enunciano queste parole ci si riferisce al successo, alla carriera, alla ricchezza. Senza dubbio è vero che il raggiungimento di queste mete ricordi delle vere e proprie scalate ma le scale “serie” non hanno in cima il plauso della comunità o l’orgoglio di essere migliori di altri o certi piaceri che si concludono in pochi minuti. Spesso è proprio chi sale le scale del successo a scendere ben altre scale.

Noi ci troviamo sempre lungo delle scale. Possiamo scegliere di salire sfidando la gravità e, pertanto, faticare; oppure possiamo scegliere di scendere facilmente sentendoci meno oppressi dalla forza che ci tira verso il basso. Attenzione però: ogni gradino facile riduce la nostra quota, diminuisce la nostra energia potenziale. Possiamo ancora risalire, se ci rendiamo conto di essere scesi e se decidiamo di riprendere il cammino verso l’alto. Così come anche chi generalmente sale è continuamente stuzzicato dalla forza di gravità e può scendere o fermarsi per stanchezza.

Anche l’orgoglio può farci scendere: la riluttanza a seguire chi si trova qualche gradino più sù e sa indicarci la direzione. Possibilmente è qualcuno che è riuscito a scorgere la sommità delle scale e ne è rimasto talmente affascinato da raccontarlo ad altri che stanno salendo. Al contrario, lungo la discesa non serve alcun aiuto, ma alla fine della scala c’è un burrone, un baratro tremendo che non si può risalire e che risulta tanto più difficile da evitare quanto più velocemente si scendono i gradini.

Scale Moria

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Regolatore

Ci si ritrova spesso a dover alimentare qualche dispositivo con una differenza di potenziale stabile, indipendentemente dalle pretese del dispositivo stesso. Ad esempio potremmo voler alimentare una vecchia pennetta MP3 utilizzando la presa dell’accendisigari invece della pila a stilo da 1.5V; oppure la nostra sveglia (3 Volts) ci ha dato buca per l’ennesima volta perché le batterie si sono scaricate e vorremmo collegarla ad un alimentatore esterno (12 Volts) etc.

Per risolvere il problema spesso non basta fare un partitore di tensione – cioè collegare delle resistenze insieme al nostro dispositivo affinché ai suoi capi ci sia la differenza di potenziale desiderata – perché, soprattutto nel caso del lettore MP3, la resistenza del dispositivo cambia a seconda che sia stato appena attivato o che sia suonando o che sia in attesa di comandi. Poiché con il metodo del partitore di tensione la differenza di potenziale ai capi del dispositivo dipende dalla sua resistenza interna, rischieremmo di distruggerlo o di non farlo funzionare affatto.
Dobbiamo allora complicare un po’ le cose costruendo un regolatore di tensione rudimentale:

Regolatore

L’amplificatore operazionale, che possiamo scegliere in base alla tensione massima di alimentazione (ad esempio un TL081 regge fino a 36V o ±18V), è il cuore del sistema. Se la tensione sull’ingresso (-) è maggiore rispetto a quella sull’ingresso (+) l’operazionale provvede a ridurre la sua uscita; viceversa, l’operazionale aumenta il potenziale d’uscita. La resistenza R1 (240 Ω) è una protezione che può essere omessa. I due transistor mettono in pratica la regolazione: il BC337 (Q1) serve solo a pilotare il BD139 (Q2) che può gestire correnti più alte. La scelta dei transistor non è vincolante: l’unica precauzione è che Q2 possa gestire correnti più sostenute. R2 è un trimmer (100 KΩ) che consente di alzare la tensione di uscita fino (o quasi) al valore massimo mentre il minimo della tensione di uscita è il riferimento (REF). Se si vuole che l’uscita sia sempre uguale al riferimento si può eliminare R2 e collegare l’ingresso (-) direttamente all’uscita.

Riferimento 1.5VLa cosa fondamentale del circuito è che per funzionare ha bisogno sempre di una tensione di riferimento da collegare a REF. Senza scomodare i diodi zener (noti riferimenti di tensione) si può costruire un riferimento da poco più di un volt usando un led rosso, alimentato attraverso una resistenza opportuna (1 KΩ a 12 V) e ulteriormente stabilizzato con un condensatore (100 nF).
Il riferimento fisso è sempre necessario, anche quando vogliamo essere indipendenti dal carico. Un po’ come nella vita bisogna sempre avere dei valori, dei riferimenti immutabili e innegabili dai quali far dipendere poi tutto il resto. Senza un riferimento esterno a noi, possiamo fare ben poco: possiamo solo illuderci di poter distinguere un potenziale più alto da uno più basso pretendendo di essere al centro. C’è bisogno di qualcosa o qualcuno che apporti un valore fisso di riferimento per le nostre azioni affinché il nostro giudizio sia valido.

