Sbocciata!

Passiflora

Da quando ho scoperto il bocciolo, ho atteso ogni giorno di vederlo aprirsi. Andavo a guardare i progressi nel timore che il suo sviluppo si interrompesse perché – capita anche questo – c’era la probabilità di trovarlo per terra non ancora aperto.
Stavo lì a guardare e a volte mi veniva pure il nervoso perché non si apriva subito, perché ci metteva così tanto.

Non era sotto il mio potere: non potevo decidere io quando si sarebbe aperto e quali colori e forme mi avrebbe mostrato. Sì, sapevo che tipo di fiore avrebbe fatto, ma non sapevo precisamente le forme e i colori che avrebbe avuto. L’unica cosa che avevo teoricamente il potere di fare era interrompere io stesso quella cosa che si stava costruendo giorno dopo giorno. Se l’avessi fatto avrei certo posto fine all’attesa, perché non ci sarebbe stato più nulla da attendere, ma avrei impedito l’avverarsi della bellezza di quel fiore. Distruggere è alla portata di tutti, creare no.

Dobbiamo imparare la pazienza e il valore dell’attesa. Ogni minuto impiegato nel contemplare un progetto che si compie è un valore aggiunto all’avvenimento atteso. È facile impedire la bellezza, interrompere le attese, distruggere ciò che è in costruzione, ma farlo significa privarsi di un inestimabile valore. Cerchiamo di non anteporre la vita facile, con le sue scorciatoie distruttive, al valore della bellezza che ci attende. La nostra attesa sarà premiata.

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Il curatore

Si erano fatti strada nella giungla selvaggia per giorni e giorni, marciando con difficoltà, combattendo gli insetti mentre l’aria umida faceva ristagnare il sudore. Il quindicesimo giorno, i due esploratori trovarono una radura. La giungla si fermava di netto, lasciando il posto ad uno spettacolo di colori floreali.

«È stupendo – disse il primo – qualcuno deve sicuramente curare questo terreno». L’altro non era d’accordo: «Mah, potrebbe essere tutto spontaneo». «Aspettiamo e vediamo» rispose il primo. Così montarono le loro tende e si misero ad aspettare, ma dopo un paio d’ore ancora non si vedeva nessuno. Il terreno era veramente vasto: il misterioso curatore poteva essere stato in altre zone non a vista ed essere quindi passato inosservato.
Poiché sarebbe stato faticoso montare la guardia nella notte ad aspettare qualcuno che non sarebbe mai arrivato, il secondo esploratore disse sprezzante: «Tagliamo la testa al toro. Ora ci penso io!». Stufo di aspettare prese il filo spinato ed eresse una recinzione, che elettrificò. «Se viene qualcuno – disse soddisfatto – non ci sfuggirà».
Nessun grido di dolore fu udito durante la notte e il mattino dopo nessun corpo fu notato durante l’accurata ronda.

Mentre i due abbandonavano il terreno in cerca di qualcosa di più eccitante, lassù, in cima alla rupe, vestito di foglie intrecciate, li osservava seduto un anziano e calmo signore. «Che maleducati – pensò – Sono entrati nel mio giardino nel giorno di riposo e, non contenti, mi hanno pure messo filo spinato ovunque… – Un lungo sospiro non interruppe il pensiero – Ma perché, invece di venirmi a cercare, mi hanno tenuto alla larga dal mio stesso giardino? Cosa volevano? Che morissi per loro su quel fino spinato?».
I due figuri dovevano essere senza dubbio dei malintenzionati. Quando fu certo di essere di nuovo solo, il vecchio si alzò con il suo bastone in mano e incamminandosi concluse il suo pensiero: «Boh… Forse avrei dovuto farlo…».
Quante volte siamo stati avventati e impazienti? Quante volte non abbiamo saputo cercare e, non trovando, abbiamo smesso?  Che si tratti di metodo o di pazienza o di apertura mentale, se non riusciamo a vedere qualcosa è molto probabile che il motivo siamo noi stessi.

Giardino

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Zucche per l’acqua

Esiste un particolare tipo di zucche che non viene coltivato per essere mangiato. Si tratta della Lagenaria siceraria, un rampicante parente delle zucchine che produce dei frutti con due lobi – uno superiore più piccolo e uno inferiore più grande – separati da un collo più o meno stretto. La peculiarità di questi frutti è che, raccolti per tempo e lasciati essiccare completamente, si svuotano completamente della polpa e induriscono la buccia esterna in modo del tutto automatico. Quando il frutto è pronto, agitandolo produce il suono dei semi che all’interno sono liberi di muoversi. A questo punto basta praticare un foro sulla sommità per permettere la fuoriuscita dei semi e poi richiuderlo con un tappo di sughero per ottenere una borraccia per l’acqua.

