Per cosa combatti

Se cerco il vocabolo “combattere” sul dizionario trovo che viene usato in diverse situazioni ma che tutte, o quasi, le volte che viene usato è accompagnato da una finalità. Per combattere è necessario uno scopo.

Chi è che oggi combatte? Per cosa combatte? Come combatte?
Viviamo in un’epoca di pace, soprattutto rispetto al secolo scorso che ha visto due conflitti mondiali, eppure si combatte ugualmente. Com’è possibile – ci chiediamo – che si combatta in una situazione geopolitica nella quale il nemico più vicino si trova in un altro continente? La battaglia c’è ma viene poco percepita perché si è spostata dal fronte materiale delle armi, delle bombe, della distruzione, dell’omicidio al fronte ideologico.

Il motore che alimenta queste “battaglie” è spesso l’indignazione, il malcontento, uno stato d’animo conseguenza di qualche sopruso subìto o di qualche egoismo che non ha trovato soddisfazione. Ciò di cui è difficile rendersi conto è che anche questo tipo di motore necessita di carburante. Un carburante che viene consumato lentamente ed inesorabilmente finché il motore è acceso, e questo carburante è la persona stessa che fa dell’indignazione il suo motore.
Quel desiderio che vuole la fine di una tal persona, colpevole o innocente che sia, per quanto pessima e deprecabile, finisce per rendere insensibili alla bellezza, incapaci di godere di quel che si ha. Prende pian piano il sopravvento sugli altri pensieri, pensieri belli e carichi di sentimento, creando come un sipario che scende sul mondo.

Sembra impossibile eppure è così: l’oggetto dell’indignazione si presenta nella pausa pranzo come argomento di conversazione; si insinua nelle lamentele (se non ci fosse *** sarebbe meglio); è collegato a tutto e tutto si collega a lui; è argomento di battute e perfino motivo di coesione tra persone che condividono lo stesso risentimento.
Più che vivere è vivacchiare; è perdersi quanto di più bello esiste per inseguire il proprio orgoglio ferito o una rabbia che non finisce mai.

I cavalieri valorosi combattevano il nemico per evitare ad ogni costo che, penetrando nella città, egli potesse distruggere quanto di bello era stato costruito, comprese la famiglia e le persone amate. Si combatteva il gradasso che stava distruggendo il debole; si combatteva per amore.
Se si ama qualcosa (o qualcuno) si è disposti a combattere per essa (egli); non si può combattere – nel senso più nobile del termine – se non per qualcosa (qualcuno) che si ama. L’indignazione non è amore: se l’amore chiama a combattere, l’indignazione chiama a vendicarsi.

La bella dama - Dicksee

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Sorprese di bentornato

Sono tornato a casa. Sono stato via per poco tempo eppure al mio ritorno ho trovato una piacevole sorpresa.

Circa un anno fa avevo seminato delle passiflore. Erano stati ricavati da una pianta adulta che era stata intenzionalmente impollinata per produrre frutto, ma le speranze di ottenere anche una sola pianta “figlia” erano poche. I semi di passiflora sono infatti tra i più capricciosi che esistano per diversi motivi: devono essere accuratamente ripuliti dalla polpa del frutto che ne inibisce la nascita; devono essere “attivati” con l’acqua tiepida; devono trovare un terreno particolare; germogliano anche dopo diversi mesi dalla semina.

Nonostante tutto, quando sono partito, cinque piantine erano già germogliate e si erano arrampicate, intrecciandosi fra loro, su un pergolato opportunamente collocato lì vicino. La fioritura della passiflora avviene ad almeno un anno dalla nascita e non mi aspettavo certo che al mio ritorno avrei trovato il primo bocciolo di questa nuova generazione.
Questo inatteso bocciolo ha suscitato in me stupore e meraviglia, in barba a chi classificherebbe l’accaduto come “una comunissima pianta che ha prodotto un banalissimo fiore”. Il nostro problema è che spesso riduciamo le straordinarie sfaccettature della realtà ad ordinarie banalità chiudendo, in qualche modo, i nostri occhi di fronte alla bellezza e a processi, tutto sommato, incredibili del mondo circostante. È infatti incredibile che quel bocciolo sia nato proprio lì e non altrove e proprio adesso e non dieci giorni fa o il mese prossimo. Ancor più incredibile come da pochi semi venga fuori tutto ciò, inaspettato ma sperato, poco controllabile ma appartenente ad un divenire, gratuito.

