Accadde proprio lì

Maria era stracotta di un suo compagno di classe, Antonio. Si sorprendeva spesso ad osservarlo intensamente; lo sguardo fisso su di lui; il tempo come rallentato mille volte cosicché ogni istante sembrava avere la durata di intere ore. Era successo poche volte che anche lui si voltasse verso di lei e, anche se si trovava all’altro capo della stanza, quell’incrociarsi di sguardi, pupilla contro pupilla, generava in Maria effetti di potenza paragonabili ad un uragano.
I due si scambiavano anche qualche parola ma la ragazza non aveva mai confessato i suoi sentimenti. Non pensava di essere considerata da Antonio qualcosa di più che una buona amica ma, in fondo al cuore, aveva come la sensazione che i suoi sentimenti fossero ricambiati.

Per il suo compleanno Maria aveva organizzato una piccola festicciola a casa sua. Aveva invitato diversi amici e, certamente, non si era lasciata sfuggire l’occasione di invitare anche Antonio. Ad un certo punto della festa, si era deciso di divertirsi tutti con un gioco da tavolo. Si rideva, si scherzava ma, mentre si giocava, Antonio si accorse che Maria non c’era. Alzatosi la andò a cercare.
Si incrociarono, anzi scontrarono, in un angolo tranquillo della casa. In quell’angolino anonimo, mentre si sentivano le risate dei loro amici provenire dall’altra stanza, avvenne la cosa più inaspettata e straordinaria che Maria potesse immaginare.

Anche a distanza di diversi giorni, a Maria bastava uno sguardo verso quell’angolo della casa per rievocare quell’istante meraviglioso. Decise allora di proteggere quel luogo dal tempo: sarebbe rimasto per sempre così, esattamente come quel giorno.
Non fu facile: dovette imporsi sui genitori e arrivare, qualche volta, al litigio; ne aveva straordinaria cura. Con il passare degli anni fece di tutto per restare in quella casa quando i genitori si trasferirono altrove. Anche quando era una mamma, non permetteva ai figli di giocherellare in quella zona e, quando furono abbastanza grandi, spiegò loro anche perché.
Ora, accompagnata dagli acciacchi dell’età, teneva per mano la nipotina e si preparava a raccontare ancora una volta la storia di quel luogo: «È proprio qui che il nonno ed io ci scambiammo il nostro primo bacio. È rimasto esattamente come quel giorno». Gli occhi della ragazzina erano pieni di stupore per quel luogo sopravvissuto per quasi un secolo ai cambiamenti che avevano subìto la casa e i suoi abitanti.

Quando in un dato luogo avviene qualcosa di veramente grande, una sorta di “big bang” della nostra storia, si tenta in tutti i modi di conservarlo, di preservarlo. Quel luogo, che prima era anonimo e uguale a tanti altri, non è più lo stesso: si carica di memoria e ne diventa segno tangibile, testimone di un avvenimento.

Soglia

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Io robot: cuore e cervello

Isac Asimov ha dedicato molti dei suoi scritti all’intelligenza artificiale e ai robot, in generale. Mi è casualmente ritornato il pensiero su un film ispirato dai racconti di Asimov, “Io robot“, e sul protagonista robotico, Sonny.
Sonny è un robot “unico” nel suo genere, dimostra di avere dei sentimenti, di non essere puramente analitico o puramente logico; riesce addirittura ad avere dei sogni. Le sue qualità derivano da un elemento che altri robot non hanno: un cervello “doppione” che sta nel suo torace e che è apparentemente in contraddizione con il cervello “ordinario” che si trova nella sua scatola cranica.

Sonny ha un Cuore. Un cuore cibernetico, qualcosa che la libertà della narrativa di fantascienza permette di conferire anche ad una creazione dell’uomo. Possiamo però dire che Sonny è più “umano” dei suoi fratelli robot proprio perché ha questa parte tanto fondamentale e diffusa tra gli uomini quanto assente nei robot.
Ciò che rende un umano veramente “umano” è il Cuore. Non a caso una persona che si dice “senza cuore” non è umana. Entrambe le entità, Cuore e mente, devono coesistere ed essere valutate per la grande importanza che hanno senza far prevaricare l’una a scapito dell’altra. Rinunciare al proprio Cuore per valorizzare eccessivamente la “ragione”, la logica e il conseguente materialismo significa auto-infliggersi una mutilazione.