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Calibrazione

Una volta la fisica nucleare si faceva con le sostanze fluorescenti e le lastre fotografiche. Le particelle colpivano questi oggetti ed emettevano luce oppure li lasciavano impressionati, come una radiografia. Si racconta, ad esempio, che Rutherford avesse schiavizzato un suo studente a rovinarsi la vista in totale oscurità allo scopo di contare quei rarissimi bagliori che dimostrarono la struttura planetaria dell’atomo.

Oggi la fisica si fa con i rivelatori ed i computer. Se voglio misurare l’energia di una particella, la devo fare penetrare in un semiconduttore dove libera delle cariche generando un segnale elettrico che può essere trasformato in un numero. Il risultato di questa operazione è un grafico che si chiama “spettro” ma non è un ectoplasma. In questo grafico, più mi sposto verso destra e maggiore è l’energia che ho misurato.
Se rivelo due oggetti che sullo spettro stanno uno a destra e l’altro a sinistra, posso dire che il primo ha più energia del secondo. Ma quanta di più? E quanta energia ha ciascuno dei due?

Per rispondere a queste domande devo fare in modo di associare la posizione degli oggetti ad un valore ben definito di energia. Devo associare ad un numero che altrimenti sarebbe privo di significato fisico, un valore assoluto di energia servendomi di un riferimento, di qualcosa di fissato.
C’è un’operazione che permette di farlo e si tratta della calibrazione: si deve prendere una sorgente di particelle estranea all’esperimento e della quale si conosce l’energia per vedere dove va a posizionarsi sullo spettro.

Senza un riferimento esterno a noi, possiamo fare ben poco: possiamo solo illuderci di poter distinguere ciò che sta a alla nostra destra da ciò che sta alla nostra sinistra pretendendo di essere al centro. C’è bisogno di qualcosa o qualcuno che apporti una calibrazione allo spettro delle nostre azioni affinché il nostro giudizio sia valido.

Spettro

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Gli incivili

La nave esplorativa della flotta terrestre stava per raggiungere la sua destinazione. Il viaggio era durato due mesi terrestri e l’equipaggio, che era stato prigioniero del tunnel spaziale per un così lungo lasso di tempo, fremeva nelle operazioni preparatorie per l’analisi del pianeta. La scoperta di un pianeta abitabile extrasolare sarebbe stata accolta come un trionfo dato che su quattrocento sistemi simili a quello terrestre ne erano risultati idonei soltanto due.

Sul ponte di comando era iniziato il conto alla rovescia per l’uscita dal tunnel spaziale. Il capitano e gli ufficiali guardavano il grande schermo centrale per vedere l’esatto istante in cui, davanti ai loro occhi, sarebbe apparso il pianeta e il cielo stellato.
Un applauso accolse la conclusione del viaggio e l’accensione dei retrorazzi. Il pianeta, azzurro e florido, compariva maestoso davanti alla nave appena giunta.
Dopo le manovre di avvicinamento e di ingresso in orbita, iniziarono subito le scansioni e il rilascio delle sonde per l’individuazione degli agenti patogeni.

Improvvisamente, uno degli ufficiali incaricati delle osservazioni qualitative balzò in piedi e si voltò rapidamente verso il capitano: «Ci sono strutture signore!». Sullo schermo – comandò il capitano. C’erano evidentemente delle case, dei villaggi, dei piccoli esserini che si muovevano avanti e indietro. Si decise di studiare quella civiltà senza farsi notare. Erano dei selvaggi: si uccidevano fra loro per futili contese; molti morivano di stenti e per le angherie dei prepotenti; era nelle loro abitudini e tradizioni di considerarsi fra loro in modo così barbaro.

Che fare? Il capitano era perplesso e dubbioso. Come si poteva tollerare che vivessero in quel modo, così disumano, così brutto? E se si interviene, non si distruggono le tradizioni? Non si priva quella gente di capire autonomamente come comportarsi?

Come ben sapete, dobbiamo ringraziare la scelta coraggiosa di quegli esploratori se oggi viviamo tutti bene – concluse l’anziano membro del consiglio, dopo aver riassunto brevemente la storia del suo popolo – eravamo barbari ma i terrestri ci hanno insegnato a vivere degnamente. È stato così che il nostro mondo e quello dei Terrestri fondarono l’alleanza interplanetaria che oggi conta ben quindici civiltà diverse.

Certe volte non si può lasciare una persona “a bollire nel suo brodo”: lasciarla libera di fare del male e farsi del male, solo perché non se ne rende conto e ritiene giusto farlo, può essere una mancanza altrettanto condannabile. Intervenire in questi casi non è oppressione, né ingerenza, né conquista, ma semplice gesto umanitario.

Pianeta

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Cinture di sicurezza

Il codice della strada prevede l’uso delle cinture di sicurezza su tutti i veicoli che non siano ciclomotori e affini. È una regola che ha un senso: permette di salvare la vita delle persone durante gli incidenti stradali. È una regola che richiede il libero consenso del conducente del veicolo: non c’è nessun dispositivo automatico che acchiappa il conducente e lo lega al sedile.