Bocciolo passiflora

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Il piatto

Leggevo poco tempo fa un ragionamento che si può riassumere così: “Dimmi come mangi e ti dirò chi sei”. In effetti i modi di approcciarsi al piatto che si ha davanti possono essere diversi. Io, ad esempio, preferisco dividere i vari sapori e demolire la pietanza lasciando l’elemento (o gli elementi) più gustosi alla fine. Lì dove leggevo quel ragionamento, il mio modo di fare era presentato come positivo infatti, mentre la fame rende più gustosi i primi bocconi, il confronto con gli ultimi ne amplifica il buon sapore. In conclusione non si scarta nulla del piatto che si ha di fronte.

Conosco però una persona che mangia, secondo me, ad un livello superiore rispetto a quello appena descritto. Io divido le pietanze, lei le mescola. Invece di classificare i sapori in “più buoni”, “buoni”, “meno buoni” e “cattivi” sperimenta intrecci, fusioni, perfino collaborazioni. Nel suo caso non è detto che un sapore cattivo o meno buono non possa collaborare a rendere il piatto ancora più delizioso. In fondo, se la persona che lascia per ultime le cose buone è elogiata perché non butta via niente, lei fa di più: non cerca soltanto di evitare il rifiuto di ciò che è negativo, ma potenzia la resa totale del piatto facendo uso di tutte le sue parti.

È vero, la vita è come una pietanza che ci viene messa davanti e chi riesce a non tagliarne fuori nulla vivendo senza ideologie è meritevole però è anche vero che non possiamo scegliere di mettere la parte brutta della vita all’inizio e quella bella alla fine. È fatta così: una mescolanza di alti e bassi, di cadute e ascese, di vizi e virtù. Riuscire a farne qualcosa di globalmente significativo sfruttando tutto, facendo convergere anche la nostra miseria in una ricchezza, è ben più che viverne la parte bella tollerando quella brutta.

Piatto separato

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Anche quando piove

Una frase famosa dice: “non può piovere per sempre”. Spesso quando piove parliamo di “maltempo”, non ci piace, stiamo tristi. Però anche la pioggia e il temporale possono nascondere un pizzico di bellezza. Non tutto ciò che al primo sguardo sembra brutto e insopportabile poi lo è fino in fondo. Un altro modo di dire è infatti: “non tutto il male vien per nuocere”.

Qualche giorno fa passeggiavo sotto la pioggia ed, ad un certo punto, non l’ho più trovata così “brutta”. Ho visto le foglie delle piante ondeggiare ripetitivamente; uno strano silenzio isolava il suono grave delle gocce d’acqua che cadevano al suolo. I rivoli accarezzavano sinuosi gli angoli delle case; i passeri si avvicinavano alle pozze per bere.
Probabilmente io non sono in grado di spiegarmi meglio, ma c’è chi l’ha fatto. Un esempio è questo brano di Vivaldi:

Sebbene ci sia una componente impetuosa che incute timore, poi il brano cambia melodia.
Un altro esempio potrebbe essere “La pioggia nel pineto” di D’Annunzio:

[...]
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
[...]

Se si scova il senso e la bellezza in ogni cosa, anche il momento più difficile può trasformarsi in stupore, nella contemplazione di quella vastità più grande e più bella della quale anche il “brutto” tempo fa parte.

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Minimo di potenziale

L’energia potenziale è una di quelle cose della fisica che impregnano praticamente ogni cosa e ogni azione. La nostra stessa sopravvivenza avviene grazie al rilascio dell’energia potenziale chimica proveniente dagli alimenti. Quando usiamo l’ipod o il computer portatile, l’energia potenziale chimica nelle pile viene utilizzata finché non si esaurisce diventando minima. La regola naturale è che tutte le cose tendono a passare da un potenziale più alto ad uno più basso. Per portare perciò qualcosa ad un potenziale più alto, occorre fare uno sforzo, attingere energia da qualche altra parte e compiere un lavoro. Viceversa, non ci vuole niente affinché un oggetto passi da un certo potenziale al suo minimo e, quando lo raggiunge, non ritorna indietro se non si fa un qualche lavoro.

È come creare e distruggere. Creare richiede uno sforzo, richiede creatività, sacrificio, impegno. Distruggere è invece maledettamente facile: ciò che occorre è già a disposizione, creato con fatica da qualcuno, e non è necessario nessuno sforzo particolare per portare al suo “minimo di potenziale” qualcosa che era stata faticosamente elevata. Distruggere qualcosa di bello è però qualcosa di fondamentalmente brutto, come distruggere qualcosa di buono è fondamentalmente cattivo. Di fronte a molte cose delle quali disponiamo, la nostra unica scelta è tra mantenere o distruggere. Possiamo tagliare i capelli ma non comandarne la crescita; possiamo cogliere un fiore ma non decidere se e quando la pianta ne farà germogliare un altro; possiamo togliere la vita ma non darla a nessuno, né tanto meno a noi stessi.

