Un’altra storia

Chiudevo il post precedente con una riflessione lasciata a metà sul nesso tra eventi probabili/improbabili ed eventi possibili/impossibili ed anche eventi che avvengono/ non avvengono.
Ho visto usare il concetto di “probabilità” in diversi modi spesso non propriamente corretti, soprattutto se “l’utilizzatore” era qualcuno che usava il termine secondo una definizione più popolare che scientifica. Credo necessario fare un po’ di chiarezza.

Innanzitutto la probabilità è – matematicamente – il rapporto tra il numero di volte che un evento si verifica e il numero di volte che le condizioni iniziali sono state replicate.  Per fare un esempio, se Robin Hood partecipa al torneo della contea e nell’arco di tutta la competizione scocca la sua freccia cento volte sbagliando il bersaglio una volta, possiamo dire che la probabilità di sbagliare è una su cento. Nessuno però ci garantisce che accumulando tutte le volte che Robin Hood ha scoccato la freccia in tutta la sua vita ci sia stata una percentuale di errori diversa da una su cento. La probabilità misurata in questo modo è infatti un assunto: supponiamo che quanto sia valido per cento frecce lo sia anche per un milione o un miliardo. Tanto più grande è il campione (il numero di frecce), tanto più la probabilità misurata si avvicina a quella reale. Nulla di definitivo però!
Come possiamo osservare, tutto il discorso ha senso per eventi ripetibili e/o ripetuti: di qualcosa della quale abbiamo un’esperienza unica ed irripetibile, neanche nelle condizioni iniziali, non ha senso parlare di probabilità.

A proposito invece degli eventi possibili o impossibili possiamo citare Charles Kittel ed Herbert Kroemer:

Il significato di mai
È stato detto che “sei scimmie che si mettessero a battere a casaccio su macchine da scrivere per milioni di anni finirebbero inevitabilmente per scrivere tutti i libri contenuti nel British Museum”7. Questa affermazione è assurda, poiché porta a conclusioni false sui numeri molto grandi. Vediamo piuttosto se tutte le scimmie del nostro pianeta, in un tempo pari all’intera vita dell’universo, avrebbero potuto scrivere anche un solo libro dato8.
[...]9
la probabilità che l’Amleto sia battuto a macchina da una scimmia in un tempo pari all’età dell’universo è approssimativamente 10-164316. La probabilità è dunque zero a tutti gli effetti, il che vuol dire che l’affermazione riportata all’inizio è priva di senso: nella produzione letteraria delle scimmie non comparirà mai un libro, né tanto meno una biblioteca.
7 - J. Jeans, Mysterious Universe (Cambridge University Press, Cambridge 1930) p. 4. L’affermazione è attribuita a Huxley.
8 - Luis Borges, Finzioni. La biblioteca di Babele, trad. it. (Einaudi, Torino 1978)
9 - dimostrazione a p. 58 di Charles Kittel, Herbert Kroemer, Termodinamica statististica, Boringhieri (1985)

Da Charles Kittel, Herbert Kroemer, Termodinamica statististica,

 Boringhieri (1985) p. 57-58

Scimmia che scrive

Facciamo attenzione a come ci serviamo della statistica e della probabilità per dimostrare o confutare le vicende della vita: le certezze in questo campo sono ben poche e molte di più le insidie. Meglio valutare la verità di un argomento usando altri strumenti.

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Fiori all’ultravioletto

Per certi versi gli insetti ci vedono meglio di noi e i fiori lo sanno. Anche qualche fotografo di frontiera lo sa, perché ha avuto l’intuizione di utilizzare un apposito filtro – e un apposita camera – che gli consentano di vedere ciò che usualmente non può essere visto. Ecco che così un fiore qualunque, uniformemente giallo, mostra un disegno occulto, un’informazione supplementare prima impossibile da vedere.

Quanto ci fidiamo dei nostri sensi, dei nostri occhi, dei nostri strumenti? La parte dell’universo attualmente misurabile, dimostrabile, confutabile, documentabile non è che una minima parte dell’intero cosmo – senza neanche voler ipotizzare che vi possa essere qualcosa di non appartenente alla nostra idea stessa di cosmo…
Ciò che vediamo non è che un minuscolo sottoinsieme di ciò che esiste. Come possiamo pretendere di avere certezza su qualcosa al di là della nostra portata? Di quel fiore giallo posso dire di vedere solo quel suo colore ma non posso pretendere che in quei petali vi sia soltanto ciò che vedo.

