Protagonisti o spettatori

Quante volte, guardando un bel film d’avventura come Indiana Jones o Guerre stellari o Il signore degli anelli, abbiamo desiderato o immaginato di essere dentro l’avventura affrontando pericoli ed esplorando l’ignoto?
Sperimentiamo un certo piacere e delle belle emozioni standocene comodamente seduti davanti ad uno schermo, senza però riflettere sul fatto che esse siano il frutto di qualcosa che ci viene messo davanti, una rappresentazione di una realtà che non ci appartiene, che non stiamo vivendo.

No: non è assolutamente una critica ai film d’avventura. Vivere un’avventura, una storia, non è la stessa cosa che assimilarla passivamente. Vivendo qualcosa essa ti appartiene; è tua ogni singola emozione, ogni minuto che passa; ne sperimenti integralmente gioie e dolori, botte di fortuna e difficoltà. Vivere significa questo. Certo, essere protagonisti di un’avventura in costante realizzazione impedisce di sapere come va a finire la storia; pone anzi il rischio di non giungere ad un lieto fine. Nonostante ciò è più bello vivere un’avventura da protagonisti che scoprirsi spettatori di una storia inventata di sana pianta.

La realtà, la verità del mondo circostante è un’avventura da vivere. Spesso preferiamo vivere la felicità di un “lieto fine” impacchettato e pronto all’uso; una falsità che ci può dare, al limite, lo stesso piacere di uno spettatore; una storia che degli attori ci stanno raccontando e che noi scegliamo di proseguire perché, in fin dei conti, è meno faticosa e più piacevole. In altre parole, aderiamo ad una ideologia.
Spenta la televisione, dobbiamo però fare i conti con la realtà. A differenza delle fiction, la realtà consente di essere vissuta da protagonisti, di verificare sulla nostra carne, sulla nostra coscienza e sulla nostra felicità la fondatezza di quanto riteniamo vero. Quando si conosce la verità e la si vede in ogni cosa – compresa la sofferenza – “rigare dritto”, giungere al lieto fine diventa solo una naturale conseguenza e non più uno sforzo della volontà.

Spettatori

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Io robot: cuore e cervello

Isac Asimov ha dedicato molti dei suoi scritti all’intelligenza artificiale e ai robot, in generale. Mi è casualmente ritornato il pensiero su un film ispirato dai racconti di Asimov, “Io robot“, e sul protagonista robotico, Sonny.
Sonny è un robot “unico” nel suo genere, dimostra di avere dei sentimenti, di non essere puramente analitico o puramente logico; riesce addirittura ad avere dei sogni. Le sue qualità derivano da un elemento che altri robot non hanno: un cervello “doppione” che sta nel suo torace e che è apparentemente in contraddizione con il cervello “ordinario” che si trova nella sua scatola cranica.

Sonny ha un Cuore. Un cuore cibernetico, qualcosa che la libertà della narrativa di fantascienza permette di conferire anche ad una creazione dell’uomo. Possiamo però dire che Sonny è più “umano” dei suoi fratelli robot proprio perché ha questa parte tanto fondamentale e diffusa tra gli uomini quanto assente nei robot.
Ciò che rende un umano veramente “umano” è il Cuore. Non a caso una persona che si dice “senza cuore” non è umana. Entrambe le entità, Cuore e mente, devono coesistere ed essere valutate per la grande importanza che hanno senza far prevaricare l’una a scapito dell’altra. Rinunciare al proprio Cuore per valorizzare eccessivamente la “ragione”, la logica e il conseguente materialismo significa auto-infliggersi una mutilazione.

Ci sono persone, ahimè, che per qualche motivo – suppongo qualche brutto evento che ha ferito il loro Cuore – hanno deciso di farne a meno. Sarà anche logico – se non c’è un cuore non c’è niente da ferire – ma è ingiusto e sbagliato, innanzitutto verso sé stessi. L’uomo è un essere razionale ma è anche un essere che non può basare la sua esistenza solo sulla ragione asettica di un pensiero eccessivamente logico. Il risultato più evidente di un’umanità vissuta pienamente è la bellezza della creatività, della passione e della ricerca di quel qualcosa che va oltre i confini biologici di un organo ospitato all’interno del cranio. Il Cuore trascende la materialità del cervello eppure è ciò che ci spinge verso le cose più grandi.

