Radiazioni, queste sconosciute

Qualcuno, già leggendo la prima parola del titolo, si sarà spaventato. Quanta paura, paura per cosa? Una cosa naturale, naturalissima, forse tra le responsabili della nostra stessa esistenza e presenza nell’universo. Ne siamo pervasi, ne siamo persino sorgenti. Un eccesso ci fa male – vero – come l’eccesso in qualsiasi cosa. Qualsiasi.

La differenza con tutte le altre cose è che non vediamo le radiazioni, o meglio, vediamo solo ciò che i nostri sensi riescono a vedere: la radiazione dal rosso al violetto. Eh, già! Si chiama radiazione nel visibile. Anche l’eccesso in quella fa male, con scottature e abbagli, ma fa meno paura perché è visibile, perché è conosciuta.
Chi conosce anche le altre radiazioni impara ad usarle per indagare il mondo, come se fossero i suoi nuovi occhi. C’è addirittura chi le usa per curare le persone. Eh, già! Un fascio di radiazioni ben collimato e ben selezionato in energia è più efficace di un bisturi e molto meno doloroso – anzi – per nulla doloroso. Per non parlare di radiografie, TAC, liquido di contrasto…

Nella natura, ogni animale sa che dietro un angolo inesplorato può nascondersi un predatore; che ogni cosa che non sia ordinaria è un potenziale pericolo. L’animale teme l’ignoto e lo evita. Anche noi, belli cresciuti e razionali, sentiamo l’istinto di temere ciò che non conosciamo. Un istinto che ci fa agire in due modi: o gli diamo retta ignorando l’analisi ragionevole e finendo per combattere l’ignoto; oppure filtriamo l’istinto con pensieri più sofisticati e tipici della natura umana, abbattendo il muro della novità e arricchendo la nostra conoscenza. Non è il caso di sottolineare che il vero progresso richiede di agire in quest’ultimo modo.

Radiografia neutroni

Share

Esperimento con il bianchetto

Supponiamo che un vostro amico burlone abbia preso il libro che state leggendo e ve lo abbia restituito dopo aver passato uno strato di bianchetto sul nome di un personaggio del quale non avevate ancora letto nulla. Beh, non potete proprio sopravvivere all’ignoranza di quel nome, perciò vi armate con una lametta e cominciate a raschiare via il bianchetto. Bisogna però fare molta attenzione perché potreste portarvi via anche l’inchiostro.Segni di inchiostro

Dopo un po’ che raschiate appare qualche segmento di una lettera. Uhm… All’inizio vi sembrano segni senza senso. Qualcuno potrebbe anche dubitare che lì sotto vi possa mai essere stato un reale simbolo della vostra lingua e potrebbe anche dire che l’autore del libro, scrivendo un nome alieno, abbia messo macchie casuali di inchiostro. Fase uno: elementi sconosciuti che richiedono interpretazione.

OCR oDopo aver fissato le macchie per un po’, aiutandovi con il testo circostante, capite che la lettera dev’essere dell’alfabeto latino e la disposizione dei segni vi suggerisce che la lettera misteriosa sia una “o”. Qualcuno potrebbe, a questo punto, dichiarare chiusa la faccenda e passare alla lettera successiva. Fase due: teoria.

Bene! Avete una spiegazione che funziona ma, se non siete cattivi utilizzatori del rasoio di Occam, non potete non chiedervi se quei segni sono veramente una “o” o se avete invece preso una cantonata. Una spiegazione semplicissima e perfettamente funzionante non è per forza la migliore, quella che descrive la realtà, la verità.
Vi viene a trovare una vostra amica che vi dice: «Qui c’è un cerchio ma la lettera potrebbe acnhe essere una “q”». Avete due possibilità: ascoltare la vostra amica oppure prenderla per una scocciatrice che vi vuole dare torto sulla vostra bellissima teoria della “o”. Se non siete chiusi mentalmente vi metterete a raschiare intorno per cercare nuovi elementi. Fase tre: apertura mentale. Swgni di inchiostro

Se è vero che lì c’è una “q” allora, raschiando in basso a destra si dovrebbe trovare dell’inchiostro. Con molta fatica riuscite a raschiare un altro po’ di bianchetto ed ecco comparire un altro segno. Cavolo! Eravate proprio convinti che fosse una “o”. Qualcuno però potrebbe dire che il nuovo segno che avete trovato sia soltanto un minuscolo insetto che è rimasto invischiato nel bianchetto e perciò la spiegazione della “o” andrebbe bene ugualmente. Se non siete troppo orgogliosi e, ancora una volta, chiusi mentalmente non la pensate affatto così. Fase 4: verifica.