Si dice che questi frutti siano fra i primi ad essere stati utilizzati dall’uomo. Gli impieghi che queste zucche hanno trovato sono innumerevoli: oltre a contenitori di fluidi, sono usate come cassa di risonanza per strumenti musicali e addirittura come lampade ornamentali o come nido per alcuni uccelli che si nutrono di zanzare (vedi qui).

Non è proprio una meravigliosa coincidenza che esista un frutto del genere? Sembrano essere proprio la risposta scontata e naturale al bisogno dell’uomo di portarsi da bere nelle lunghe camminate. C’è da restare stupiti da come questi frutti a forma di borraccia si adattino perfettamente, naturalmente, automaticamente – quasi come una predisposizione programmata – all’esigenza umana.

borraccia di zucca vuota

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Vitamina C

Durante l’inverno è facile prendersi il raffreddore e l’influenza: il freddo abbassa le difese immunitarie e i germi se ne approfittano. Per questo motivo occorre prevenire i malanni rafforzando le proprie difese. A questo scopo la cosa più semplice da fare – e la prima ad essere consigliata dagli esperti – è assumere della vitamina C. Questa vitamina è presente soprattutto negli agrumi: arance; mandarini; limoni.

Ieri ripensavo all’agrumeto che avevo visto: anche se abbandonato c’erano frutti, seppur piccoli. Gran parte delle piante da frutto che conosciamo fioriscono in primavera e fruttificano in estate. Le arance invece no, fanno praticamente al contrario: sono frutti che maturano durante la stagione fredda. È come se, al ristorante, le pietanze fossero arricchite esattamente con le sostanze che l’organismo del cliente richiede al momento di essere servito.

Non è forse una coincidenza che casca a puntino? Proprio quando ci serve tanta vitamina C, siamo sommersi di arance. C’è da restare stupiti da come questi frutti “fuori stagione” si adattino perfettamente, naturalmente, automaticamente – quasi come un programma di computer – all’esigenza di vitamina C parte di noi umani durante il periodo freddo.

agrumi, vitamina c

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Antivirus

C’era una volta un mondo digitale, un sistema operativo perfetto dove i programmi andavano in run allegramente ed in perfetta sintonia. Un giorno, uno dei programmatori di questo sistema operativo, poiché si sentiva sottopagato (ma non lo era affatto) contaminò tutti i programmi del tipo “super controller” con un virus. Da quel momento i programmi “super controller” – che erano liberi di decidere in qualsiasi momento quali funzioni mandare in esecuzione tra le svariate delle quali erano stati dotati – cominciarono ad essere portati ad eseguire operazioni dannose per loro stessi e per gli altri programmi divenendo, in alcuni casi, incapaci di discriminare il valore dei loro dati. Divennero così contrari allo scopo stesso per i quali erano stati sviluppati.

Il programmatore capo, accortosi del problema pensò ad una soluzione. Poteva eliminare tutti i programmi infetti ma non se la sentiva: aveva dedicato tanto tempo alla loro programmazione, ci aveva speso su tutte le sue energie e il suo amore per crearli così bene. Nonostante il virus era orgoglioso della sua creazione e non voleva distruggerla. Ci voleva un antivirus particolare, qualcosa che annullasse l’effetto dell’infezione trasformando pian piano tutti i programmi senza sprecarne nemmeno uno.

Dopo un po’ di meditazione, il programmatore capo decise di intervenire personalmente. Creò un simulatore di programmi “super controller” per essere riconosciuto dagli altri dello stesso tipo. Per diverso tempo il programma “super controller” simulato – che altri non era che il programmatore capo in persona ai comandi della simulazione – interveniva traducendo pacchetti di istruzioni per i programmi del sistema e, dopo qualche tempo, riuscì a ripristinarne un piccolo gruppo. Era un evento unico ed irripetibile nella storia di quel sistema operativo.

Alla fine del suo lavoro il programmatore capo era molto contento. Quel piccolo gruppo di programmi ripristinati era capace di diffondere la correzione agli altri anche se ci sarebbe voluto molto molto tempo: tra le istruzioni che i “super controller” potevano eseguire c’erano anche quelle di negazione e di rigetto, capaci di impedire la diffusione della correzione. C’era anche qualche programma che si infettava da capo. L’importante però era che il miglior antivirus era stato messo all’opera e si diffondeva nonostante le tempeste informatiche e le scariche virulente che il sistema infetto gli muoveva contro.

Matrix

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Tron

Fra circa un mese uscirà un film intitolato “Tron legacy” o, più semplicemente, “Tron 2“. È il seguito di un film cult del 1982, “Tron” che ho appena finito di guardare per la seconda volta. La prima è stata diversi anni fa in televisione perché questo film sembra non essere gradito quanto le più recenti sciocchezze.