Sonny, Io robot

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Il campo di forza

Quando, circa cento anni fa, gli Attanistei avevano iniziato a solcare gli immensi spazi del cosmo, le loro navi non erano nulla di speciale: corazze in metallo; propulsori a curvatura; armi a particelle. Vedevano lo spazio interstellare come un immenso mare da esplorare con innumerevoli porti ad attenderli, popoli da conoscere, mondi da esplorare. Quanto di più affascinante un popolo aveva da dare loro lo accoglievano arricchendosi e poi facevano altrettanto con tutto ciò che avevano visto e imparato.

Purtroppo anche lo spazio nasconde delle insidie. Oltrepassata la nube di Liodo, gli Attanistei furono assaliti più e più volte dai pirati dello spazio. Ci fu pure una volta in cui gli assalitori non erano in cerca di mercanzie ma di materiale biologico. Gli Attanistei, che erano un popolo sensibile e aperto, si erano fatti imbrogliare e uccidere fin troppo: subivano il dolore e il male come assorbivano la bellezza degli altri popoli.
Fu così che gli Attanistei cambiarono, si chiusero. Per loro era amico solo un altro Attanisteo, tutti gli altri erano nemici e si doveva attaccare prima di diventare il bersaglio. Inventarono un potente campo di forza che respingeva ogni cosa e si dotarono di armi veramente pericolose.

Successe allora che, per un guasto al sistema di traduzione, vi fu un equivoco e aprirono il fuoco contro una nave di Arsictini, colpevoli solo di esistere. Quelli si difesero ma il campo di forza riflesse all’indietro i colpi e tutto l’equipaggio di quella nave morì.

Ci sono persone che, dopo aver vissuto delle sofferenze e dei momenti negativi, costruiscono come un muro, pesante, oppressivo, spesso, intorno al loro cuore. Se ridono, lo fanno con un retrogusto di amarezza, quando si sbeffeggia l’avversario politico o ideologico. Se provano un sentimento, questo è solo un rancore che non si riesce a sedare, neanche vincendo le battaglie in nome della propria ideologia. In alcuni casi, il muro è così spesso, che queste persone si riducono a delle macchine: per non soffrire più eliminano completamente tutto ciò che giudicano non razionale e logico.
L’uomo non è soltanto “mente” e tessuti. Di ogni essere umano è importante il cervello ma è ugualmente importante il cuore, inteso non come muscolo cardiaco ma come nocciolo ineffabile, elemento centrale della coscienza situato al di là della sfera logica. Se scegliamo di rinunciare al cuore, rinneghiamo la nostra umanità.

Scudo spaziale

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Rappresentazioni

In matematica, una funzione è una legge che lega gli elementi di un insieme detto dominio agli elementi di un secondo insieme detto codominio. Il caso più semplice è che ad ogni elemento del dominio corrisponde uno e un solo elemento del codominio, in tal caso si dice che la funzione è biettiva. Si dice che una funzione è invece suriettiva quando ad un elemento del codominio può corrispondere più di un elemento del dominio.

Quanto accade nella matematica si verifica, in realtà, anche nel mondo più pratico e tangibile del linguaggio e della comunicazione, soprattutto quando si cerca di rappresentare qualcosa per la quale non esiste un nome, per la quale non c’è una parola o un insieme di parole che possano rappresentarla interamente.
Si verifica soprattutto quando noi che viviamo nell’insieme, meno completo, del codominio cerchiamo di rappresentare un qualche oggetto del ben più vasto dominio, un oggetto che probabilmente condivide la sua rappresentazione con un altro o altri oggetti del suo insieme. Possiamo forse dire che paura, amore ed eccitazione sono la stessa emozione solo perché tutte e tre fanno ugualmente palpitare il cuore?

È come chiedere ad un abitante di flatlandia di commentare un quadro nel quale si sia fatto uso della prospettiva: solo chi vive nel mondo più vasto del tridimensionale può dire che quel quadro rappresenta strade, case e ponti mentre l’abitante di flatlandia vede solo triangoli, quadrati e archi.
Allo stesso modo, la persona rozza tenderà a confondere tutte le cose che conducono alle stesse manifestazioni esteriori: vedrà la mera pulsione dei sensi e il vero amore con lo stesso sguardo perché conducono entrambi allo stesso atto materiale.

Un eccessivo scetticismo conduce ad essere abitanti di flatlandia: a cercare di spiegare il mondo limitandoci ad usare il nostro insieme finito; a confondere fra loro cose distinte ma dalla medesima apparenza; a non fare uso di quella sensibilità che ci permette di vedere al di là delle rappresentazioni e di comprendere la vera natura di ciò che accade.

Proiezioni

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