OCR qSiete certi che la lettera sia una “q”? Se avete imparato la lezione della “o” allora dovreste pensare che ciò che avete trovato può non essere una “q”, anzi, che potrebbero essere diverse lettere o che avete raschiato male. Se siete onesti ed umili allora non andrete a combattere con la dialettica chi vi dice che quei segni sono in realtà una “g” e che, magari, ve lo dice proprio perché quel libro lo ha già letto. Se siete ragionevoli non potete asserire con assoluta certezza che nei vostri segni non c’è e non ci sarà mai una “g” e che pertanto chi sostiene la “g” debba senz’altro sbagliarsi.
Non basta che una teoria spieghi bene i fatti noti e ne preveda alcuni non noti. La posizione onesta, di fronte alla natura, è quella di ammettere di non sapere e, soprattutto, di non negare una cosa, solo perché sembra improbabile o inverosimile, solo perché non rientra nei nostri schemi. Diceva Luigi Pirandello: «Le assurdità della vita non hanno bisogno di parer verosimili, perché sono vere. All’opposto di quelle dell’arte che, per parer vere, hanno bisogno d’esseri verosimili.»

OCR g Nessun libro è stato vilipeso per la realizzazione di questo post

Share

Protagonisti o spettatori

Quante volte, guardando un bel film d’avventura come Indiana Jones o Guerre stellari o Il signore degli anelli, abbiamo desiderato o immaginato di essere dentro l’avventura affrontando pericoli ed esplorando l’ignoto?
Sperimentiamo un certo piacere e delle belle emozioni standocene comodamente seduti davanti ad uno schermo, senza però riflettere sul fatto che esse siano il frutto di qualcosa che ci viene messo davanti, una rappresentazione di una realtà che non ci appartiene, che non stiamo vivendo.

No: non è assolutamente una critica ai film d’avventura. Vivere un’avventura, una storia, non è la stessa cosa che assimilarla passivamente. Vivendo qualcosa essa ti appartiene; è tua ogni singola emozione, ogni minuto che passa; ne sperimenti integralmente gioie e dolori, botte di fortuna e difficoltà. Vivere significa questo. Certo, essere protagonisti di un’avventura in costante realizzazione impedisce di sapere come va a finire la storia; pone anzi il rischio di non giungere ad un lieto fine. Nonostante ciò è più bello vivere un’avventura da protagonisti che scoprirsi spettatori di una storia inventata di sana pianta.

La realtà, la verità del mondo circostante è un’avventura da vivere. Spesso preferiamo vivere la felicità di un “lieto fine” impacchettato e pronto all’uso; una falsità che ci può dare, al limite, lo stesso piacere di uno spettatore; una storia che degli attori ci stanno raccontando e che noi scegliamo di proseguire perché, in fin dei conti, è meno faticosa e più piacevole. In altre parole, aderiamo ad una ideologia.
Spenta la televisione, dobbiamo però fare i conti con la realtà. A differenza delle fiction, la realtà consente di essere vissuta da protagonisti, di verificare sulla nostra carne, sulla nostra coscienza e sulla nostra felicità la fondatezza di quanto riteniamo vero. Quando si conosce la verità e la si vede in ogni cosa – compresa la sofferenza – “rigare dritto”, giungere al lieto fine diventa solo una naturale conseguenza e non più uno sforzo della volontà.

Spettatori

Share

Supposizioni

Siamo più o meno tutti abituati all’idea di una scienza abbastanza “rigida” che avanzi con certezza e passo sicuro trasformando l’oscurità dell’ignoto in luminose descrizioni della natura. Questa idea di scienza – che mi chiedo chi o cosa l’abbia mai potuta inculcare nella gente – svanisce proprio quando si comincia a lavorarci, anzi, appena la si comincia a studiare. Sicurezza e certezza ce n’è ben poca anche nell’esercizio più banale. Non esiste praticamente dimostrazione scientifica o esercizio che non contenga ipotesi e supposizioni.

Una cosa banale: la caduta di un oggetto al suolo. Si deve assumere che l’attrito con l’aria sia trascurabile; si deve ipotizzare che l’oggetto trasli soltanto e non si metta a ruotare; si deve teorizzare di trovarsi in una geometria piana quando in realtà siamo su una sfera; si deve premettere che l’accelerazione di gravità sia effettivamente costante, quando si riduce con l’altezza; si deve supporre che l’accelerazione di gravità nel luogo dove ci troviamo sia la stessa che è scritta sul libro (infatti bisogna supporre che la Terra sia omogenea per poterlo dire); si deve presumere che la legge del moto uniformemente accelerato abbia tutti i termini del suo sviluppo in serie (tranne i primi tre) trascurabili etc.
Insomma, una decina di supposizioni solo per sapere quanto ci sta una penna caduta dal tavolo a toccare il suolo. Per non parlare del calcolo del punto esatto di contatto al suolo…

