Massimi

Chiunque abbia studiato matematica si è trovato alle prese con lo studio di funzione, un esercizio che ha tra le sue parti più importanti la ricerca dei massimi e dei minimi. Una funzione può avere diversi massimi, ne può avere alcuni alla stessa altezza o può averne di altezze diverse. Ne può avere uno più alto di tutti, in questo caso si chiama “massimo assoluto” mentre gli altri massimi sono “relativi“. Per fare un esempio guardiamo la figura che segue: vediamo quattro massimi relativi, uguali a due a due, e un massimo assoluto, nel centro.

Massimo assoluto monodimensionale

Supponiamo che la nostra funzione sia un tentativo di capire matematicamente – o scientificamente – quale strada dobbiamo percorrere nel labirinto del quale ho parlato qualche giorno fa per raggiungerne l’uscita. Cosa succede se la funzione che stiamo considerando per trovarne i massimi non è altro che soltanto una parte della funzione vera? Se, ad esempio, le variabili che dobbiamo considerare sono due e non una potremmo trovarci nella situazione descritta dalla figura che segue.

Massimi bidimensionale

Quello che sembrava un massimo assoluto, ora è solo un massimo relativo perché spostandosi lungo la variabile y si trova un massimo ancora più alto. Matematicamente il problema si è complicato e la ricerca del massimo non è più banale e non è sempre possibile. Considerare una sola delle variabili può illuderci di aver trovato il massimo quando in realtà siamo solo sul fianco della montagna, o peggio, su un minimo rispetto ad altre variabili.

Possiamo allora trovare il nostro massimo ben sapendo che ogni aspetto della nostra esistenza è una variabile da considerare? Se già ci sembra non banale risolvere il problema usando solo due variabili, possiamo riuscirci considerandone un grandissimo numero? L’uomo ce la può fare? La storia insegna che c’è sempre qualche variabile che scappa, qualcosa che viene tagliato fuori, e quando questo accade si chiama ideologia.
Tanti filosofi, scienziati, intellettuali e persino interi regimi hanno provato a dire all’uomo qual era la strada giusta da percorrere basando i loro modelli su un ristretto numero di variabili e alla fine hanno sempre visto crollare le loro utopie. I loro paradisi sintetici sono crollati perché basati su fin troppi ragionamenti a porte chiuse, su uno sforzo di razionalità chiuso di fronte alla totalità delle richieste del cuore umano (e non solo quelle di salute, ricchezza e piaceri vari). Trovare il massimo è per l’uomo un’impresa impossibile se non si osserva anche il più insignificante moto del cuore, ovverosia senza quella sensibilità che svela la segnaletica indicante l’uscita con estrema precisione.

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Il paradosso del salvatore

Trigun è un anime di diversi anni fa ambientato in un futuro “far west” su un altro pianeta. Il protagonista, Vash the stampede, detto anche “il tifone umanoide” si ritrova ad affrontare i banditi del nuovo far west con l’intento di salvare sia le vittime, sia i carnefici. Ciononostante la popolazione lo teme e lui è il maggiore ricercato.

In una delle puntate vicine alla conclusione della serie viene proposto il paradosso del salvatore - termine che mi sono inventato per descrivere il problema. Vash bambino osserva una farfalla impigliata sulla tela di un ragno il quale le si avvicina per divorare la preda. Come agire? Se si libera la farfalla il ragno morirà di fame; se non si libera la farfalla il ragno la ucciderà. In entrambi i casi c’è sempre una vittima.

Trigun cicatriciNella stessa scena – permettetemi lo spoiler – il fratello cattivo di Vash propone la sua soluzione uccidendo il ragno e manifestando quello che diventerà il suo progetto malvagio: estinguere la razza umana perché, come il ragno, giudicata dannosa per il cosmo. La soluzione di Vash è invece il sacrificio: il suo corpo è pieno di cicatrici; martoriato e sfigurato da tutte le volte che si è messo in mezzo per salvare tutti. Difendendo sia l’innocente che il colpevole si è beccato il male al posto loro.
Alla fine – permettetemi quest’altro spoiler – capisce che questo suo agire non è sufficiente. La sfida più importante non è la difesa incondizionata di buoni e cattivi ma è educativa: bisogna insegnare all’aggressore una vita ordinata, retta, degna, orientata al bene. A cominciare dal fratello cattivo.

