Il curatore

Si erano fatti strada nella giungla selvaggia per giorni e giorni, marciando con difficoltà, combattendo gli insetti mentre l’aria umida faceva ristagnare il sudore. Il quindicesimo giorno, i due esploratori trovarono una radura. La giungla si fermava di netto, lasciando il posto ad uno spettacolo di colori floreali.

«È stupendo – disse il primo – qualcuno deve sicuramente curare questo terreno». L’altro non era d’accordo: «Mah, potrebbe essere tutto spontaneo». «Aspettiamo e vediamo» rispose il primo. Così montarono le loro tende e si misero ad aspettare, ma dopo un paio d’ore ancora non si vedeva nessuno. Il terreno era veramente vasto: il misterioso curatore poteva essere stato in altre zone non a vista ed essere quindi passato inosservato.
Poiché sarebbe stato faticoso montare la guardia nella notte ad aspettare qualcuno che non sarebbe mai arrivato, il secondo esploratore disse sprezzante: «Tagliamo la testa al toro. Ora ci penso io!». Stufo di aspettare prese il filo spinato ed eresse una recinzione, che elettrificò. «Se viene qualcuno – disse soddisfatto – non ci sfuggirà».
Nessun grido di dolore fu udito durante la notte e il mattino dopo nessun corpo fu notato durante l’accurata ronda.

Mentre i due abbandonavano il terreno in cerca di qualcosa di più eccitante, lassù, in cima alla rupe, vestito di foglie intrecciate, li osservava seduto un anziano e calmo signore. «Che maleducati – pensò – Sono entrati nel mio giardino nel giorno di riposo e, non contenti, mi hanno pure messo filo spinato ovunque… – Un lungo sospiro non interruppe il pensiero – Ma perché, invece di venirmi a cercare, mi hanno tenuto alla larga dal mio stesso giardino? Cosa volevano? Che morissi per loro su quel fino spinato?».
I due figuri dovevano essere senza dubbio dei malintenzionati. Quando fu certo di essere di nuovo solo, il vecchio si alzò con il suo bastone in mano e incamminandosi concluse il suo pensiero: «Boh… Forse avrei dovuto farlo…».
Quante volte siamo stati avventati e impazienti? Quante volte non abbiamo saputo cercare e, non trovando, abbiamo smesso?  Che si tratti di metodo o di pazienza o di apertura mentale, se non riusciamo a vedere qualcosa è molto probabile che il motivo siamo noi stessi.

Giardino

Share

Un uso sbagliato

A chi non capita presto o tardi di discutere con qualcuno sulla visione che si ha del mondo o di un qualche argomento che reputa importante?
Le modalità e la direzione che la discussione può prendere dipendono dalle persone coinvolte, da quanto sono state educate, dal rispetto che hanno per l’altro, tuttavia anche persone educate e oneste, anche quelle che hanno perfettamente ragione, anche (e soprattutto) quelle che hanno buone intenzioni e bellissimi nobili obiettivi possono ottenere l’effetto esattamente opposto a quello desiderato.

Non di rado chi è nel torto vi permane quasi con irritante ostinazione perché chi gli parla, pur avendo ragione da vendere, pur essendo consapevole di come stanno di cosa e dei rischi che corre l’altro, fa un uso sbagliato di quello che sa, della verità che conosce.
Il modo sicuro, infatti, per impedire ogni cambiamento nella persona è sbatterle in faccia il suo peggio: «Tu sei un ladro!»; «Tu sei un meschino!»; «Tu sei sporco, viscido, cattivo etc.».

In questo modo non è mai cambiato nessuno perché la primissima reazione a frasi di questo tipo è la rabbia. “Solleticando” in questo modo l’orgoglio del proprio interlocutore non si ottiene altro che l’erezione di un muro ancora più solido e alto, trasformandosi da “salvatori” a “invasori” e “assedianti”.

