La vigna nel vaso

Nel giorno del mercato rionale Luisa faceva sempre scorte per tutta la settimana. Anche quella volta concluse il giro delle bancarelle dal fruttivendolo. «Buon giorno, signora! Guardi che bel grappolo che ho qui». Il fruttivendolo acchiappò un enorme grappolo d’uva per il massiccio tralcio sollevandolo fino all’altezza del volto; sembrava essere stato staccato a colpi d’accetta dalla vigna di un gigante. «Il prezzo mi sembra buono e, con la voracità che ha Alfonso – pensò rapidamente Luisa – farebbe proprio al caso mio». «Va bene, lo compro» Disse poco dopo.
Mentre confezionava l’enorme grappolo il fruttivendolo, ammiccante e sorridente, si lasciò scappare un commento: «Se pianta questo tralcio le nasce una vite». «Visto l’affare che gli ho procurato, oggi il fruttivendolo ha voglia di scherzare» – pensò Luisa.

Quella sera, mentre ne mangiavano gli acini, Luisa raccontò la storia di quel grappolo al marito, Alfonso: «Mi ha detto che se avessi piantato il legno sarebbe nata una vite. Per me è una cosa assurda, ma voglio provare.» Fuori, sul balcone, si affacciava da un vaso uno spoglio segmento di tralcio.
Per mesi la donna annaffiava il legnetto senza osservare alcun cambiamento. «Lo sapevo… – pensava – ora libero il vaso e ci metto qualche bel fiore». La mano aveva già afferrato il legnetto, l’estirpazione era imminente… ALT! L’occhio attento di Luisa aveva scorto un minuscolo germoglio. La donna ritrasse la mano stupita. Era vero!
Ci volle circa un annetto affinché la pianta fosse abbastanza robusta per produrre i suoi primi piccoli acini.

Il fruttivendolo, conoscendo una cosa bella e vera – sebbene non conforme al sentire comune – non si è trattenuto dal raccontarla. Ad un giudizio superficiale sembra che abbia detto una follia con il fine di ingannare la cliente, magari per aumentare, con una storiella intrigante, il valore della sua merce. Luisa non è però superficiale e non si ferma alla prima impressione: vuole verificare e viene perciò premiata con qualcosa che prima non aveva, lo stupore per un germoglio, dei frutti inattesi.
Ecco. L’atteggiamento di fronte alla testimonianza non è lo scetticismo totale a priori né la fiducia incondizionata: alla verità basta quel tanto di fiducia che serve a verificarla con l’esperienza. In fondo, c’è ben poco da perdere e tanto più da guadagnare.

GrappoloSembra incredibile ma questa è una storia VERA

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Non è tutto vero ciò che è semplice

Nel film “Contact” di Robert Zemeckis (1997) la protagonista si ritrova, dopo varie vicissitudini, a sostenere un avvenimento della quale è l’unica testimone e per il quale non è in grado di fornire altra prova se non la sua stessa testimonianza. La spiegazione più “semplice” che il mondo scientifico dà all’accaduto è che sia stato tutto una colossale truffa. In realtà lo spettatore, che “ha visto tutto”, sa che la spiegazione della protagonista è vera e sa anche che una telecamera che registra in pochi millesimi di secondo un rumore di diciotto ore è una prova da non rigettare.
Il film mostra come, ignorando o rigettando alcuni elementi che sono in realtà validi, sia possibile giungere a conclusioni totalmente errate.


Spoiler: consiglio di non guardare a chi non vuole rovinato il finale del film.
Il volume è un po’ basso ma spero si senta lo stesso.

Il mondo della scienza non è nuovo a questo tipo di approccio fallace: lo abbiamo visto per quanto riguarda i fossili, ma cose analoghe sono successe per le meteore, i microrganismi e, perfino, il concetto stesso di “Big Bang”. Pensiamo, per esempio, all’esperimento di Rutherford: bombardare con particelle alfa un foglio d’oro e osservare i bagliori prodotti su uno schermo fluorescente dall’impatto di queste particelle. La maggior parte dei bagliori sono osservati dall’altra parte del foglio, evidenziandone l’attraversamento da parte delle particelle alfa. Una piccolissima quantità di bagliori viene però vista all’indietro: la spiegazione più “semplice” sarebbe quella di imputare questi ultimi bagliori a rumore di fondo e perturbazioni dall’esterno. Avessimo dato credito a questa spiegazione, penseremmo ancora che l’atomo sia un panettone con gli elettroni e i protoni al posto dei canditi. Come invece sappiamo, la spiegazione vera è più complessa: un nucleo; un grande spazio vuoto; elettroni che orbitano all’esterno.

