Progresso regresso

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere questo componimento di Carlo Alberto Salustri, detto Trilussa:

Er Gambero e l’Ostrica
Ormai che me so’ messo
su la via der Progresso,
disse er Gambero a l’Ostrica – nun vojo
restà vicino a te che sei rimasta
sempre attaccata su lo stesso scojo. -
L’Ostrica je rispose: – E nun t’abbasta?
Chi nun te dice ch’er progresso vero
sia quello de sta’ fermi? Quanta gente,
che combatteva coraggiosamente
pe’ vince le battaje der Pensiero,
se fece rimorchià da la prudenza
ar punto de partenza?… -
Er Gambero, cocciuto,
je disse chiaramente: – Nun m’incanti!
Io vado all’antra riva e te saluto. -
Ma, appena ch’ebbe fatto quarche metro
co’ tutta l’intenzione d’annà avanti,
capì che camminava a parteddietro.

Ci battiamo e ci adoperiamo per ottenere un progresso, un diritto, una rivoluzione sociale, ma quante volte ciò per cui ci battiamo è realmente un progresso? Accade purtroppo spesso che alcune cose reclamate e definite “progresso” siano, in realtà, concetti antichi che – magari – sono stati debellati dopo tanti sforzi. Eh sì, a volte le mode e i costumi ci prendono proprio in giro.

Trilussa

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Il tramonto dei sognatori

Ieri a cena il discorso è caduto su alcune attività commerciali della mia città. Un grande rivenditore di elettrodomestici ha chiuso i battenti. Ci avevo comprato un glorioso videoregistratore Minerva a sei testine, la macchina del gelato tuttora utilizzata – slurp! – ed un piccolo registratore per le conferenze. Ora quello stabile è triste: luci spente, ambienti vuoti, saracinesche abbassate.
Qualche anno fa anche la cartoleria che avevo sotto casa ha chiuso. Era una risorsa per tutto il quartiere, ed anche oltre – data la sua vicinanza al complesso che ospita asilo, elementari e medie della zona – considerando che l’equivalente più vicino dista quasi un chilometro. Ora non saprei dire bene cosa ci sia o ci sarà in quegli stessi locali: mesi fa era un negozio di moda, fallito anch’esso – al quartiere serve la cartoleria, è difficile da capire? – e sostituito da un fruttivendolo che vedo sempre a corto di clienti.

La stessa brutta sensazione degli esempi precedenti la provo anche quando ripenso allo Space Shuttle, la gloriosa navicella riutilizzabile della NASA che è andata in pensione senza lasciare eredi. Il cosmo, l’esplorazione, la tipica voglia umana di andare dove nessun uomo è mai giunto prima, sono inflazionati e pertanto chiudono i battenti. Non interessa più.
Secondo me questo la dice lunga su un’umanità che perde pian piano la sua essenza confondendosi nel mare di distrazioni e svaghi che una certa mondanità offre. A che serve sognare di esplorare Marte se puoi sollazzarti con i giochini dell’Iphone? A che giova immaginare missioni verso l’ignoto quando puoi trascorrere il pomeriggio guardando i messaggi di stato dei tuoi contatti su Facebook? Perché sfidare sé stessi nell’escogitare il modo di realizzare grandi sogni quando la sera si ha il divertimento dei giochi erotici?

Dov’è finito l’uomo esploratore che sfidava la morte per raggiungere il polo? Dove sono i John Glenn, gli Auguste Piccard, i Cristoforo Colombo? Siamo sicuri che sia più bello e più degno per noi esseri umani appiattirci in una dimensione di pigrizie soddisfatte dalla tecnologia e di orizzonti limitati a poche avventure casalinghe?
No; mi spiace. Io non riesco a rinnegare la mia natura di sognatore, esploratore, avventuriero. Apparirò come uno che butta il suo tempo in fantasticherie, come un giovanotto avventato, come uno che non ha la testa sulle spalle, ma ritengo che serva anche questo a rendere doverosa giustizia all’umanità che c’è in me, colmando il desiderio di infinito che ho nel cuore.

Esplorazione

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Io robot: cuore e cervello

Isac Asimov ha dedicato molti dei suoi scritti all’intelligenza artificiale e ai robot, in generale. Mi è casualmente ritornato il pensiero su un film ispirato dai racconti di Asimov, “Io robot“, e sul protagonista robotico, Sonny.
Sonny è un robot “unico” nel suo genere, dimostra di avere dei sentimenti, di non essere puramente analitico o puramente logico; riesce addirittura ad avere dei sogni. Le sue qualità derivano da un elemento che altri robot non hanno: un cervello “doppione” che sta nel suo torace e che è apparentemente in contraddizione con il cervello “ordinario” che si trova nella sua scatola cranica.

