Brina

Per molti, trovare il mondo ricoperto da minuscoli cristalli di ghiaccio al mattino può essere una cosa banale e scontata ma, per me che provengo da ben altre situazioni climatiche la brina è una cosa veramente curiosa. Quando si cambia casa, modificando anche le proprie latitudini, il nuovo luogo di residenza può sembrare “alieno”, strano, bizzarro.

La cosa più curiosa che ho notato, oltre al misterioso fascino delle foglie luccicanti come diamanti è che la brina persiste solo dove vi è ombra. Laddove arriva la luce del sole le verdi erbette si scrollano di dosso il peso della fredda ed umida notte e si drizzano rigogliose. La stessa brina che le ricopriva, una volta ritornata liquida, lascia umido il terreno rendendo inutile la pioggia.
Diversa è la situazione delle zone in ombra. Là dove la luce del Sole fatica a diffondersi, ostacolata dalla presenza di case, alberi o sassi, il ghiaccio persiste a lungo.

In quell’erba nell’oscurità, gelata dal ghiaccio, ricoperta da un manto di freddezza, ricurva su se stessa, vedo come tanti omini e donnine che quella luce non l’hanno ancora vista, che vivono una notte senza alba, senza fine, senza scopo; a sé stessi bastanti, unica cosa rilevante in un cosmo di gelo e tenebra. Eppure pochi centimetri più in là ci sono dei fuscelli che l’alba l’hanno vista, che già sentono il calore della luce solare, che sono aiutati dall’energia ricevuta ad ergersi in direzione del cielo. Con il loro splendore testimoniano la potenza della radiazione luminosa, dicono: «Il Sole sta arrivando anche da te».

brina

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Con gli occhi dei bambini

La piccola Sofia non ha ancora imparato a parlare: si esprime con sillabe semplici, una serie di “ta”, “to”, “a” ed “e”. Vede il sottile filo d’acqua che cola dalla fontana e corre subito a toccarlo, ad osservare come quel fluido scorre attorno alle sue dita, a sentire la sensazione di fresco sulla manina e dire “etta” – ossia “fredda”. La sua mamma le schizza qualche goccia sul viso e quella sensazione le fa scoppiare il riso.

Saliamo in montagna. Una ragazza del gruppo mostra un soffione a Sofia; glielo porge e le dice di soffiare. Quell’esplosione di semi leggeri, spinti in ogni direzione dal suo soffio, la fa saltare di gioia. Non può trattenersi dal cercare un altro soffione e ripetere l’esperienza ancora una volta. Il mio sguardo si incrocia col suo, basta questo per farla sorridere.

Ad una conferenza ho ascoltato un relatore dire che i bambini sono i primi filosofi e raccontava di un bambino che, ad un incrocio, diceva alla madre: «Guarda il semaforo… Che bello… È rosso!». Che stupore…
Vediamo ogni giorno cose meravigliose, piccoli miracoli, cose e avvenimenti per i quali abbiamo perso lo stupore che avevamo quand’eravamo bambini. Io mi sento cieco, se confrontato a loro, concentrato più sulle fatiche e i problemi che sulla bellezza circostante, ma guardando i bambini riscopro gli occhi del cuore e sorrido. Altro che filosofie e logiche, altro che ricerca di cose improbabili: è tutto lì, davanti ai miei occhi, faccio finta di niente e faccio male.

Mano bimbo

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Candela

Nei luoghi dove ancora l’energia elettrica non è giunta o nei secoli del nostro passato, la luce era un bene prezioso. All’imbrunire diventava difficile riuscire a leggere un libro e non pochi si rovinavano la vista nello sforzo di distinguere quegli antichi caratteri con così poca luce.

Quella scarsa e flebile luce poteva essere il fuoco di un camino o, spesso, la fiamma di una candela. Oggi usiamo le candele con scopi ornamentali ma un tempo la luce emessa da quella cordicina immersa in un cilindro di cera era l’unica cosa che permettesse di lavorare ancora qualche ora – o anche tutta la notte, per i più forti.