C’è molta gente che ancora non la usa: sgualcisce il vestito firmato; è scomoda ed opprimente; impedisce i movimenti; non vale la pena usarla per brevi spostamenti; qualcuno dice anche che va troppo piano o è addirittura troppo bravo a guidare per averne bisogno.

E se facessimo un sondaggio? E se la maggioranza della gente pensasse che non vi fosse nulla di male nel non indossare le cinture? E se fosse di moda non portarle? Molti direbbero che “tanto si ammazza solo chi non le porta e ognuno decide per sé”. Avrebbero ragione?
Non è il codice della strada a doversi adattare agli usi e costumi degli automobilisti. Esistono costumi sbagliati e usi pericolosi che devono essere banditi per la sicurezza di sé stessi e degli altri. Sono gli automobilisti che devono essere educati a rispettare il codice della strada per la loro stessa incolumità. Nella vita però non c’è soltanto il codice della strada: ci sono tanti codici, che spesso ci appaiono scomodi o privi di senso che vorremmo non esistessero. Prima di andare contro le cose scomode riflettiamo a fondo e chiediamoci se è veramente meglio, più bello, più giusto, infrangerle o rispettarle.

Cinture di sicurezza

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Il lupo complottista

Al di là di un recinto stava seduto un lupo che osservava il gregge con aria pensosa. Uno degli agnellini più piccoli del gregge ne rimase incuriosito e decise di avvicinarsi per chiedergli cosa avesse da pensare tanto. «Sono preoccupato per tutti voi» - rispose il lupo – «E perché sei preoccupato?» - chiese l’agnellino con quell’ingenuità sincera che solo i piccoli hanno.

«Per gran parte del gregge è ormai troppo tardi – disse il lupo – ma  tu sei abbastanza piccolo da poter passare sotto questa staccionata e fuggire. Fa perciò attenzione a quanto ti dico.
Ti sei mai chiesto perché quell’umano vi tiene rinchiuse qui dentro? Io lo so perché: vi vuole mangiare! Vedi quelle forbici che ha in tasca? Servono per uccidere le pecore. Quando sarete abbastanza grandi sarà peggio per voi»

Lo sappiamo bene che il pastore vuole soltanto la lana e, di certo, non lo sterminio del gregge.
Di solito, chi cerca cattiveria nel prossimo fa troppo uso della propria fantasia finendo con il rivelare le proprie intenzioni (o per lo meno, per fare intuire di cosa si sarebbe capaci) perché è tanto più facile mettere i nostri panni indosso ad altri quanto più difficile è comprendere le ragioni altrui.

lupo e agnello

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Guinzaglio

Andare a spasso con il proprio animale al guinzaglio è una pratica abbastaza comune che non sempre è considerata come qualcosa di piacevole per la bestiola così legata. I motivi per i quali si utilizzi un guinzaglio sono molti, ma ce ne sono un paio che ritengo abbastanza curiosi.

Ci sono gli animali piccoli, inesperti, facilmente terrorizzabili e dalla fuga altrettanto facile che, senza il fastidioso guinzaglio, ci metterebbero meno di un secondo ad infilarsi sotto le ruote del primo camion che passa.
C’è anche il rischio di perdere il proprio animale e ciò non è solo un danno per il padrone che perde l’amico, ma un danno soprattutto per l’animale che rimane senza vitto e alloggio.

In entrambi i casi quel fastidioso guinzaglio rappresenta più un bene per l’animale più che un mero strumento di potere del padrone verso la sua bestiola. Ci sono guinzagli, prigioni, “catene” anche nella vita degli esseri umani: se è fuori discussione che siano fastidiose, siamo sicuri non siano per il nostro bene?
L’eccessiva “libertà” di fuggire dal padrone quando e come si vuole potrebbe portarci davanti a qualche copertone di un mezzo a tutta velocità…

guinzaglio

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Cane pastore

Mentre tornavo a casa per il pranzo ho incontrato un pastore con il suo gregge ed il suo cane. Io che mi spavento un po’ dei cani grossi e sciolti non ho potuto fare a meno di pensare a come se la passassero quelle pecore. Il cane del pastore ha il compito di non far disperdere il gregge: abbaia, ringhia e, se necessario, morde.

Non dev’essere piacevole essere oggetto di tale comportamento però è anche vero che il cane sta facendo il suo mestiere: sta aiutando il pastore. Generalmente il pastore non brama la distruzione del proprio gregge e, se chiede ad un cane di farsi aiutare, ha dei motivi senz’altro buoni nei confronti delle sue pecore.

È vero che il cane abbaia, ringhia e morde, ma anche se è un cane è stato scelto per fare le veci del pastore e, come lui, non può avere propositi cattivi verso le pecore.
Senza voler dire che le persone sono pecore, quante volte abbiamo disdegnato i rimproveri e le prediche di qualcuno solo perché le trovavamo fastidiose? Eppure, il buon cane da pastore fa il suo dovere per il bene del gregge.

Cane pastore

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