Sonny ha un Cuore. Un cuore cibernetico, qualcosa che la libertà della narrativa di fantascienza permette di conferire anche ad una creazione dell’uomo. Possiamo però dire che Sonny è più “umano” dei suoi fratelli robot proprio perché ha questa parte tanto fondamentale e diffusa tra gli uomini quanto assente nei robot.
Ciò che rende un umano veramente “umano” è il Cuore. Non a caso una persona che si dice “senza cuore” non è umana. Entrambe le entità, Cuore e mente, devono coesistere ed essere valutate per la grande importanza che hanno senza far prevaricare l’una a scapito dell’altra. Rinunciare al proprio Cuore per valorizzare eccessivamente la “ragione”, la logica e il conseguente materialismo significa auto-infliggersi una mutilazione.

Ci sono persone, ahimè, che per qualche motivo – suppongo qualche brutto evento che ha ferito il loro Cuore – hanno deciso di farne a meno. Sarà anche logico – se non c’è un cuore non c’è niente da ferire – ma è ingiusto e sbagliato, innanzitutto verso sé stessi. L’uomo è un essere razionale ma è anche un essere che non può basare la sua esistenza solo sulla ragione asettica di un pensiero eccessivamente logico. Il risultato più evidente di un’umanità vissuta pienamente è la bellezza della creatività, della passione e della ricerca di quel qualcosa che va oltre i confini biologici di un organo ospitato all’interno del cranio. Il Cuore trascende la materialità del cervello eppure è ciò che ci spinge verso le cose più grandi.

Sonny, Io robot

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Uguaglianza dei biscotti

Altro post partorito a colazione: sarà il sonno, sarà il vuoto cerebrale post-risveglio, ma mentre facevo colazione mi è venuta in mente la grande varietà di biscotti. Non sono tutti uguali: ci sono quelli che si inzuppano pian piano; quelli che vanno a fondo; quelli che galleggiano qualsiasi cosa succeda; quelli che diventano poltiglia; quelli che rimangono asciutti e impermeabili anche se li lasci a mollo per mezz’ora.

Però sono tutti biscotti. Stesso oggetto, differenze di specie. Ogni biscotto è fatto per essere consumato in modo diverso: alcuni biscotti si devono spezzare prima di immergerli; altri vanno immersi per metà per essere iniziati; altri hanno un verso specifico altrimenti risultano impermeabili; altri ancora hanno bisogno del cucchiaino sotto, per essere recuperati prima di diventare poltiglia. Sebbene stiamo parlando sempre e solo di biscotti, ogni tipologia ha i suoi pregi e i suoi difetti, il suo modo corretto di essere consumato, una maniera idonea e ideale di essere trattato, il suo modo di interagire con il latte.

Stesso discorso per le persone. Siamo tutti esseri umani, certo, ma pari dignità e diritti sono conferiti sugli aspetti che sono già comuni. Quando però, con la presunzione di un uguaglianza che in realtà non esiste, vogliamo abbattere le differenze naturali, stiamo cercando di tenere a mollo per dieci minuti un biscotto che diventa poltiglia in trenta secondi. Cioè non abbiamo capito il meccanismo della dignità. Se c’è differenza tra uomo e donna, tra persona e persona, è perché ogni qualità e proprietà – differente dalle altre – ha un suo campo di applicazione ed un suo impiego che sarebbe sviluppato male se affidato a chi, quelle qualità, non le possiede. Non dobbiamo pretendere di essere buoni a tutto, anche a ciò per cui non siamo tagliati, ma riconoscere che essere fatti in un certo modo implica finalità specifiche, un modo di vivere più “calzante” di altri.

Biscotto

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Dignità di un albero

 Un albero è ancora un albero anche quando ha perso tutte le foglie, certe volte lo resta anche se lo si taglia di netto perché può germogliare di nuovo. È albero anche il figlio dell’albero, germogliato pochi giorni fa da una ghianda caduta al suolo. Anche quella ghianda: ha DNA di albero, viene dall’albero e ha germogliato un albero. L’albero smette di essere albero quando lo facciamo a pezzi, allora diventa solo legno. Cosa rende “albero” l’albero? La capacità di fare fotosintesi? La corteccia? Il tronco? Le foglie? Le sue dimensioni?

Un essere ha dignità e/o diritti per ciò che è in grado di fare o per ciò che è?