Fiore ultravioletto

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Ordine e disordine

Avevo vagamente accennato al disordine parlando di entropia, una quantità legata anche alla reversibilità dei processi naturali, cioè legata alla possibilità di “tornare indietro”, di riportare qualcosa al suo stato iniziale. C’è un film di fantascienza, dal titolo “Punto di non ritorno“, che offre spunti di riflessione anche su questa tematica.

L’equipaggio dell’astronave “Lewis & Clark” è incaricato di raggiungere la “Event horizon”, un’astronave prototipo di grandi dimensioni contenente il primo motore interdimensionale il cui nucleo centrale è una sfera che racchiude un buco nero artificiale. Durante il primo test dell’innovativo motore la Event horizon ha fatto perdere le sue tracce nei dintorni di Nettuno e, dopo molto tempo, era misteriosamente riapparsa nello stesso luogo della scomparsa.
I membri dell’equipaggio della Lewis & Clark, tra i quali c’è anche lo scienziato che ha progettato il motore interdimensionale, scoprono che la Event horizon è deserta ma che una forte attività biologica diffusa viene rivelata all’interno della nave. La (o le) misteriosa entità a bordo proviene dal luogo dove la nave si era trasferita con il suo primo test. Si tratta di una «dimensione di puro caos e puro male», come si apprende dallo scienziato stesso dopo essere stato plagiato dall’invisibile entità, il cui scopo è di attirare nuove prede umane nella sua dimensione.

È particolarmente evidente come più o meno tutti associamo all’ordine un’idea positiva e al caos un’idea negativa. Le forze dell’ordine; andare per ordine; fare ordine; una persona ordinata; l’ordine naturale delle cose; sono tutte espressioni che infondono sicurezza, bellezza e bontà. Al contrario, il caos, il disordine, la non intelligibilità di un fenomeno o di un comportamento richiamano immediatamente insofferenza, tristezza, paura.
In particolare, l’intelligibilità dell’Universo, cioè la sua caratteristica di essere governato da leggi a noi comprensibili, costituisce un specie di ordine supremo; un ordine che – mi è capitato di dire altre volte – poteva non essere necessario. Eppure questo ordine c’è e dovremmo interrogarci sul perché esista e sul motivo del fascino che esso esercita su di noi (e dovremmo anche interrogarci sui motivi che ci spingono a farci queste domande).

Punto di non ritorno

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Mondo caotico

Facciamo un esperimento concettuale: immaginiamo un mondo dove la fisica non sia possibile.
In questo ipotetico universo ogni fenomeno è equiprobabile rispetto agli altri, cioè non esiste spettro di probabilità diverso dalla statistica piatta e uniforme. Ogni particella può essere positiva, negativa o neutra in modo del tutto casuale e può cambiare stato senza nessuna ragione. Sistemi possono essere legati o slegati non per la presenza di un potenziale ma perché due corpi possono respingersi o formare un tutt’uno senza motivo, perché legarsi è ugualmente probabile a respingersi.

Immaginiamo dunque un universo dove, sì, ci siano pianeti e forme di vita ma dove l’unica legge è quella della statistica uniforme. In questo universo i pianeti sarebbero agglomerati di materia che per caso, in quel momento, è nello stato di aggregazione ma un domani potrebbe in parte o interamente cambiare stato e dissociarsi. Saremmo attaccati al suolo con la stessa probabilità di fluttuare nello spazio e, soprattutto, due eventi non si ripeterebbero mai né per grandi linee, né nel dettaglio se non perché statisticamente si sono già verificati anche tutti gli altri fenomeni. Tutto sarebbe casuale, tutto sarebbe impossibile da studiare e comprendere.

Esiste un qualche motivo per il quale l’Universo non debba essere così fatto? Eppure noi riusciamo a studiarlo, a carpirne le leggi, a leggere nella sua struttura dei meccanismi e delle ripetitività. Perché allora la natura è costituita da leggi inviolabili, da processi ripetibili, da identità determinate? Una cosa è certa: è necessaria un’intelligenza per comprendere e studiare la natura e l’Universo, come è necessario essere in grado di leggere per comprendere il contenuto di un libro. Lì dove le leggi sembrano assenti possiamo dire che ci sia statistica piatta oppure siamo noi a non sapere ancora leggere?