Un significato simbolico della candela è che per permettere l’illuminazione dell’ambiente circostante essa deve consumarsi. Non ci può essere luce se la candela non si consuma. Allo stesso modo, se il nostro agire è luminoso, se permette a chi ci circonda di vedere meglio e godere della nostra luce, la conseguenza è che spendiamo noi stessi – consumiamo la cera. Più cerchiamo di preservare la cera e meno luce emettiamo.
Facciamo attenzione ed evitiamo l’estremo di spegnerci lasciando vincere l’oscurità.

Candela

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Cecità e daltonismi

Erano passati ormai tre anni dall’incidente. L’ultima immagine che gli occhi di Diego avevano visto era una cascata di acido nella sua direzione, poi il buio.
Diego era una brava persona, aveva dedicato tutto il suo tempo al lavoro e alla famiglia e forse ci aveva dedicato anche troppo tempo. Il mondo gli scorreva davanti in tutte le sue manifestazioni ma lui era occupato dai suoi impegni. Semplicemente, non si poteva permettere di fermarsi e guardare, anzi, osservare ciò che lo circondava. Anche la famiglia stessa si era trasformata in una serie di post-it attaccati a delle sagome sempre uguali.

Ora che non ci vedeva più sentiva opprimente il vuoto “ottico”. Aveva poche immagini in mente, pochi ricordi della sua possibilità di vedere, cose normali, facce usuali, muri, sedie, attrezzi. Sentiva cinguettare gli uccelli ma non aveva altro che sagome stilizzate da immaginare; aveva i suoi cari vicino ma visualizzava solo lineamenti neutri.
«Non si può continuare così – si diceva – Se avessi osservato un po’ di più quando ci vedevo… C’era così tanto da vedere ma ora non mi rimane niente. Basta! Rivoglio la mia vista!»
Il poveretto era disperato ma aveva sentito parlare di un’operazione in grado di ridargli la vista. Per questo ora si trovava in quella stanza di ospedale con le bende sugli occhi.

Quell’operazione gli cambiò la vita; non perché aveva riacquistato la vista ma perché aveva ritrovato qualcosa di più importante: la voglia di stupirsi. Sentiva i versi degli uccelli e li individuava con lo sguardo scoprendo il contrasto tra il giallo becco del merlo ed il suo piumaggio nero; il carnevale giallo e rosso dei cardellini; le danze dei passeri. Ora si meravigliava guardando il viso della figlia mentre scriveva un tema; il sorriso della moglie il giorno che andarono a vedere le stelle; il movimento delle mani di sua madre quando raccontava dei tempi andati. Dettagli su dettagli. C’era sempre da scoprire qualcosa di affascinante, qualcosa che riusciva a far battere forte il cuore anche per un solo millesimo di secondo.

Non tutti sappiamo vedere l’ineffabile bellezza che ci circonda ogni giorno. Alcune persone hanno come uno scudo di monotonia e materialismo che li rende inerti alle provocazioni della bellezza. Spesso queste persone hanno bisogno di buio assoluto per poter vedere la luce. Non possono apprezzare quanto sia meraviglioso poter vedere chiaramente se non si è vissuta l’angoscia del buio. A volte, come i daltonici, riusciamo a percepire solo alcune lunghezze d’onda, quelle che ci sembrano più importanti, ma ci dimentichiamo degli altri colori, coperti da certo bagliore eccessivo che diamo alle faccende della vita. Eppure quei magnifici colori ci sono, aspettano solo di essere notati. Basta fermarsi un attimo e osservare.

Cardellino

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Lucciole per lanterne

In una notte oscura, stiamo vagando per la valle alla ricerca di un segno di vita perché ci siamo perduti. Ecco che davanti a noi, qualche centinaio di metri più in là, appaiono delle luci che si muovono, come di gente che brandisce delle torce ed è alla ricerca di qualcuno o qualcosa. «Ah, ci cercano e ci hanno pure trovati!» pensiamo. Qualche decina di passi nella direzione delle luci e …
Puf! Le abbiamo attraversate. Trattavasi di insetti bioluminescenti vicini e non di lanterne lontane.