Il Rasoio di Occam è il principio metodologico, formulato nel XIV secolo da Guglielmo di Occam, secondo il quale la spiegazione di un fenomeno è tanto migliore quanto minori sono le ipotesi ad essa necessarie. Potrebbe anche essere formulato, in altri termini, sostenendo che, a parità di fattori, la spiegazione più “semplice” sarebbe quella migliore.
L’esperienza personale insegna però che a maneggiare un rasoio con poca perizia si rischia di provocarsi qualche doloroso taglio o di restarci addirittura secchi. Il principio, di per sé, non è errato ma, di fatto, può essere applicato solo a casi abbastanza ipotetici, dove si può imporre l’ipotesi che l’osservatore sia a conoscenza della totalità dei fattori con grande precisione. Nel momento in cui l’osservatore ha a disposizione solo una piccola porzione degli elementi in gioco o sceglie arbitrariamente di ignorare alcuni fattori, si fa in modo che la spiegazione più semplice sia la propria. A questo punto, applicare il Rasoio di Occam diventa solo un modo per piegare i fatti alla propria teoria perché, per chiusura mentale, ne abbiamo stabilito la validità a priori.

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Fossili 2

Qualche escursionista fortunato, passeggiando per un passo di montagna, avrà avuto l’occasione di trovare qualche fossile. Il genere di fossili che si trovano in montagna sono di tipo marino: conchiglie; scheletri di pesci etc. Per noi del ventunesimo secolo questo fatto non è però stupefacente quanto poteva esserlo per gli uomini di qualche secolo fa.
Anticamente il ritrovamento di conchiglie sulle Dolomiti era associato al diluvio universale: cosa mai poteva aver portato delle conchiglie sulle montagne, il luogo perfettamente in antitesi con il mare? Sul fatto però che una volta, proprio dove ora ci sono montagne, ci fosse il mare gli antichi non si sbagliavano.

Anche qualche secolo fa esistevano gli scettici incalliti, di quelli che pur di negare una risposta, giusta o sbagliata che sia, finiscono per anteporre una risposta ancora più sbagliata. Del caso dei fossili ne avevo già parlato qualche tempo fa, proponendo questo comportamento come vicenda ipotetica ma mai mi sarei immaginato che quanto fantasticavo fosse realmente accaduto.
Il pensatore Voltaire sostenne infatti che c’erano state delle persone – pellegrini che usavano la conchiglia come segno di riconoscimento – ad aver portato le conchiglie sulla montagna, magari proprio per costruire una montatura.

Sull’origine delle conchiglie ritrovate sulle Dolomiti si sbagliavano sia Voltaire che i suoi oppositori, ma è interessante osservare come il pregiudizio di Voltaire e, se permettete, il suo atteggiamento ideologico verso i suoi oppositori lo abbia portato a costruire un’ipotesi sbagliata che, tra l’altro, accusava ingiustamente delle persone che non c’entravano nulla.
L’ideologia, mescolata ad un carattere accusatore, produce dei mostri. Quando trasformiamo un soggetto – o gruppo o associazione – nel nostro nemico e gli muoviamo battaglia “a prescindere”, finiamo con il calpestare gli innocenti sotto gli zoccoli scintillanti del nostro cavallo bianco e diventiamo, non solo condottieri del massacro, ma anche grandi ipocriti.

Cassetta fossileRingrazio Riccardo per la soffiata (e, in ritardo, per i filosofi a calcio)

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Fossili

Quando un animale muore in determinate condizioni ambientali, ad esempio sommerso dal fango, il suo scheletro inizia un lungo processo che lo trasformerà in fossile. Ci vuole un tempo veramente esagerato perché avvenga la fossilizzazione ma, oltre al tempo trascorso, non tutti si rendono conto che nei fossili non c’è più traccia di osso. Con il passare del tempo, infatti, le ossa vengono sostituite da altri minerali che, per forza di cose, avranno la stessa forma che aveva l’osso. Esagerando un po’ con i termini si potrebbe dire che i fossili sono “scheletri di pietra”.

Mi immagino già gli antenati di certa allegra gente che si incontra al giorno d’oggi inveire contro i primi scopritori di fossili o i primi che sostenevano la loro origine animale. Gli avranno detto che il cervello tende a ricostruire forme note o somiglianti ad animali anche tra semplici sassi e macchie sulle pareti formatesi spontaneamente. Qualcuno gli avrà anche detto che erano ciarlatani perché l’analisi chimica dimostrava che i loro presunti scheletri avevano la stessa composizione della roccia. La solita razionalità “sintetica” e chiusa.

L’universo è pieno di cose strane, assurde e, ogni tanto, impossibili: la chiusura mentale di fronte a chi ci racconta la propria esperienza non conduce mai a nulla. L’unica maniera di guadagnare qualcosa è di verificare e sperimentare, di porsi la domanda giusta: “perché?” e non “perché non è vero?”.

cassetta fossile

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