Una rosa nel cielo

Oggi aspettavo il mio “capo” nell’atrio del dipartimento di fisica. Su una delle tante bacheche era affissa la locandina di un incontro tenuto da un “esperto” di fenomeni paranormali. Uno di quelli che sanno sempre quale trucco c’è dietro l’illusionista e che hanno la risposta pronta per ogni cosa che sia fuori dal comune.

La locandina diceva qualcosa come “noi crediamo a tante cose così come le vediamo ma i sensi possono ingannare”. Vero, verissimo. Non fa una grinza. Mentre leggevo non ho però potuto fare a meno di pensare che alcune tra le più grandi scoperte scientifiche dell’antichità erano state classificate come “paranormale” prima di diventare la fortunata osservazione di un uomo di cultura. Cosa sarebbe stato di quelle scoperte se avessero avuto la meglio le spiegazioni tanto pronte quanto improbabili di chi riduce l’insolito ad una banale coincidenza?

Il problema di chi ha l’hobby di sbugiardare gli altri è che spesso valica il confine delle vere frodi, nelle quali il trucco c’è perché intenzionale, finendo per aggredire qualsiasi cosa non rientri negli schemi della normalità. Così se una persona vede qualcosa di insolito viene rapidamente liquidata senza neanche indagare seriamente sul fenomeno del quale ella è testimone. Se qualcuno venisse a dirmi di aver visto una rosa fluttuare nel cielo sarei tentato anche io di prenderla per matta, ma c’è un’onestà razionale che dovrebbe spingerci a verificare con l’esperienza quanto ci viene detto. Potremmo scoprire qualcosa di nuovo o, semplicemente, prendere un telescopio e vedere proprio una rosa in cielo.

Rosa nel cielo

 

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Dai canali ai marziani

Sul finire del diciannovesimo secolo l’astronomo Giovanni Virginio Schiaparelli osservava sulla superficie del pianeta Marte una serie di “canali” rettilinei. Queste strutture erano frutto di un’illusione ottica favorita dallo sforzo visivo necessario ad osservare il pianeta, ma lo scalpore della notizia ed il susseguente dibattito portarono altri astronomi a tracciare mappe di questi canali e a moltiplicarne le osservazioni.

La presenza di questi canali sembrava evidenziare l’esistenza di esseri intelligenti sul pianeta, i quali avrebbero costruito dei canali per trasportare l’acqua attraverso i grandi deserti marziani. Una notizia del genere si diffuse rapidamente tra la popolazione perché, infondo, “se lo dicevano gli scienziati doveva essere vero”. Così il dibattito sui canali di Marte si trasformò in una specie di suggestione collettiva il cui apice può essere ben rappresentato da quello scherzaccio che Orson Welles, il 30 ottobre del 1938, fece durante una trasmissione radio affermando che stavano arrivando i marziani con il risultato di gettare nel panico tutti i suoi ascoltatori.

Soltanto nel 1964, quando la sonda Mariner 4 riprese immagini del pianeta a distanza ravvicinata, ogni dubbio residuo fu cancellato. Quasi un intero secolo nella convinzione che su Marte vi fossero degli enormi canali per l’irrigazione.

La riflessione che si può fare su questa storia è che l’avventatezza, spesso anche in buona fede, può colpire anche le persone più fidate ed illustri del mondo. Fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio, dicevano gli antichi. Certo, non dobbiamo essere degli scettici al 100%  perché su molte cose basta un po’ di ragionevolezza e di esperienza, ma non possiamo prendere per buono tutto quello che il “personaggio di riferimento” di turno ci dice. Che sia un giornalista dall’aria retta ed istruita o uno scienziato che si diletta anche di filosofia e storia, la verità di un concetto non dipende dalla persona che lo ha espresso, ma da quanto regge alla verifica con la realtà.

Canali di Marte

Anche questa è una riflessione che non è farina del mio sacco ma proviene dalla mia fidanzata, che ringrazio.

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