Perché

Quando utilizzato in qualità di congiunzione subordinante causale, ha la funzione di legare una proposizione alla successiva, la quale ne specifica cause, spiegazioni, motivazioni.

Se mi fermo alla prima proposizione e non ho la pazienza di leggere il resto della frase – ciò che si trova oltre il “perché” - non solo mi resterà il dubbio sui moventi e sulle spiegazioni, ma cercherò anche di costruirmi “le mie” spiegazioni, tanto più distanti dalla realtà quanti più pregiudizi sono alla base del mio pensiero. Soprattutto se sto ascoltando/leggendo il ragionamento di una persona che ho sempre visto come “nemica”, sono capace di non polemizzare fraintendendo la prima parte della frase? Ho l’umiltà e la pazienza di valutare il ragionamento altrui solo dopo averlo ascoltato tutto e, soprattutto, compreso?

Come possiamo pretendere di avere ragione sulla nostra interpretazione di qualcosa se ci siamo fermati all’apparenza?
Per una persona sveglia e curiosa è naturale chiedersi “il perché” delle cose ma, se questa attività è viziata nella forma o nelle intenzioni, penalizza lo spirito di osservazione e le risposte saranno sbagliate: spesso essere critici e avventati, spezzettando sottilmente i ragionamenti altrui, non permette di comprendere e riflettere ma conduce a sterili ed infinite discussioni.
Punto interrogativo

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Sbocciata!

Passiflora

Da quando ho scoperto il bocciolo, ho atteso ogni giorno di vederlo aprirsi. Andavo a guardare i progressi nel timore che il suo sviluppo si interrompesse perché – capita anche questo – c’era la probabilità di trovarlo per terra non ancora aperto.
Stavo lì a guardare e a volte mi veniva pure il nervoso perché non si apriva subito, perché ci metteva così tanto.

Non era sotto il mio potere: non potevo decidere io quando si sarebbe aperto e quali colori e forme mi avrebbe mostrato. Sì, sapevo che tipo di fiore avrebbe fatto, ma non sapevo precisamente le forme e i colori che avrebbe avuto. L’unica cosa che avevo teoricamente il potere di fare era interrompere io stesso quella cosa che si stava costruendo giorno dopo giorno. Se l’avessi fatto avrei certo posto fine all’attesa, perché non ci sarebbe stato più nulla da attendere, ma avrei impedito l’avverarsi della bellezza di quel fiore. Distruggere è alla portata di tutti, creare no.

Dobbiamo imparare la pazienza e il valore dell’attesa. Ogni minuto impiegato nel contemplare un progetto che si compie è un valore aggiunto all’avvenimento atteso. È facile impedire la bellezza, interrompere le attese, distruggere ciò che è in costruzione, ma farlo significa privarsi di un inestimabile valore. Cerchiamo di non anteporre la vita facile, con le sue scorciatoie distruttive, al valore della bellezza che ci attende. La nostra attesa sarà premiata.

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Il curatore

Si erano fatti strada nella giungla selvaggia per giorni e giorni, marciando con difficoltà, combattendo gli insetti mentre l’aria umida faceva ristagnare il sudore. Il quindicesimo giorno, i due esploratori trovarono una radura. La giungla si fermava di netto, lasciando il posto ad uno spettacolo di colori floreali.

«È stupendo – disse il primo – qualcuno deve sicuramente curare questo terreno». L’altro non era d’accordo: «Mah, potrebbe essere tutto spontaneo». «Aspettiamo e vediamo» rispose il primo. Così montarono le loro tende e si misero ad aspettare, ma dopo un paio d’ore ancora non si vedeva nessuno. Il terreno era veramente vasto: il misterioso curatore poteva essere stato in altre zone non a vista ed essere quindi passato inosservato.
Poiché sarebbe stato faticoso montare la guardia nella notte ad aspettare qualcuno che non sarebbe mai arrivato, il secondo esploratore disse sprezzante: «Tagliamo la testa al toro. Ora ci penso io!». Stufo di aspettare prese il filo spinato ed eresse una recinzione, che elettrificò. «Se viene qualcuno – disse soddisfatto – non ci sfuggirà».
Nessun grido di dolore fu udito durante la notte e il mattino dopo nessun corpo fu notato durante l’accurata ronda.

Mentre i due abbandonavano il terreno in cerca di qualcosa di più eccitante, lassù, in cima alla rupe, vestito di foglie intrecciate, li osservava seduto un anziano e calmo signore. «Che maleducati – pensò – Sono entrati nel mio giardino nel giorno di riposo e, non contenti, mi hanno pure messo filo spinato ovunque… – Un lungo sospiro non interruppe il pensiero – Ma perché, invece di venirmi a cercare, mi hanno tenuto alla larga dal mio stesso giardino? Cosa volevano? Che morissi per loro su quel fino spinato?».
I due figuri dovevano essere senza dubbio dei malintenzionati. Quando fu certo di essere di nuovo solo, il vecchio si alzò con il suo bastone in mano e incamminandosi concluse il suo pensiero: «Boh… Forse avrei dovuto farlo…».
Quante volte siamo stati avventati e impazienti? Quante volte non abbiamo saputo cercare e, non trovando, abbiamo smesso?  Che si tratti di metodo o di pazienza o di apertura mentale, se non riusciamo a vedere qualcosa è molto probabile che il motivo siamo noi stessi.

