Piacevole pulizia

Io, come immagino tante altre persone, a conclusione di una pesante giornata dedico un po’ del tempo residuo ad alcune attività di pulizia personale. L’igiene è sicuramente un’attività dai molteplici vantaggi: evita sgradevoli odori; allontana malattie ed inquinanti; idrata la pelle. A questi possiamo anche aggiungere che si tratta di un’attività che dà un certo sollievo, sia perché sentirsi puliti è meglio di sentirsi sporchi, sia perché nel lavarsi ci si massaggia, ci si cura di sé. In particolare, lo strofinio tra le dita dei piedi lo trovo particolarmente piacevole.  Si potrebbe dire che l’attività del lavarsi unisce l’utile al dilettevole.

Attenzione agli eccessi però. Lo scopo delle operazioni di pulizia è l’igiene e l’effetto di essere piacevole è solo “collaterale” ma, nel momento in cui il peso fra le due finalità viene ad invertirsi ecco che insistiamo, eccedendo nell’attrito. Ricordo bene diverse volte nelle quali il sollievo da un prurito si è trsformato in una grattatina un po’ eccessiva. Estremizzando, ci si può pure ferire a rincorrere solo la sensazione percepita e non la finalità di un gesto.

Ecco, la bontà delle nostre azioni non si misura con il piacere – non importa se dato a noi stessi o a qualcun altro – ma in base alle loro finalità: se effettivamente producono bellezza o se invece si trattano di “estremizzazioni”. Mai accantonare la ragionevolezza, è lo strumento più efficace che abbiamo per individuare i pericolosi eccessi.

Doccia Psicho

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L’eccentrico imprenditore

Quando l’auto aveva nuovamente girato l’angolo Sabrina era ancora lì, a sorridere con le labbra ma non con gli occhi a quelle vetture che transitavano per la strada a passo d’uomo. Alcune si fermavano un po’ più avanti, alcune un po’ prima e caricavano le altre ragazze che, come Sabrina aspettavano.
L’eccentrico guidatore era già passato di lì per altri motivi ma, passando veloce, non aveva potuto fare a meno di notare il viso di Sabrina fra gli altri. Perciò aveva fatto il giro dell’isolato tornando indietro e mescolandosi agli altri automobilisti.

Lei si accomodò nei sedili posteriori e l’auto ripartì. Aveva notato lo sguardo strano del guidatore attraverso lo specchio retrovisore: sembrava guardare indietro, a quel luogo, come un profugo che avesse appena attraversato il confine del suo paese in guerra.
Di sguardi strani ne aveva visti abbastanza nonostante la sua carriera fosse iniziata da relativamente poco rispetto ad altre. Continuò a masticare la sua gomma e, quando furono abbastanza lontani, iniziò il solito “spettacolo” che faceva per tenere in caldo l’automobilista fino al luogo dove si sarebbero fermati. Aveva appena iniziato a sciogliere dei lacci quando notò che lo sguardo attraverso lo specchietto retrovisore non era “normale”. Stavolta non guardava indietro, guardava lei ma mancava quella brama che aveva visto luccicare altre volte. La cosa interruppe le sue operazioni.
«Dev’essere un pivello alla sua prima volta» – pensò Sabrina. Allora chiese: «Che c’è? Non hai mai visto una ragazza in vita tua?».
L’eccentrico uomo sospirò e disse: «È un vero peccato…» – guardò la strada, poi riprese – «Non meriti questo, sei fatta per cose più grandi». «Hai dei problemi?» – rispose Sabrina con il leggero timore di essere entrata nell’auto di un assassino o di un folle. «Cosa diresti se un grande compositore come Mozart non avesse fatto altro nella vita che lavare le scale?» – continuò l’uomo – «Cosa diresti se le sculture di Michelangelo fossero state usate come materia prima per farci i muri? È un peccato…» – «Ok, fammi scendere» – disse di scatto la ragazza, capendo che con quel matto non ci avrebbe ricavato un quattrino.
L’auto accostò ma, prima che Sabrina avesse aperto la portiera, l’uomo si era voltato allungando verso di lei un biglietto da visita e diverse banconote. «Nel caso volessi cambiare vita» – disse. Sabrina afferrò il mazzetto e uscì sbattendo la portiera. L’eccentrico uomo si aggiustò i polsini dell’elegante vestito e andò via. I soldi erano sufficienti per giustificare tutta la serata. Stranamente era scesa proprio vicino a casa sua.

Quella sera il sonno tardava a venire. Continuava a pensare a ciò che le era accaduto, a quell’uomo così bizzarro, a quello che le aveva detto, al suo sguardo. Poi pensò alla sua vita, al fatto che per la prima volta qualcuno credeva che lei avrebbe potuto fare qualcosa di meglio. Fino ad allora Sabrina si era convinta di essere una buona a nulla, di poter ambire al massimo a ciò che aveva già e faceva già.

Il giorno dopo versò la percentuale al bruto che “la possedeva”. L’individuo era talmente insensibile che non si accorse della differenza nel saluto e nel modo di guardarlo.
Pochi chilometri in autobus e si trovò all’indirizzo riportato sul biglietto da visita. Davanti a lei una grande azienda con un enorme cancello. Non si riusciva a vedere l’interno, forse nessuno in città c’era mai riuscito. La tentazione di alzare i tacchi era forte: in fondo poteva essere tutto un tranello, poteva ficcarsi in qualche guaio. Suonò al citofono. Non rispose nessuno ma il cancello automatico cominciò a scorrere aprendosi. Poco oltre il cancello c’era una casetta rurale ristrutturata dove viveva il guardiano. Attraverso il vetro lo vide parlare al telefono e sorridere. Poco dopo arrivò l’eccentrico uomo. «Grazie Antonio» – disse guardando il custode. Poi si voltò verso di lei – «Sono contento che tu abbia deciso di venire qui, Sabrina». La ragazza era un po’ stranizzata: era sicura di non aver mai pronunciato il suo nome a quell’uomo. Il suo pensiero fu interrotto dalla voce dello stravagante signore: «Seguimi!».