Ci sono persone, ahimè, che per qualche motivo – suppongo qualche brutto evento che ha ferito il loro Cuore – hanno deciso di farne a meno. Sarà anche logico – se non c’è un cuore non c’è niente da ferire – ma è ingiusto e sbagliato, innanzitutto verso sé stessi. L’uomo è un essere razionale ma è anche un essere che non può basare la sua esistenza solo sulla ragione asettica di un pensiero eccessivamente logico. Il risultato più evidente di un’umanità vissuta pienamente è la bellezza della creatività, della passione e della ricerca di quel qualcosa che va oltre i confini biologici di un organo ospitato all’interno del cranio. Il Cuore trascende la materialità del cervello eppure è ciò che ci spinge verso le cose più grandi.

Sonny, Io robot

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Fumetto sperimentale

Fumetto - Prima parteFumetto - seconda parte

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Deformazione professionale

Recenti studi neuropsichiatrici hanno evidenziato che utilizzare uno strumento modifica il cervello. Riflettendoci è una cosa quasi scontata: man mano che uso uno strumento “imparo” ad averne maggiore dimestichezza adattandomi con plasticità. In fondo, modi di dire come “deformazione professionale” descrivono bene questi effetti. Esiste però un limite oltre il quale questa “deformazione” diventa nociva?

Uno strumento che è ormai diffuso in ogni casa è la televisione. La televisione ci ha abituati ad essere spettatori, ad un rapporto privo di interazione con quanto ci viene proposto, ma ci ha anche abituati allo zapping: se un programma non mi piace, cambio canale; se non so cosa guardare, cambio canale. La cosa è ancora più marcata quando l’offerta di canali si aggira attorno al centinaio.
La conclusione di queste abitudini, quando non riusciamo a separare la vita davanti allo schermo da quella a contatto con il resto del mondo, è che pretendiamo di poter fare zapping anche con tutto ciò sul quale pensiamo di avere il benché minimo potere. Ci scegliamo gli amori, ci scegliamo la carriera, ci scegliamo il cibo, il momento per uscire, le attività della giornata, il valore stesso della propria esistenza e di quella degli altri. È così almeno finché non sopraggiunge un “imprevisto” che riporta la realtà ad imporsi sui nostri capricci.

Altro strumento è Facebook. Mi è capitato in questi ultimi giorni di sperimentare “l’effetto Facebook” cioè la trasformazione dei propri contatti e amici in una facciata web, con annessa matrice di pixel (fotografia) ed insieme di caratteri (contenuto dello stato). Quando smettiamo di vedere la persona, oltre il dato numerico che ci viene presentato attraverso la pagina, il nostro comportamento degenera rapidamente: una pagina web si può insultare, offendere e ridicolizzare quanto vogliamo; una persona che abbiamo davanti e ci guarda negli occhi no, specie se è un “amico”. Quanto più l’ideologia scende al livello della tifoseria da stadio, tanto più sostituirò la stima personale ed il rispetto con le loro antitesi.
Tutto ciò non è prerogativa di Facebook: succede praticamente con qualsiasi cosa della quale, per un motivo o per un altro, perdiamo il valore.

La nostra riflessione non deve però condurci a proibire la televisione o Facebook, come per soddisfare una qualche legge del taglione, ma deve produrre un’attenzione particolare, un costante richiamo al valore delle proprie amicizie e ad un corretto rapporto con il reale.

 

Internet cane

"su internet nessuno sa che sei un cane"

 

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Il campo di forza

Quando, circa cento anni fa, gli Attanistei avevano iniziato a solcare gli immensi spazi del cosmo, le loro navi non erano nulla di speciale: corazze in metallo; propulsori a curvatura; armi a particelle. Vedevano lo spazio interstellare come un immenso mare da esplorare con innumerevoli porti ad attenderli, popoli da conoscere, mondi da esplorare. Quanto di più affascinante un popolo aveva da dare loro lo accoglievano arricchendosi e poi facevano altrettanto con tutto ciò che avevano visto e imparato.