Giardino

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Ammoniaca

Si vede spesso nei film o nei telefilm la classica torta lasciata sul davanzale della finestra. Questa procedura non serve a farla “raffreddare” come sembrerebbe e non è neanche una procedura scaramantica di qualche tipo. Allora perché lasciare i propri dolci a disposizione di insetti, ladri e burloni?

Il motivo di questa procedura sta nel lievito. Quando si utilizza un lievito organico, come il lievito di birra, si aggiungono dei particolari batteri all’impasto. Questi batteri, se lasciati in ambiente sufficientemente caldo, si moltiplicano, mangiano gli zuccheri dell’impasto e producono anidride carbonica (CO2). Con la cottura poi l’impasto cristallizza e i batteri muoiono. La lievitazione biologica richiede però tempi lunghi: bisogna lasciare l’impasto sotto le coperte per gonfiarsi al calduccio.

L’alternativa al lievito biologico è il lievito chimico. Uno di questi è il bicarbonato di ammonio (NH4)HCO3 che permette di ottenere della CO2 senza ridurre gli zuccheri della pietanza (e probabilmente è per questo che si usa per i dolci). Il problema è che questo tipo di lievito non produce solo anidride carbonica ma anche ammoniaca (NH3). È per questo che il dolce viene messo a prendere aria subito dopo la cottura: deve mandare via l’ammoniaca. E anche per questo che gli affamati in cerca di uno spuntino facile non mangiano mai i dolci abbandonati sul davanzale: avrebbero un odore ed un sapore orribile – ho fatto anche io questa esperienza con alcuni dolci appena comprati in pasticceria.

Per poter gustare il dolce senza inconvenienti bisogna aspettare che l’ammoniaca sia andata via tutta o in gran parte. Il golosone precipitoso ha perciò una brutta sorpresa.
Ci sono molte cose, nella vita, nelle quali non bisogna correre né esagerare. C’è un tempo per ogni cosa e bisogna saper aspettare prima di concedersi certi piaceri perché si corre altrimenti il rischio di rimanere con l’amaro in bocca. Rispettare i tempi sarà anche uno sforzo di volontà ma certo assicura il meglio a tempo debito.

Ammoniaca per dolci

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Il mago delle nuvole

A Francesco non piacevano le giornate nuvolose nelle quali le nuvole transitavano offuscando il sole ma senza degnarsi di fare nemmeno un goccio di pioggia. Quel giorno i colori erano sbiaditi e il mondo, attraverso la finestra della casa della nonna, sembrava soffocato sotto una cappa di tristezza grigia.

Sei lì alla finestra da più di venti minuti – lo richiamò la nonna dopo esserglisi avvicinata e aver gettato uno sguardo al cielo. Francesco la guardò sorridere come se la sapesse lunga. Ti mette tristezza il cielo nuvoloso? – chiese affettuosamente la donna – Si! Mi dà fastidio tutto questo grigiore e non capisco che senso abbiano tutte quelle nuvole se non fanno cadere nemmeno la pioggia. Ingrigiscono tutto ecco! – borbottò Francesco. La nonna, senza cambiare espressione, indicò lentamente il castello che si trovava sulla collina. Lassù vive il mago delle nuvole – disse – le dispone nel cielo a suo piacimento. Non è distante da qui, puoi andare a parlargli se ti va.

L’immenso portone del castello era già leggermente aperto quando Francesco lo raggiunse nel bel mezzo del pomeriggio. Il ragazzino si fece timidamente strada fra i corridoi, seguendo la scia di bigliettini appesi alle pareti. Annotazioni di ogni tipo lo accompagnarono fino al laboratorio sulla torre dove trovò un anziano signore che si divideva tra un telescopio ed una manovella che roteava di tanto in tanto – I tuoi genitori non ti hanno insegnato a bussare? – chiese l’uomo senza distogliere lo sguardo dai suoi strumenti – Me ne scuso – rispose il ragazzino – Sono Francesco, vengo da quella casa, ci sta mia nonna – Uh, devi essere il nipotino di Cassandra – disse sorridendo il vecchietto – Come mai sei qui? – Sono qui per chiederle di fare sparire le nuvole perché quando non c’è il sole è tutto grigio – Stanno benissimo lì dove stanno! Anzi, con un ultimo ritocco saranno perfette – Francesco si indispettì leggermente – Perché passa tutto il tempo a coprire il cielo senza motivo? Come può permettere che il sole venga offuscato in quel modo? – Ora non posso perdere tempo con te, ma se avrai pazienza capirai – rispose lapidario l’uomo.

Il mago delle nuvole tornò alle sue operazioni ignorando il ragazzino. Il giorno era ormai al termine e Francesco aveva perso le speranze di poter vedere il Sole prima di rientrare a casa. Stava uscendo dal castello quando davanti a lui apparve uno spettacolo meraviglioso: la luce del Sole al tramonto filtrava attraverso le nubi colorando il cielo con centinaia di sfumature differenti. Sembravano le pennellate luminose di un artista su una immensa tela. Se il cielo fosse stato terso e limpido Francesco avrebbe visto soltanto un disco arancione nascondersi dietro l’orizzonte. Il mago delle nuvole aveva fatto un ottimo lavoro faticando tutto il giorno.
Francesco tornò a casa consapevole che tutto ha un senso. Anche le cose che sembrano oggettivamente brutte lo hanno, anche se quel senso non è immediatamente comprensibile.

Nubi al tamonto

Ispirato dalla mia fidanzata che, guardando il cielo nuvoloso, ha detto, come fa di solito: “Oggi ci sarà un bel tramonto”

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