Mentre penetravano nell’enorme complesso Sabrina incrociava lo sguardo di quelli che lavoravano là dentro: non c’era ombra di tristezza, di fatica, di delusione. «Antonio, il custode…» – diceva l’eccentrico signore – «Sai che era un ubriacone? Ha accettato anche lui ed ora ha una famiglia, una casa e un lavoro.» – continuò indicando altrove – «Vedi quell’ingegnere a quella scrivania? Sta progettando un sistema estremamente complesso che solo lui può sviluppare. L’ho trovato che faceva il barbone dopo aver fondato la sua esistenza sul successo e aver fallito per aver fatto il passo più lungo della gamba. Ora lavora con noi e fa delle cose meravigliose.» – passando vicino ad un operaio che saldava una paratia – «Armando, aveva fatto un grosso sbaglio nella sua vita. Ho dovuto creargli un’identità nuova per convincerlo ad unirsi a noi. Ora è letteralmente ri-nato: la sua vita piena di errori si è trasformata in una vita piena di valori.» – giunti ad un ufficio che non era stato assegnato a nessuno, l’uomo la guardò e disse: «È il tuo momento, Sabrina. Oggi inizia la tua nuova vita nella nostra famiglia, amica mia».

Chiedo scusa per il post estremamente lungo. Non contento aggiungo questo cortometraggio della durata di circa venti minuti. Ringrazio Vittoria per avermelo fatto notare.

 

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Copertura

Annalisa amava Francesco; lo amava di quell’amore vero, sincero e razionale che guarda al futuro e fa attenzione all’altro nella sua interezza; difetti inclusi.
Una sera Francesco rientrò molto agitato. Era in ritardo ed Annalisa non aveva mai visto quell’espressione sul suo volto. Per Francesco era impossibile nascondere ad Annalisa ciò che era successo – quello che aveva fatto – perciò, chiusa la porta, si sedette con lei al tavolo della cucina ed iniziò a raccontare del suo errore.

Il racconto andava avanti sempre più lentamente, la voce di Francesco si faceva sempre più flebile e soffocata dall’emozione della colpa. Quando cominciò a parlare delle vittime non poté trattenere il pianto ed il racconto si interruppe più volte per singhiozzi e crisi. Le mani di Francesco passavano ripetutamente dai suoi capelli ai suoi occhi coprendo, ogni tanto, l’intero volto devastato da quella colpa troppo grande.
Anche Annalisa piangeva, non perché fosse ferita o oltraggiata in qualche modo da ciò che aveva fatto Francesco – e lo era – ma perché percepiva nettamente la sofferenza ed il pentimento di Francesco.

«La mia vita è finita, non c’è più speranza per uno come me» – concluse Francesco, lasciando immaginare che di lì a poco l’avrebbe fatta finita in qualche modo. Annalisa lo guardò negli occhi – «No, Francesco. Io ti conosco e ti amo: so cosa è meglio per te e so come ti stai sentendo ora. Proprio per questo so che quanto è accaduto oggi non si ripeterà mai più e…»
Rumori provenienti da fuori interruppero la frase. «Nasconditi qui e non fiatare» – disse rapidamente Annalisa mentre trascinava per un braccio Francesco. Lui avrebbe voluto non farlo, ma era troppo scosso per muovere qualsiasi obiezione.

Pochi istanti dopo bussarono alla porta. Era un gruppo di sei o sette persone che cercavano Francesco perché “doveva pagare”.
«Non è qui. Potete anche controllare se volete» – replicò loro Annalisa. Dopo essersi guardati un po’ intorno, quelli se ne andarono e Francesco poté nuovamente sedersi a parlare con Annalisa – «So che quanto è accaduto oggi non si ripeterà mai più e che tu sei realmente pentito. Ora, l’unica cosa della quale hai bisogno è di cominciare una vita nuova, una vita migliore. Hai bisogno di essere accolto ed amato, non di essere punito, perché è già tremenda la punizione che stai infliggendo a te stesso. L’unica cosa della quale devi preoccuparti è di riparare il riparabile, di ricavare un bene dal male che è già stato compiuto, non di scontare pene.»

Annalisa è stata forse una criminale per aver “coperto” Francesco? Si può rimediare al male con altro male? Spesso noi pretendiamo che ciascuno paghi a caro prezzo i propri errori, ma non riflettiamo che anche noi ne commettiamo e che fa parte della natura umana sbagliare. Non riflettiamo, soprattutto, sul dolore che certe persone si portano dietro, sul fatto che la condanna e l’esecuzione non sono sempre la strada giusta per combattere il male. Accogliere, non significa certamente essere accondiscendenti, ma implica osservazione e riflessione affinché anche chi ha commesso il male abbia la possibilità di essere una persona buona. Se poi costui inganna e finge il pentimento, non è bene sospettare la malafede e, in ogni caso, ogni nodo verrà prima o poi al pettine.

Disperato

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