Albero

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L’eccentrico imprenditore

Quando l’auto aveva nuovamente girato l’angolo Sabrina era ancora lì, a sorridere con le labbra ma non con gli occhi a quelle vetture che transitavano per la strada a passo d’uomo. Alcune si fermavano un po’ più avanti, alcune un po’ prima e caricavano le altre ragazze che, come Sabrina aspettavano.
L’eccentrico guidatore era già passato di lì per altri motivi ma, passando veloce, non aveva potuto fare a meno di notare il viso di Sabrina fra gli altri. Perciò aveva fatto il giro dell’isolato tornando indietro e mescolandosi agli altri automobilisti.

Lei si accomodò nei sedili posteriori e l’auto ripartì. Aveva notato lo sguardo strano del guidatore attraverso lo specchio retrovisore: sembrava guardare indietro, a quel luogo, come un profugo che avesse appena attraversato il confine del suo paese in guerra.
Di sguardi strani ne aveva visti abbastanza nonostante la sua carriera fosse iniziata da relativamente poco rispetto ad altre. Continuò a masticare la sua gomma e, quando furono abbastanza lontani, iniziò il solito “spettacolo” che faceva per tenere in caldo l’automobilista fino al luogo dove si sarebbero fermati. Aveva appena iniziato a sciogliere dei lacci quando notò che lo sguardo attraverso lo specchietto retrovisore non era “normale”. Stavolta non guardava indietro, guardava lei ma mancava quella brama che aveva visto luccicare altre volte. La cosa interruppe le sue operazioni.
«Dev’essere un pivello alla sua prima volta» – pensò Sabrina. Allora chiese: «Che c’è? Non hai mai visto una ragazza in vita tua?».
L’eccentrico uomo sospirò e disse: «È un vero peccato…» – guardò la strada, poi riprese – «Non meriti questo, sei fatta per cose più grandi». «Hai dei problemi?» – rispose Sabrina con il leggero timore di essere entrata nell’auto di un assassino o di un folle. «Cosa diresti se un grande compositore come Mozart non avesse fatto altro nella vita che lavare le scale?» – continuò l’uomo – «Cosa diresti se le sculture di Michelangelo fossero state usate come materia prima per farci i muri? È un peccato…» – «Ok, fammi scendere» – disse di scatto la ragazza, capendo che con quel matto non ci avrebbe ricavato un quattrino.
L’auto accostò ma, prima che Sabrina avesse aperto la portiera, l’uomo si era voltato allungando verso di lei un biglietto da visita e diverse banconote. «Nel caso volessi cambiare vita» – disse. Sabrina afferrò il mazzetto e uscì sbattendo la portiera. L’eccentrico uomo si aggiustò i polsini dell’elegante vestito e andò via. I soldi erano sufficienti per giustificare tutta la serata. Stranamente era scesa proprio vicino a casa sua.

Quella sera il sonno tardava a venire. Continuava a pensare a ciò che le era accaduto, a quell’uomo così bizzarro, a quello che le aveva detto, al suo sguardo. Poi pensò alla sua vita, al fatto che per la prima volta qualcuno credeva che lei avrebbe potuto fare qualcosa di meglio. Fino ad allora Sabrina si era convinta di essere una buona a nulla, di poter ambire al massimo a ciò che aveva già e faceva già.

Il giorno dopo versò la percentuale al bruto che “la possedeva”. L’individuo era talmente insensibile che non si accorse della differenza nel saluto e nel modo di guardarlo.
Pochi chilometri in autobus e si trovò all’indirizzo riportato sul biglietto da visita. Davanti a lei una grande azienda con un enorme cancello. Non si riusciva a vedere l’interno, forse nessuno in città c’era mai riuscito. La tentazione di alzare i tacchi era forte: in fondo poteva essere tutto un tranello, poteva ficcarsi in qualche guaio. Suonò al citofono. Non rispose nessuno ma il cancello automatico cominciò a scorrere aprendosi. Poco oltre il cancello c’era una casetta rurale ristrutturata dove viveva il guardiano. Attraverso il vetro lo vide parlare al telefono e sorridere. Poco dopo arrivò l’eccentrico uomo. «Grazie Antonio» – disse guardando il custode. Poi si voltò verso di lei – «Sono contento che tu abbia deciso di venire qui, Sabrina». La ragazza era un po’ stranizzata: era sicura di non aver mai pronunciato il suo nome a quell’uomo. Il suo pensiero fu interrotto dalla voce dello stravagante signore: «Seguimi!».