Tron è ambientato nel mondo digitale, immaginando che ogni programma – e perfino ogni bit – abbia una coscienza e viva in un mondo che è, in fondo, molto simile al nostro. Il mondo digitale è infatti una creatura dei programmatori e dei tecnici informatici, i quali trasmettono nelle loro creazioni parte della loro essenza e creatività. Gli abitanti del mondo digitale chiamano infatti “creativi” le misteriose entità che creano i programmi ed è curioso che il protagonista del film riconosce dal loro volto le creazioni dei suoi amici programmatori.

Con un raggio ad alta tecnologia Flinn, un ex programmatore al quale hanno rubato il copyright dei giochi da lui creati, viene catapultato nel mondo digitale. In questo mondo parallelo dovrà scontrarsi con il regime del master control program, che cerca di reprimere ogni vaga impressione che i creativi esistano veramente. Il master control program sa benissimo che i creativi esistono ma conviene al suo regime che i programmi assoggettati pensino il contrario. Infatti si può vedere lo sconcerto nei subalterni del master control program quando viene loro comunicato di aver catturato proprio un creativo. Un film da vedere.

Tron

Trovate i trailers di Tron legacy qui e qui (ita).

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La compilazione

I computer e gli esseri umani non parlano la stessa lingua. Costantemente ci sono degli algoritmi che si occupano soltanto di tradurre il linguaggio del computer in qualcosa che l’operatore possa capire osservandolo su uno schermo o sentendolo dagli altoparlanti.
Anche insegnare ad un computer un determinato algoritmo non è cosa facile. Ci sono – è vero – persone che hanno imparato il linguaggio macchina e ci capiscono qualcosa ma la maggior parte dei programmatori usa una lingua intermedia, un linguaggio di programmazione che sia facile da capire sia per il computer, sia per il programmatore. Quando la scrittura del programma in linguaggio di programmazione è terminata, questo viene tradotto in linguaggio macchina attraverso la “compilazione”.

Ora, immaginiamo di essere una delle tante istruzioni compilate qualche decina di cicli macchina fa e che questo processo non sia ancora terminato. Attorno alla nostra istruzione vengono dichiarate variabili che saranno usate da istruzioni che  il compilatore tradurrà soltanto fra cinquanta cicli macchina. Altre istruzioni circondano la nostra protagonista senza che si capisca bene il loro scopo e il motivo della loro esistenza.
Cosa concluderebbe la nostra istruzione, dopo soltanto due cicli di pensiero? Concluderebbe che il mondo che la circonda sia formato da cose prive di senso, buttate lì perché c’era spazio libero.

Potrebbe mai immaginarsi, la nostra istruzione, che fra qualche migliaio di cicli il programma sarà terminato e potrà svolgere il compito per il quale è stato scritto? Potrà mai figurarsi che tutte quelle istruzioni siano state scritte con un preciso scopo e una specifica funzione?
Quando il programma sarà interamente compilato ed eseguito, quando l’istruzione passerà dal disco rigido alla memoria volatile del computer, ogni byte avrà un significato e una funzione.

Matrix

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Il soffio

In una valle del Giappone viveva, tanto tanto tempo fa, un anziano signore che poteva vantare un giardino di estrema bellezza. Aveva cominciato costruendo uno steccato dipinto con il colore del cielo stellato; aveva messo delle piccole lanterne qua e là affinché il suo giardino potesse essere apprezzato anche di notte. Anche se ancora non c’era nulla di apprezzabile, il paziente vecchietto aveva già in mente come sarebbe stato il suo giardino.

Gli anni passavano ed il giardino cominciava a prendere forma. Aveva scavato un ruscello per irrigare meglio la grande varietà di piante e fiori che aveva coltivato.
Un giorno cominciò a decorarlo con delle forme che ricavava dalla carta colorata. All’inizio faceva solo delle figure geometriche ma poi migliorò costantemente  realizzando delle figure stilizzate di animali di ogni tipo.

Il giardino era quasi finito e l’anziano signore passeggiava fra le sue creazioni. Quegli animali erano tutti delle sagome più o meno bidimensionali, figure che non racchiudevano un volume dentro loro. «Voglio fare qualcosa che sembri vivo, che abbia un suo volume» pensò l’artista.
Prese un altro foglio di carta colorata e lo piegò riflettendo bene. Non era difficile e sembrava stesse facendo uno dei soliti animaletti. In effetti non differiva molto dalle altre creature che aveva modellato: era fatto di carta come le altre creature; era bidimensionale e immobile come le altre creature.

L’unica differenza era un piccolissimo foro nella sua parte inferiore.
L’anziano artista prese la sua creatura appena modellata, la portò vicino alla bocca e soffiò dentro il piccolo foro. «Ecco! Era proprio questo ciò che volevo». La gru che aveva creato era diventata speciale grazie a quel soffio: uguale nel materiale e nella tecnica alle altre creature ma meravigliosamente unica perché non più bidimensionale.

Origami

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