Intelligibilità

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Nucleosintesi

Nel sottosuolo del nostro pianeta ci sono minerali di ogni tipo e, tra questi, anche l’uranio e altri elementi pesanti. Attualmente si crede che tutti gli elementi presenti nell’Universo siano dovuti alla nucleosintesi nelle supernovae, un processo esplosivo attraverso il quale si passa da nuclei di media taglia, ad oggetti molto più pesanti.
Una supernova dura qualche anno – un tempo estremamente rapido per una stella – e lascia una estesa nube ricca degli elementi prodotti nelle reazioni nucleari e un piccolo residuo centrale.

Questa è la spiegazione che attualmente ci diamo al perché sulla Terra ci siano elementi pesanti come l’uranio. Soffermandosi però un attimo su questa spiegazione vengono in mente alcune considerazioni e alcune domande.
Se l’uranio proviene dalla nucleosintesi in una supernova vuole dire che prima dell’esistenza della Terra, prima dell’esistenza del Sole, nella stessa porzione di spazio, dev’essere esistita una stella che poi ha prodotto una supernova e i cui residui costituiscono noi e il resto del nostro sistema solare. Quanto era grande? Di che colore era? Dov’era di preciso? Qual’era la sua temperatura? Quando è esplosa? Perché la materia sparsa da un fenomeno esplosivo dovrebbe letteralmente invertire il moto e ri-aggregarsi (concentrando, tra l’altro, gli elementi leggerissimi nel Sole – che sta al centro – e quelli pesanti sui pianeti)?

Se volessi fare lo scettico, direi che questa fantomatica stella può non essere mai esistita – anzi, potrei anche dire che non è affatto esistita – e pretenderei le “prove” di questo misterioso oggetto primordiale che è stato causa della nostra esistenza (ad esso dobbiamo la nostra esistenza). Potrei anche arrivare a dire che i sostenitori di questa teoria sono dei bugiardi o dei poveri illusi che si raccontano frottole perché non sanno rispondere.
Se facessi così sarebbe una chiusura mentale di fronte ad una possibilità che non può essere esclusa solo perché i mezzi attualmente a nostra disposizione non possono confermarla al 100%. Certo, potrebbe anche darsi che un giorno qualcuno scopra che effettivamente le cose siano andate diversamente…

Chissà quante volte chiamiamo “frottola” qualcosa che ci viene detto solo perché le prove a carico non sono definitive o sono scarse o non sono come le vorremmo. Chissà quante cose, visibili o invisibili, passate o future, sfuggono ancora alla nostra comprensione… È lecito saltare subito a conclusione ed affermare che queste non esistono solo perché non siamo capaci di indagarle o comprenderle? Una mente aperta non è avventata, non salta rapidamente alle conclusioni ma raccoglie gli indizi. Spesso questi indizi sono sufficienti per credere ad una certa visione dei fatti.

supernova gigante

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Manifestato

Nel 1820, un fisico danese di nome Oersted (Ørsted) aveva sistemato sul tavolo sperimentale diversi strumenti elettrici per la lezione che avrebbe dovuto tenere ai suoi studenti. Casualmente, aveva con sé anche una bussola e, quando fece percorrere dalla corrente elettrica un conduttore che era sul tavolo, notò che l’ago si era spostato. Oersted scoprì così che un conduttore percorso da una corrente elettrica genera, nello spazio intorno a sé, un campo magnetico del tutto analogo a quello generato da una calamita.

Sono pochi, nella storia della fisica, i casi in cui il ricercatore ha scoperto qualcosa sapendo già cosa cercare. L’uomo non conosce che una minima parte dell’essenza stessa dell’Universo e dei suoi meccanismi, dei fenomeni che in esso avvengono. Compito del ricercatore è di scovarli, ma da solo non può farcela perché ha bisogno che questi si manifestino. Il teorico o la fortuna – come nel caso di Oersted - indirizzano a guardare in una qualche direzione, magari provocando la realtà con gli esperimenti o con osservazioni particolari, ma è la manifestazione di un fenomeno che ne segnala l’esistenza.

Manifestare significa “mostrare”, “rendere noto”. La natura si mostra ogni giorno, ma nella storia dell’uomo si sono manifestate anche idee e persone alcune delle quali hanno segnato la storia con la loro presenza a partire da un preciso istante. Rendendosi nota all’umanità, l’entità che si è manifestata cessa di essere un’ipotesi o una fantasia e diventa realtà tangibile e innegabile, un avvenimento che non può essere più cancellato.

Porta luce

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