Mentre penetravano nell’enorme complesso Sabrina incrociava lo sguardo di quelli che lavoravano là dentro: non c’era ombra di tristezza, di fatica, di delusione. «Antonio, il custode…» – diceva l’eccentrico signore – «Sai che era un ubriacone? Ha accettato anche lui ed ora ha una famiglia, una casa e un lavoro.» – continuò indicando altrove – «Vedi quell’ingegnere a quella scrivania? Sta progettando un sistema estremamente complesso che solo lui può sviluppare. L’ho trovato che faceva il barbone dopo aver fondato la sua esistenza sul successo e aver fallito per aver fatto il passo più lungo della gamba. Ora lavora con noi e fa delle cose meravigliose.» – passando vicino ad un operaio che saldava una paratia – «Armando, aveva fatto un grosso sbaglio nella sua vita. Ho dovuto creargli un’identità nuova per convincerlo ad unirsi a noi. Ora è letteralmente ri-nato: la sua vita piena di errori si è trasformata in una vita piena di valori.» – giunti ad un ufficio che non era stato assegnato a nessuno, l’uomo la guardò e disse: «È il tuo momento, Sabrina. Oggi inizia la tua nuova vita nella nostra famiglia, amica mia».

Chiedo scusa per il post estremamente lungo. Non contento aggiungo questo cortometraggio della durata di circa venti minuti. Ringrazio Vittoria per avermelo fatto notare.

 

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Autoimmunitaria

Sono malattie autoimmunitarie quelle patologie che non sono causate da virus o infezioni o danni esterni ma sono dovute ad un problema del sistema immunitario del paziente stesso. Per motivi che possono essere i più variegati, le difese del corpo “decidono” che uno dei nostri tessuti o organi sono una minaccia per l’organismo e devono essere distrutti. Quando si ha una malattia autoimmunitaria un organo, che con la sua funzione collabora alla salute dell’organismo, diventa un nemico alla stessa stregua di un virus o di un tumore: tanto più viene attaccato dalle difese impazzite, tanto più la sua funzionalità viene meno e danneggia l’intero organismo privandolo dei suoi servizi.

Ci sono persone che “impazziscono” proprio come le difese di un organismo colpito da malattia autoimmunitaria: decidono arbitrariamente che certo pensiero, certo modo di essere o di vivere, certa caratteristica o esigenza umana non serve a nulla e dev’essere distrutta. Tagliare fuori qualcosa dalla realtà e dall’umanità delle persone si chiama ideologia, lo abbiamo visto altre volte. È così che, seguendo l’illusione di avere più “libertà” si finisce con il negare la libertà stessa; che imbrogliandosi con i “diritti” si finisce con il sottrarre diritti. L’ideologia attacca persone buone e cose utili perché le vede come una minaccia ai suoi scopi e finisce per danneggiare la società e snaturare la dignità umana. 

autoimmunitaria

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Sicurezza obbligatoria

Fare ricerca nell’ambito della fisica nucleare comporta delle speciali precauzioni per la sicurezza e la salute. Per esempio, i lavoratori classificati come “esposti” devono presentarsi ad una visita medica periodica. Se, dopo essere stati adeguatamente avvisati, si rifiutano di presentarsi alla visita medica commettono un reato punito dalla legge.

Lo stesso discorso vale per la sicurezza sugli autoveicoli: chi viene sorpreso privo delle cinture di sicurezza è severamente sanzionabile e rischia la sospensione della patente.
In generale, esistono leggi che obbligano le persone ad adottare comportamenti e strumenti che ne salvaguardino l’incolumità individuale.

Domanda: la legge serve soltanto a vivere tutti in pace regolando i rapporti reciproci oppure serve anche a prevenire ciò che è sbagliato e, in ultima analisi, nocivo per sé stessi e la propria umanità/dignità?
Se esiste una libertà di fare quel che si vuole finché non si nuoce agli altri, potrei benissimo scegliere di non proteggermi e di non prendere alcuna precauzione per salvaguardare la mia incolumità (ma fino a che punto sono autorizzato a scegliere per me stesso?). Al contrario, se la legge deve promuovere una certa condotta degna  di (=che si addice ad) un essere umano, impedendo i comportamenti scorretti, non c’è libertà individuale che tenga, neanche se c’è la scusante che non si nuoce ad anima viva.

Si può fare del male anche senza coinvolgere le altre persone; si può nuocere a sé stessi senza saperlo, certe volte anche credendo di non fare nulla di sbagliato; si può fare qualcosa di inappropriato senza rendersene conto. Se so che una determinata attività è incivile, scorretta, brutta, disumana o sbagliata non è forse meglio per tutti proibirla con lo strumento della legge? La mia libertà non finisce soltanto dove inizia quella degli altri ma anche dove diventa movente per compiere azioni non degne della mia umanità.