Questa breve storiella, dalla quale immagino derivi il modo di dire che si legge nel titolo, evidenzia come la situazione fisica o mentale nella quale ci troviamo determina un calo di obiettività nei confronti di quanto osserviamo. La persona perduta nella notte ha un disperato bisogno di sicurezza, di trovare qualcuno, di avere un contatto umano e, in virtù di questo desiderio, è portato ad interpretare delle luci che si muovono come persone alla sua ricerca. In questo caso è un sentimento forte come l’angoscia a forzare le interpretazioni non corrette e non veritiere della realtà.

Un’altra cosa molto potente che può indurre in questo genere di sviste è l’ideologia, con tutti i “complessi del nemico” conseguenti: se il nemico della mia ideologia dice qualcosa io la interpreto nel modo più negativo possibile; se il “nemico” parla di sacrificio noi diciamo che è  masochista; se parla di bellezza, noi concludiamo che delira; se difende qualcosa, noi pensiamo che sia uno strumento di potere; se perdona, per noi ha un secondo fine; se esprime la sua opinione, sta tentando di chiuderci il becco e così via. A differenza del disperato che interpreta in meglio perché ha bisogno di buone notizie, l’ideologizzato interpreta in peggio perché deve difendere il suo castello di carte, tanto complesso ed elaborato, quanto instabile e fragile: ogni dubbio fa infatti vibrare violentemente l’intera struttura minacciandone il crollo perciò dev’essere fuggito e attaccato con ogni mezzo.

L’unica via d’uscita, per il disperato che cerca luci nella notte così come per l’ideologizzato è il rendersi conto della propria situazione, fermarsi un attimo a dare un’occhiata a sé stessi per poi rivalutare quanto osservato senza pregiudizi e ossessioni. È vero che bisogna osservare molto per comprendere altrettanto, ma è anche vero che l’osservazione dev’essere “pulita” dalle classificazioni fatte con l’accetta, dalle generalizzazioni e dai pregiudizi.

Luci distanti nell'oscurità

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La fine del seme

Era un frutto succulento ma è stato barbaramente sbucciato, tagliato, mangiato. Alla fine del supplizio era rimasto solo un seme gettato, scartato, lanciato al suolo. È sepolto, la terra lo schiaccia, la luce non lo raggiunge. È finito.

Eppure… eppure c’è come una sensazione che non sia finito tutto lì, che dopo tutto quello che è accaduto ancora manchi qualcosa. Anzi, manca la cosa più importante, la cosa più incredibile, quella svolta improvvisa che dà un senso a quanto accaduto.

Seme germoglio

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Pretese impossibili

Due contadini conversavano sotto il sole estivo. Il primo dice all’altro:
«Quanta luce! È ovunque: si diffonde sui campi, sui colli, sulle spighe di grano rendendole splendenti. Grazie al Sole, che regalandoci i suoi raggi fa crescere il raccolto. Non è meraviglioso?»
L’altro risponde:
«Ma sotto quell’albero non c’è luce! Se il Sole fosse così generoso illuminerebbe anche sotto l’albero e io avrei altri metri quadri da coltivare.»

Il secondo contadino è uno di quelli che magari vorrebbero fare un’altra cosa nella vita e vivono il loro lavoro come una grande fatica. Nel loro caso, il raccolto dipende solo dalle non sufficientemente retribuite energie che il contadino spende per arare, seminare, irrigare, concimare e mietere. In quest’ottica, se c’è, il Sole è un atto dovuto. È per questo motivo che contesta il suo collega sulla luce proponendogli il caso dell’ombra. Lo sfida per chiedergli: «Se la luce è davvero così gratuita perché non c’è anche dove io vedo l’ombra? Di giusto, avrebbe dovuto esserci luce anche dove c’è ombra».

Quell’ombra – minima rispetto a tutto il resto del panorama che può vedere con il suo occhio – è necessaria e utile. Se per assurdo, avessimo il potere di assecondare quell’uomo, per realizzare il suo mondo “perfetto”, di sola luce, dovremmo negare agli oggetti la capacità di essere opachi e di riflettere quindi parte della luce che ricevono. Ma in questo caso lui per primo sarebbe cieco, perché non ci sarebbe luce raccolta dal suo occhio opaco e non ci sarebbe luce da raccogliere senza oggetti opachi che la deviino verso l’occhio. A tutti gli effetti, la sua proposta di mondo migliore sarebbe un mondo peggiore.
Quando i raggi cominciarono a picchiare forte sul capo di quel contadino – facendolo pure sudare – si recò proprio verso quell’ombra, oggetto del suo contestare.