Ma se questo è un modo sbagliato di usare la verità c’è ovviamente un modo giusto di farlo. La responsabilità di chi conosce la verità è grande ed il suo compito è quello di proporla come alternativa valida e, soprattutto, migliore della convinzione del proprio interlocutore: usare i fatti conosciuti come un’arma, come uno strumento per ferire l’altro ci trasforma in mercenari. Non basta “evitare” di ferire l’altro: bisogna anche fornire tutti gli strumenti necessari per permettergli di capire dov’è il problema e come risolverlo. Non si può liquidare il ladro dicendo: «Tu sei un ladro, sta attento a non rubare». Bisogna condurlo all’onestà e al rispetto delle proprietà altrui mostrandogli che la vita onesta è migliore, facendogli provare una vita che noi sappiamo benissimo essere più bella, ma che dal suo punto di vista è un terreno totalmente sconosciuto.

Solo così parlare con qualcuno può avere senso, altrimenti si sta solo perdendo tempo in due (nel migliore dei casi).

Fuggitivi

Share

Oltre il materiale

Immaginiamo una donna gettata in una prigione sotterranea. Qui essa dà alla luce e alleva un fliglio. Il bambino cresce senza vedere altro che le pareti della cella, la paglia sul pavimento [...]. La sfortunata donna era un’artista, e quando fu imprigionata riuscì a portare con sé il suo blocco di carta da disegno e una scatola di matite. Poiché non perde mai la speranza di essere liberata, palra costantemente al figlio di quell’altro mondo che lui non ha mai visto. Lo fa in gran parte tracciando per lui dei disegni.

Con la matita tenta di mostrargli come siano i campi, i fiumi, le montagne, le città, e le ondesulla spiaggia. Il figlio è un ragazzo rispettoso, e fa del suo meglio per crederle quando lei gli dice che quell’altro mondoè qualcosa di molto più interessante e di splendido di qualunque cosa ci sia nella cella. A volte ci riesce. Nel complesso egli si comporta abbastanza bene, finché un giorno dice qualcosa che lascia la madre in sospeso. [...] Alla fine la madre si rende conto che il figlio, in tutti questi anni, è vissuto nell’equivoco. «Ma» ansima «non avrai creduto davvero che il mondo reale sia pieno di linee disegnate con una matita di piombo?» «Cosa?» dice il ragazzo «Non ci sono segni di matita, lì?». [...]

Le cime degli alberi ondeggianti, la luce danzante sulla chiusa d’acqua, le variopinte realtà tridimensionali che non stanno racchiuse entro linee ma continuano a definire la propria forma in ogni momento, con una delicatezza ed una varietà che nessun disegno potrebbe mai raggiungere. Il figlio si farà l’idea che in qualche modo il mondo reale sia meno visibile dei disegni di sua madre. In realtà, esso può fare a meno delle linee, perché è incomparabilmente più visibile di esse. [...]

disegno

Ho tentato di mettere in evidenza, in tutto quanto ho detto, come sia inevitabile l’errore in cui può incorrere, nel giudicare ogni fenomeno [...], chiunque vi si avvicini solo da un punto di vista inferiore. La forza di questa critica si basa sulle parole «semplicemente» e «niente altro che». Costui vede i fatti, ma non il loro significato. In buona fede, quindi, egli afferma di aver visto tutti i fatti. In verità, non esiste davvero altro da vedere, lì, se non il significato. Così egli si trova, nei riguardi della questione che sta affrontando, nella stessa posizione dell’animale… Avrete notato che la maggior parte dei cani non capisce l’indicare. Voi gli indicate un pezzo di cibo sul pavimento: il cane, invece di guardare il pavimento, vi annusa il dito. Un dito per lui non è che un dito: null’altro. Il suo mondo è tutto di fatti, senza significati. E in un periodo come questo, in cui è dominante il realismo dei fatti, troveremo gente che di proposito si sforza di assumere questa mentalità canina.

dito cane

C.S. Lewis
Sermone al Mansfield College, Oxford.

Share