Pretese
Per questo week-end mi trovo a casa di mio zio. Uno dei membri della sua famiglia è un simpatico cagnolino di nome Ciro.
È una bestiola molto educata che segue ovunque i suoi padroni e fa la festa anche ai visitatori.
Secondo i ritmi biologici dei cani corrisponde ad un sessantenne che soffre già dei primi acciacchi: non fa più le scale due gradini per volta ed ora il veterinario gli ha anche proibito di mangiare troppo. In effetti Ciro sembra il classico “pozzo senza fondo” perché, finita la sua porzione, fa il giro dei commensali con una espressione pietosa e battendo le zampe sulle loro gambe per avere un boccone dal piatto degli umani.
Povera bestia, non conosce il senso della misura e il significato delle conseguenze delle proprie pretese. Fra noi umani, questo comportamento lo chiamiamo “vizio“, un difetto, un’imperfezione del senso della misura. Noi che siamo uomini, a differenza del povero Ciro, conosciamo le conseguenze di ogni azione e di ogni comportamento; abbiamo un tipo di sensibilità “speciale” che scatta come un allarme ogni volta che facciamo qualcosa di viziato, anche quando ci raccontiamo che non vi sarebbe motivo “razionale” per trovarci qualcosa di male. Ciro è giustificato: è soltanto un cane, in fondo. Noi no, perché quella sensibilità speciale che abbiamo, e che ci distingue da lui, implica delle responsabilità dalle quali nessuno – nemmeno noi stessi; neanche una scusa che appaia razionale – può sollevarci.
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