Evitiamo certo pessimismo apparentemente “logico” che sembra giustificare il nostro approccio riduttivo con la vita: corriamo il rischio di concentrarci sul peggio e di ignorare la bellezza e la gratuità di ciò che ci circonda; rischiamo cioè di perderci un vero tesoro per non aver visto il senso nel negativo che notiamo.

Campo di grano

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Il mago delle nuvole

A Francesco non piacevano le giornate nuvolose nelle quali le nuvole transitavano offuscando il sole ma senza degnarsi di fare nemmeno un goccio di pioggia. Quel giorno i colori erano sbiaditi e il mondo, attraverso la finestra della casa della nonna, sembrava soffocato sotto una cappa di tristezza grigia.

Sei lì alla finestra da più di venti minuti – lo richiamò la nonna dopo esserglisi avvicinata e aver gettato uno sguardo al cielo. Francesco la guardò sorridere come se la sapesse lunga. Ti mette tristezza il cielo nuvoloso? – chiese affettuosamente la donna – Si! Mi dà fastidio tutto questo grigiore e non capisco che senso abbiano tutte quelle nuvole se non fanno cadere nemmeno la pioggia. Ingrigiscono tutto ecco! – borbottò Francesco. La nonna, senza cambiare espressione, indicò lentamente il castello che si trovava sulla collina. Lassù vive il mago delle nuvole – disse – le dispone nel cielo a suo piacimento. Non è distante da qui, puoi andare a parlargli se ti va.

L’immenso portone del castello era già leggermente aperto quando Francesco lo raggiunse nel bel mezzo del pomeriggio. Il ragazzino si fece timidamente strada fra i corridoi, seguendo la scia di bigliettini appesi alle pareti. Annotazioni di ogni tipo lo accompagnarono fino al laboratorio sulla torre dove trovò un anziano signore che si divideva tra un telescopio ed una manovella che roteava di tanto in tanto – I tuoi genitori non ti hanno insegnato a bussare? – chiese l’uomo senza distogliere lo sguardo dai suoi strumenti – Me ne scuso – rispose il ragazzino – Sono Francesco, vengo da quella casa, ci sta mia nonna – Uh, devi essere il nipotino di Cassandra – disse sorridendo il vecchietto – Come mai sei qui? – Sono qui per chiederle di fare sparire le nuvole perché quando non c’è il sole è tutto grigio – Stanno benissimo lì dove stanno! Anzi, con un ultimo ritocco saranno perfette – Francesco si indispettì leggermente – Perché passa tutto il tempo a coprire il cielo senza motivo? Come può permettere che il sole venga offuscato in quel modo? – Ora non posso perdere tempo con te, ma se avrai pazienza capirai – rispose lapidario l’uomo.

Il mago delle nuvole tornò alle sue operazioni ignorando il ragazzino. Il giorno era ormai al termine e Francesco aveva perso le speranze di poter vedere il Sole prima di rientrare a casa. Stava uscendo dal castello quando davanti a lui apparve uno spettacolo meraviglioso: la luce del Sole al tramonto filtrava attraverso le nubi colorando il cielo con centinaia di sfumature differenti. Sembravano le pennellate luminose di un artista su una immensa tela. Se il cielo fosse stato terso e limpido Francesco avrebbe visto soltanto un disco arancione nascondersi dietro l’orizzonte. Il mago delle nuvole aveva fatto un ottimo lavoro faticando tutto il giorno.
Francesco tornò a casa consapevole che tutto ha un senso. Anche le cose che sembrano oggettivamente brutte lo hanno, anche se quel senso non è immediatamente comprensibile.

Nubi al tamonto

Ispirato dalla mia fidanzata che, guardando il cielo nuvoloso, ha detto, come fa di solito: “Oggi ci sarà un bel tramonto”

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