Un anime che lascia molto spazio alla riflessione: dal senso del male al problema educativo; dal tipico fraintendimento dell’operato dei buoni al valore del sacrificio.

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Pretese impossibili

Due contadini conversavano sotto il sole estivo. Il primo dice all’altro:
«Quanta luce! È ovunque: si diffonde sui campi, sui colli, sulle spighe di grano rendendole splendenti. Grazie al Sole, che regalandoci i suoi raggi fa crescere il raccolto. Non è meraviglioso?»
L’altro risponde:
«Ma sotto quell’albero non c’è luce! Se il Sole fosse così generoso illuminerebbe anche sotto l’albero e io avrei altri metri quadri da coltivare.»

Il secondo contadino è uno di quelli che magari vorrebbero fare un’altra cosa nella vita e vivono il loro lavoro come una grande fatica. Nel loro caso, il raccolto dipende solo dalle non sufficientemente retribuite energie che il contadino spende per arare, seminare, irrigare, concimare e mietere. In quest’ottica, se c’è, il Sole è un atto dovuto. È per questo motivo che contesta il suo collega sulla luce proponendogli il caso dell’ombra. Lo sfida per chiedergli: «Se la luce è davvero così gratuita perché non c’è anche dove io vedo l’ombra? Di giusto, avrebbe dovuto esserci luce anche dove c’è ombra».

Quell’ombra – minima rispetto a tutto il resto del panorama che può vedere con il suo occhio – è necessaria e utile. Se per assurdo, avessimo il potere di assecondare quell’uomo, per realizzare il suo mondo “perfetto”, di sola luce, dovremmo negare agli oggetti la capacità di essere opachi e di riflettere quindi parte della luce che ricevono. Ma in questo caso lui per primo sarebbe cieco, perché non ci sarebbe luce raccolta dal suo occhio opaco e non ci sarebbe luce da raccogliere senza oggetti opachi che la deviino verso l’occhio. A tutti gli effetti, la sua proposta di mondo migliore sarebbe un mondo peggiore.
Quando i raggi cominciarono a picchiare forte sul capo di quel contadino – facendolo pure sudare – si recò proprio verso quell’ombra, oggetto del suo contestare.

Evitiamo certo pessimismo apparentemente “logico” che sembra giustificare il nostro approccio riduttivo con la vita: corriamo il rischio di concentrarci sul peggio e di ignorare la bellezza e la gratuità di ciò che ci circonda; rischiamo cioè di perderci un vero tesoro per non aver visto il senso nel negativo che notiamo.

Campo di grano

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Granchio anomalo

Un’estate di qualche anno fa mi trovavo nel parco naturale della valle dell’Anapo. Un posto suggestivo anche per le necropoli risalenti a più di tremila anni fa. La riserva naturale mostra paesaggi e creature tipici che cercano di sopravvivere alla contaminazione umana, spesso intenzionalmente dannosa per sottrarre e sfruttare economicamente i terreni del parco.

Il fiume Anapo forma, lungo il suo percorso, alcuni stagni che sono ricchi di vita. In uno di questi avevo visto un grosso granchio che se ne stava sulla sommità di un grosso sasso a pochi centimetri dall’acqua.
Doveva esserci qualche nido di vespe più a monte, perché qualcuno di questi insetti arrivava galleggiando in cerca di un appiglio per salvarsi. Le vespe non nuotano infatti. Una di queste raggiunge il sasso dove stava il granchio e comincia a risalire verso l’asciutto, avvicinandolo.