Demolizione

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Cataratte

Una malattia tipica dell’età è la formazione di un’opacità sulle parti dell’occhio che dovrebbero essere trasparenti. Si forma gradualmente sottraendo, anche del tutto, la capacità di vedere. Vedere è una cosa meravigliosa di per sé perché permette di cogliere la bellezza circostante, di godere dello spettacolo che ogni giorno – perché no? – ci si pone davanti. Basta pensare a quante migliaia di fenomeni avvengono proprio davanti ai nostri occhi mentre digitiamo al computer: elettroni che si ricombinano, distribuzioni di probabilità che mutano, fotoni che attraversano lo spazio alla velocità della luce, fenomeni quantistici, chimici, fisici, biologici. C’è un’immensità in quei 30-40 centimetri che racchiudono noi e lo schermo.

Sono però tanti quelli che dicono di non vedere alcuno spettacolo ogni giorno. Vedono l’ufficio, i colleghi, il traffico, le solite quattro mura. Estendendo questo discorso anche alla sfera emotiva si potrebbe continuare a dire che c’è chi percepisce solo la stanchezza del lavoro, i dubbi sul proprio futuro, le difficoltà che impediscono le proprie attività, i rimorsi del passato, i nemici che avanzano, cose spiacevoli praticamente inevitabili.

Quando si fissa troppo a lungo una forte sorgente luminosa o si permane per troppo tempo nella totale oscurità ci si acceca momentaneamente. Più o meno allo stesso modo, si può accecare un cuore con la parte brutta del mondo e con ciò che di negativo ci accade. Quando ci si concentra sulla bruttura – come una goccia di inchiostro nell’acqua pura – essa si diffonde formando una cataratta. Inizialmente questa ingrigisce tutte le cose e poi progredisce finché non rende completamente ciechi di fronte alle cose belle. Allora il rischio che si corre è grosso: invece di catturarle, lasciamo fuggire via, una dopo l’altra, le cose meravigliose. Non si tratta solo di spettacoli visivi ma di una meraviglia, una passione, un apprezzamento per la vita, la propria vita e tutte le vite in generale: la capacità di riconoscere e scovare il bello che altrimenti ci risulta invisibile e restando perduto, sprecato.

Occhio

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Cosa ti perdi

«Sai c’è questo film che mi piacerebbe vedere»
«Ora cerco dove lo proiettano. … Ah, la proiezione è in 3D. Bello!»
«3D?!?!»
«Sì, la nuova tecnologia a lenti polarizzate che ti permette una visione stereoscopica dandoti la sensazione di profondità»
«Noooo. Mi gireranno gli occhi! Lo voglio vedere normale»
«Ma cosa dici… Non sai cosa ti perdi. Vieni a vedere com’è e poi mi dici se ti sono girati veramente gli occhi.»

Questo dialogo è realmente avvenuto fra me e un mio parente. Non so se tutti condividono con me l’idea che il 3D nei cinema sia un “di più” però è difficile non considerarlo una miglioria – certo non essenziale – che aumenta il godimento dello spettacolo. Insomma, chi non lo prova almeno una volta per ostinazione o preconcetto non sa cosa si perde. Possiamo dire che il 3D ci fa stare male e ci fa girare la testa; possiamo dire che gli occhiali che danno in dotazione sono fetidi e non igienici; possiamo dire che tutto sommato i film sono belli anche senza il 3D; possiamo dire che il biglietto costa pure troppo – avendo anche ragione – ma se non proviamo di persona non possiamo mai sapere com’è un film 3D e se il gioco vale la candela.

Il nuovo ci spaventa, ciò che è sconosciuto ci inquieta, allora produciamo le scuse più astute per non affrontare la novità, anche se a volte la novità è una cosa antica e praticata da sempre che ci hanno appena proposto. Se non si sperimenta, nella vita, non si cresce, non si impara a distinguere il bello dal brutto e il negativo dal positivo: si vive dentro un guscio al sicuro da qualsiasi cosa, anche da quelle che potrebbero realmente cambiarci la vita e regalarci stupore e bellezza. Non si deve certo accettare tutto ma se quanto ci viene proposto fa realmente vivere “meglio” la gente, in modo visibilmente più bello, forse è il caso di provare.

occhiali 3D

P.S. Il mio parente, convinto ad andare alla proiezione in 3D ha poi ammesso che non gli sono girati gli occhi e che si è divertito.

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