Elmetto di sicurezza

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La giovane sogliola

Una giovane sogliola pensò: «Perché nelle mia famiglia tutti nuotano coricati a terra? Voglio nuotare staccata dal fondale, come i tonni e le balene che sono liberi e vedono il mondo.» Cominciò allora a nuotare come voleva di nascosto, allontanandosi un po’ e poi tornando subito indietro per lo spavento. Ma un po’ alla volta le cose andarono meglio, e arrivò al punto che non poteva allontanarsi oltre senza farlo sapere alla famiglia.

Allora, un giorno, si presentò alla sua famiglia e disse: «State a vedere.» E fece un magnifico giro della morte.
- Figlia mia,- scoppiò a piangere la madre, – ti ha dato di volta il cervello? Torna in te, nuota come i tuoi fratelli che ti vogliono tanto bene.
Il padre la stette a guardare severamente per un pezzo, poi disse : «Attenta a te perché quel che fai è pericoloso. Una sogliola è fatta per stare sul fondo, non per girare follemente in alto e in basso.»
La giovane sogliola voleva bene ai suoi, ma era troppo sicura di essere nel giusto per avere dei dubbi: abbracciò la madre, salutò il padre e i fratelli e si avviò verso l’alto.

Il suo passaggio destò subito la sorpresa di un crocchio di cernie. «Il mondo va a rovescio» disse una di loro, «Poveretta» disse un’altra. Ma la sogliola proseguì la salita. A un certo punto vide fuggire da lei gli altri pesci. - Che male vi ho fatto? – pensò indispettita – Perché non rispettate la mia scelta? Stupidi… – Non fece però in tempo a finire il pensiero che su di lei si era già stesa l’ombra di un tursiope con la bocca aperta per il facile boccone. La sogliola nuotò più veloce che poteva ma il tursiope le stava sempre dietro. Andava a destra, a sinistra, in alto, ma il predatore si avvicinava sempre più.

Poi, per istinto – quell’istinto di sogliola che aveva rinnegato – si fiondò verso il fondale e scomparve, mimetizzandosi, in una nuvoletta di sabbia. Il tursiope scandagliò la zona con i suoi ultrasuoni. I click erano sempre più vicini e la sogliola aveva sempre più paura. Dopo un po’ però il tursiope lasciò perdere e se ne andò.
- Ora ho capito – meditò la sogliola – che per vivere meglio devo rispettare la mia natura. Nessuno però mi impedisce di girare il mondo e di essere libera nuotando sul sicuro fondale. – Quella sogliola non fu mai più vista da nessun predatore, girò i fondali di tutto il mondo e si fece molti amici.

Sogliola

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I frutti

Passavo all’esterno di un agrumeto, ormai abbandonato da chissà quanti anni, osservando gli alberi. Gran parte erano morti, per “carenza di affetto” si potrebbe dire. Alcuni però erano ancora vivi, messi un po’ male ma ancora con qualche frutto appeso ai rami seppur piccolo e ormai inselvatichito. Il muro di cinta protegge quei frutti da qualsiasi mano, abbandonati lì a marcire e a rovinare ulteriormente tutto. Un peccato…

Qualsiasi coltivatore sa, infatti, che se si lascia il frutto sull’albero e non lo si raccoglie al momento giusto l’albero ne risente e l’anno dopo farà frutti più piccoli. Anche per le rose è così: se ogni anno non si tagliano le rose sbocciate ma le si lasciano diventare frutto succede che la pianta fa sempre meno rose o le fa sempre più piccole o sempre più brutte. Il frutto non è fatto per la pianta che lo ha generato.

E i nostri frutti? Sono soddisfazioni, certo, ma la soddisfazione lascia il tempo che trova, dura finché non si scopre chi fa meglio di noi o finché dura ciò che abbiamo realizzato; dura finché non sopraggiunge la noia, l’assuefazione. Allora succede che ci sentiamo i rami già carichi abbastanza e invece di fare nuovi frutti più belli dei precedenti, non ne facciamo più o continuiamo a fare gli stessi. Oppure diventiamo acerbi, divorati dall’invidia e cotti dalla delusione. Proprio come l’albero abbandonato alla calura, alla siccità e all’incuranza, senza nessuno che lo concimi e lo poti. Un buon agricoltore, che ha cura dei suoi alberi, è contento dei frutti e sa coglierli al momento giusto facendo il bene dell’albero e di coloro che ne mangeranno i frutti. Dà dignità e senso ad alberi, frutti e lavoro.

agrumeto

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