All’inizio pensavo che si sarebbero ignorati vicendevolmente ma mi sono dovuto ricredere quando ho visto il granchio, afferrare l’ape con le chele, ucciderla e divorarla. Fino a quel momento credevo che i granchi mangiassero solo alghe e non mi venite a dire che quell’ape era un’alga a forma di insetto!
Non finisce mica qui: nello stesso posto, qualche tempo dopo, ho visto un serpente che nuotava e che, dopo essersi immerso, ha preso un pesce enorme per mangiarselo.

Non so se questi comportamenti siano già classificati e ritenuti “normali” dagli etologi. So però che se un etologo mi venisse a dire che quel che ho visto è impossibile o che forse me lo sono sognato, non cambierei di una virgola la certezza di ciò che ho visto con i miei occhi. Anzi, dovrebbe essere lui a cambiare idea. L’esperienza diretta, ciò che sperimento in prima persona, ha la priorità sulle spiegazioni degli increduli. L’importante è osservare senza pregiudizi; non precludere nulla alla nostra analisi; lasciare che l’esperienza ragionevole, che ci può anche essere proposta da qualcuno più “esperto” (=che ha già fatto quell’esperienza e vuole renderci partecipi), possa essere da noi verificata in prima persona prima di essere rigettata o accettata.

Anapo

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Errore

Nessuno è perfetto; tutti si può sbagliare; errare è umano. Sbagliare è nella natura umana: non esiste essere umano al mondo che non abbia mai commesso il più piccolo errore. Se c’è qualcuno che in apparenza sembra non sbagliare mai, lo identifichiamo subito come una persona non umana, un “robot”, uno “scherzo della natura”.

Non c’è attività umana che sia esente da errore. Spesso sbagliamo così lievemente che non produciamo danno, altre volte l’errore produce danni enormi anche se si tratta di una sciocchezza, magari una differenza impercettibile. Ma se qualsiasi cosa facciamo o pensiamo può contenere un errore, come può, ciascuno di noi ritenere di essere capace di giungere ad una conclusione definitiva in modo totalmente autonomo e indipendente?

Oggi si sente spesso parlare della facoltà di poter decidere autonomamente le proprie regole di vita, i propri standard, il proprio personalissimo metro di giudizio. Se l’errore è una cosa ineliminabile della natura umana, come possiamo presumere che una scelta completamente autonoma e, in ultima analisi, isolata possa condurre ad una conclusione corretta? Se neanche riunirsi in gruppi di lavoro può evitare l’errore, come è possibile confidare solamente sulle proprie finite capacità o sulle capacità finite dell’umanità tutta?
Una maniera di districarsi forse c’è ma bisogna saper accettare che una soluzione ad un nostro problema possa giungere dall’esterno: unire al dubbio per le proprie certezze, l’esperienza, la verifica sperimentale e l’osservazione della realtà, senza pregiudizi. Verificare con la prova diretta se una certa conclusione fa realmente vivere meglio o se nasconde conseguenze pericolose.

Correzione

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Minimo di potenziale

L’energia potenziale è una di quelle cose della fisica che impregnano praticamente ogni cosa e ogni azione. La nostra stessa sopravvivenza avviene grazie al rilascio dell’energia potenziale chimica proveniente dagli alimenti. Quando usiamo l’ipod o il computer portatile, l’energia potenziale chimica nelle pile viene utilizzata finché non si esaurisce diventando minima. La regola naturale è che tutte le cose tendono a passare da un potenziale più alto ad uno più basso. Per portare perciò qualcosa ad un potenziale più alto, occorre fare uno sforzo, attingere energia da qualche altra parte e compiere un lavoro. Viceversa, non ci vuole niente affinché un oggetto passi da un certo potenziale al suo minimo e, quando lo raggiunge, non ritorna indietro se non si fa un qualche lavoro.