La scienza avanza per ipotesi, cose non dimostrate e non provate che però sono accettate come vere, reali, effettive. Il metodo scientifico non va oltre l’ignoranza della scienza stessa e perciò deve dare per buone alcune cose, deve cioè fare affidamento alla ragionevolezza. Che qualcosa sia ragionevole non significa obbligatoriamente che sia dimostrabile ma significa che l’ipotesi che facciamo è pensata, “ragionata”, valutata razionalmente. La ragione mi dice che l’America esiste anche se non ci sono mai stato; che quella pallina luminosa nel cielo è il pianeta Giove; che mia madre non usi avvelenare il cibo con il quale mi nutre in virtù dell’amore materno che ha per me e l’amore non si dimostra con una misura o con uno sforzo di logica.

Gli assunti ragionevoli che facciamo, si rivelano spesso corretti, veritieri. Nella vita di tutti i giorni ci sono svariate ipotesi – anche non scientifiche – che sono ragionevoli, alcune delle quali di importanza cruciale per il nostro agire e per il senso che diamo a noi stessi e quanto ci circonda.

H S fluttuazioni cosmiche

Share

The abyss

Oggi parliamo di un film di James Cameron – il regista di Terminator, di Alien e del recente “Avatar” – uscito in Italia nel 1989. The abyss (l’abisso) è un film ambientato sul fondo dell’oceano e, per questo, è stato girato, in parte, in un bacino allagato nel cantiere di una centrale nucleare. In fondo all’oceano, in quell’ambiente “di frontiera” i protagonisti si trovano di fronte a delle misteriose creature luminescenti provenienti dalla vicina fossa oceanica.

Si possono osservare due diversi atteggiamenti di fronte a queste creature. I “buoni” cercano di entrare in contatto, di capire cosa hanno davanti, di scoprire l’ignoto nascosto dietro quelle rapidissime sagome luminose con dovuta prudenza ma senza ingiustificati timori. I “cattivi” sono invece spaventati e, facilitati dalla paranoia di una non identificata “sindrome”, saltano molto presto alla conclusione che quelle creature siano tecnologie di un governo avversario per spiare e distruggere la patria. Mossi da questa conclusione – dettata dalla loro ideologia del “nemico della Nazione” – trafugano una testata nucleare da un sommergibile affondato e la innescano per eliminare per sempre la minaccia.

Questo comportamento lo si nota anche fra la gente comune, ogni volta che ci si trova di fronte a qualcosa di non comprensibile o di inspiegabile, anche e soprattutto se a risultare incomprensibile non è un fenomeno naturale, ma il ragionamento e il comportamento di persone o gruppi di persone. In questo caso, l’ideologia e il pregiudizio fanno il loro mestiere di mettere il gruppo incompreso nei panni del “nemico” da distruggere, con le conseguenze che conosciamo: chiusura mentale, ostilità, critica ad oltranza, denigrazione.

Share

Curiosità e timore

Ieri si passeggiava per il cortile di casa con la nuova gattina di appena tre mesi. Come tutti i gatti, anche lei, mossa dalla curiosità ha esplorato un po’ il terreno attorno alla casa. Con qualche aiutino si era anche spinta sul retro, seppur con un po’ di riluttanza.
Ad un certo punto, non ho ben capito per quale motivo, qualcosa deve averla spaventata. È schizzata via infilandosi nel primo posto buio e profondo che ha trovato. Ha così smesso di godersi l’aria aperta e tutto lo spazio che aveva a disposizione.

Gli esseri umani sono certo gli esseri più curiosi dei quali io abbia conoscenza. Per curiosità abbiamo esplorato il sapere in tutte le direzioni che ci sono consentite però… Però quando ci accorgiamo di esserci allontanati troppo da ciò che era certo e sicuro, dalla spiegazione pronta a tutto ciò che ci aspetta, viene fuori la paura; il timore di non avere tutto sotto controllo, di non avere il dominio di tutto ciò che ci circonda; il timore di non essere padroni nemmeno di noi stessi.

Quante volte ci sottraiamo al meglio che il mondo circostante può offrirci perché non siamo capaci di capire e dominare quel “meglio”? Quante spiegazioni razionali ma ipotetiche ci siamo dati per “esorcizzare” l’ignoto e renderlo qualcosa di comprensibile e, dunque, meno pericoloso? Eppure potrebbe anche esistere gente che studia l’ignoto, non per curiosità, ma per paura…

Gatta

Share