Purtroppo anche lo spazio nasconde delle insidie. Oltrepassata la nube di Liodo, gli Attanistei furono assaliti più e più volte dai pirati dello spazio. Ci fu pure una volta in cui gli assalitori non erano in cerca di mercanzie ma di materiale biologico. Gli Attanistei, che erano un popolo sensibile e aperto, si erano fatti imbrogliare e uccidere fin troppo: subivano il dolore e il male come assorbivano la bellezza degli altri popoli.
Fu così che gli Attanistei cambiarono, si chiusero. Per loro era amico solo un altro Attanisteo, tutti gli altri erano nemici e si doveva attaccare prima di diventare il bersaglio. Inventarono un potente campo di forza che respingeva ogni cosa e si dotarono di armi veramente pericolose.

Successe allora che, per un guasto al sistema di traduzione, vi fu un equivoco e aprirono il fuoco contro una nave di Arsictini, colpevoli solo di esistere. Quelli si difesero ma il campo di forza riflesse all’indietro i colpi e tutto l’equipaggio di quella nave morì.

Ci sono persone che, dopo aver vissuto delle sofferenze e dei momenti negativi, costruiscono come un muro, pesante, oppressivo, spesso, intorno al loro cuore. Se ridono, lo fanno con un retrogusto di amarezza, quando si sbeffeggia l’avversario politico o ideologico. Se provano un sentimento, questo è solo un rancore che non si riesce a sedare, neanche vincendo le battaglie in nome della propria ideologia. In alcuni casi, il muro è così spesso, che queste persone si riducono a delle macchine: per non soffrire più eliminano completamente tutto ciò che giudicano non razionale e logico.
L’uomo non è soltanto “mente” e tessuti. Di ogni essere umano è importante il cervello ma è ugualmente importante il cuore, inteso non come muscolo cardiaco ma come nocciolo ineffabile, elemento centrale della coscienza situato al di là della sfera logica. Se scegliamo di rinunciare al cuore, rinneghiamo la nostra umanità.

Scudo spaziale

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Discipline

Un buon pensatore, si sa, non ha il cervello diviso in compartimenti stagni. È vero che il sapere umano è diviso in discipline sempre più specifiche, ma questa suddivisione è il risultato del desiderio di ordine che c’è nel cuore umano; un desiderio di perfezione che è sempre esistito. Che il sapere umano sia diviso in discipline non significa però che non debbano esserci punti di contatto o che non si debba poter armonizzare tutto entro un’unica visione.

Spesso si sente dire che certe discipline non dovrebbero esistere perché sarebbero in contraddizione con altre o, addirittura, inutili. Un poeta, per esempio, non può parlare anche lui di scienza? La disciplina del poeta bada più all’emozione mentre quella dello scienziato ai meccanismi naturali, ma ha senso dire che quanto scoperto dallo scienziato sia vero mentre il poeta mente sempre? No: quando il poeta parla della gioia di scoprire i meccanismi della natura o della passione di un uomo che passa tutta la notte aspettando quel risultato che ha cercato tutta la vita, non sta mentendo.

Non c’è infatti da stupirsi dell’esistenza di scienziati poeti o scienziati filosofi o scienziati con cariche religiose. Non c’è soprattutto da stupirsi se queste persone non vivevano alcuna contraddizione nelle loro attività; non avevano alcuna schizofrenia nel passare dall’una all’altra, non avevano argomenti da ignorare volutamente per evitare contrasti interiori. Solo una persona superficiale potrebbe averne o ipotizzarne la presenza in qualcuno.

Discipline diverse che badano ad aspetti differenti della realtà non solo hanno punti di contatto, ma possono anche essere entrambe contemporaneamente vere senza contraddirsi vicendevolmente. Vale per la scienza e la letteratura come per la filosofia e l’ingegneria, la storia e la meteorologia, la geografia e l’economia.
Chi cerca le contraddizioni o cerca di costruirle  non fa altro che privarsi da sé di quella porzione di conoscenza che altrimenti lo arricchirebbe e lo fa perché ha deciso che quella porzione di realtà non ha diritto di esistere. La realtà però non obbedisce all’imposizione del singolo né del gruppo: si impone su ciascuno di noi e l’unica cosa che possiamo fare è viverla, accettandola, o rifiutarla, chiudendoci dietro un’ideologia.

Scienza

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