È come creare e distruggere. Creare richiede uno sforzo, richiede creatività, sacrificio, impegno. Distruggere è invece maledettamente facile: ciò che occorre è già a disposizione, creato con fatica da qualcuno, e non è necessario nessuno sforzo particolare per portare al suo “minimo di potenziale” qualcosa che era stata faticosamente elevata. Distruggere qualcosa di bello è però qualcosa di fondamentalmente brutto, come distruggere qualcosa di buono è fondamentalmente cattivo. Di fronte a molte cose delle quali disponiamo, la nostra unica scelta è tra mantenere o distruggere. Possiamo tagliare i capelli ma non comandarne la crescita; possiamo cogliere un fiore ma non decidere se e quando la pianta ne farà germogliare un altro; possiamo togliere la vita ma non darla a nessuno, né tanto meno a noi stessi.

Demolizione

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Seminatore

Quando arriva la stagione della semina, l’agricoltore disperde i semi per tutto il campo; concima il terreno; lo rimescola per renderlo soffice e uniformemente ricco di minerali; lo irriga ogni giorno. Oltre a tutto questo lavoro non può fare altro che aspettare e sperare. Spera che il suo lavoro sia stato sufficiente ed efficace, che il miracolo del germoglio che viene fuori da un piccolo seme possa ripetersi. Aspetta perché lui può solo preparare le condizioni ma non può comandare il seme né stabilire il giorno in cui il germoglio si affaccerà all’aria aperta.

Il seminatore non può sapere che è andato tutto bene finché non vede con i suoi occhi che i germogli sono finalmente spuntati fuori dal terreno. Lui sa che se semina, molto probabilmente raccoglierà, ma lo sa in virtù della sua esperienza; lo sa perché ha osservato lui stesso, e altri prima di lui, questa meraviglia della vita. Certo, fa di tutto affinché a germogliare sia il maggior numero di semi, ma non stabilisce quanti perché non ha alcun dominio su ciò che ha imparato a conoscere ed utilizzare.

Il rapporto dell’uomo con la realtà non è di dominio assoluto. Non si è padroni né comandanti di gran parte di ciò che ci circonda e perfino di noi stessi: non possiamo cambiare il numero o il colore naturale dei nostri capelli; non possiamo decidere se e quanto anche l’unghia più piccola crescerà. Si può dire, di un qualcosa della quale non disponiamo, che ci appartenga? E se qualcosa non ci appartiene ma ne facciamo uso, di che si tratta? Un prestito? Un dono?
Quel che possiamo fare, come l’agricoltore, è conoscere e rispettare: fare buon uso di ciò che, agli effetti, non ci appartiene.

Semi girasole

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Cataratte

Una malattia tipica dell’età è la formazione di un’opacità sulle parti dell’occhio che dovrebbero essere trasparenti. Si forma gradualmente sottraendo, anche del tutto, la capacità di vedere. Vedere è una cosa meravigliosa di per sé perché permette di cogliere la bellezza circostante, di godere dello spettacolo che ogni giorno – perché no? – ci si pone davanti. Basta pensare a quante migliaia di fenomeni avvengono proprio davanti ai nostri occhi mentre digitiamo al computer: elettroni che si ricombinano, distribuzioni di probabilità che mutano, fotoni che attraversano lo spazio alla velocità della luce, fenomeni quantistici, chimici, fisici, biologici. C’è un’immensità in quei 30-40 centimetri che racchiudono noi e lo schermo.

Sono però tanti quelli che dicono di non vedere alcuno spettacolo ogni giorno. Vedono l’ufficio, i colleghi, il traffico, le solite quattro mura. Estendendo questo discorso anche alla sfera emotiva si potrebbe continuare a dire che c’è chi percepisce solo la stanchezza del lavoro, i dubbi sul proprio futuro, le difficoltà che impediscono le proprie attività, i rimorsi del passato, i nemici che avanzano, cose spiacevoli praticamente inevitabili.

Quando si fissa troppo a lungo una forte sorgente luminosa o si permane per troppo tempo nella totale oscurità ci si acceca momentaneamente. Più o meno allo stesso modo, si può accecare un cuore con la parte brutta del mondo e con ciò che di negativo ci accade. Quando ci si concentra sulla bruttura – come una goccia di inchiostro nell’acqua pura – essa si diffonde formando una cataratta. Inizialmente questa ingrigisce tutte le cose e poi progredisce finché non rende completamente ciechi di fronte alle cose belle. Allora il rischio che si corre è grosso: invece di catturarle, lasciamo fuggire via, una dopo l’altra, le cose meravigliose. Non si tratta solo di spettacoli visivi ma di una meraviglia, una passione, un apprezzamento per la vita, la propria vita e tutte le vite in generale: la capacità di riconoscere e scovare il bello che altrimenti ci risulta invisibile e restando perduto, sprecato.

Occhio

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Cosa ti perdi

«Sai c’è questo film che mi piacerebbe vedere»
«Ora cerco dove lo proiettano. … Ah, la proiezione è in 3D. Bello!»
«3D?!?!»
«Sì, la nuova tecnologia a lenti polarizzate che ti permette una visione stereoscopica dandoti la sensazione di profondità»
«Noooo. Mi gireranno gli occhi! Lo voglio vedere normale»
«Ma cosa dici… Non sai cosa ti perdi. Vieni a vedere com’è e poi mi dici se ti sono girati veramente gli occhi.»

Questo dialogo è realmente avvenuto fra me e un mio parente. Non so se tutti condividono con me l’idea che il 3D nei cinema sia un “di più” però è difficile non considerarlo una miglioria – certo non essenziale – che aumenta il godimento dello spettacolo. Insomma, chi non lo prova almeno una volta per ostinazione o preconcetto non sa cosa si perde. Possiamo dire che il 3D ci fa stare male e ci fa girare la testa; possiamo dire che gli occhiali che danno in dotazione sono fetidi e non igienici; possiamo dire che tutto sommato i film sono belli anche senza il 3D; possiamo dire che il biglietto costa pure troppo – avendo anche ragione – ma se non proviamo di persona non possiamo mai sapere com’è un film 3D e se il gioco vale la candela.

Il nuovo ci spaventa, ciò che è sconosciuto ci inquieta, allora produciamo le scuse più astute per non affrontare la novità, anche se a volte la novità è una cosa antica e praticata da sempre che ci hanno appena proposto. Se non si sperimenta, nella vita, non si cresce, non si impara a distinguere il bello dal brutto e il negativo dal positivo: si vive dentro un guscio al sicuro da qualsiasi cosa, anche da quelle che potrebbero realmente cambiarci la vita e regalarci stupore e bellezza. Non si deve certo accettare tutto ma se quanto ci viene proposto fa realmente vivere “meglio” la gente, in modo visibilmente più bello, forse è il caso di provare.

occhiali 3D

P.S. Il mio parente, convinto ad andare alla proiezione in 3D ha poi ammesso che non gli sono girati gli occhi e che si è divertito.

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Titan AE

Ripensando al post di ieri mi è tornato in mente un film di animazione del 2000 intitolato “Titan AE“. La trama si svolge in un futuro lontano nel quale i terrestri sono profughi dispersi e in fuga da una specie aliena, i Drej, che vuole sterminarli. La Terra è andata distrutta da tempo ma il protagonista ha ancora una speranza: suo padre gli ha parlato del Titan, un’astronave sulla quale sono stati salvati gli embrioni di ogni specie di vita che era presente sulla terra. Il ragazzo dovrà trovare il Titan prima dei Drej e trovare il modo di utilizzarlo.

Guardando il film si percepisce distintamente l’importanza che il Titan ricopre per il ragazzo e per gli altri terrestri dispersi nello spazio. Alcuni invece si sono anche convinti che il Titan non esista e cercano semplicemente di sopravvivere senza coltivare alcuna speranza. Eppure il Titan non contiene soltanto materiale biologico: la rarità del suo contenuto e il sapere cosa questo potrà diventare su un nuovo mondo da colonizzare ne evidenzia l’enorme valore. Non ci rendiamo conto di quanto valga qualcosa finché non ne percepiamo la mancanza.

Titan AE

Il trailer qui

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