Come Cavor

Tra i primi libri che lessi nella mia infanzia c’è “I primi uomini sulla luna”, racconto fantascientifico scritto da Herbert George Wells nel 1901.
La storia parla di uno scrittore alle prese con la stesura del suo “Dramma” e di un eccentrico scienziato di nome Cavor. A bordo di una bolla di materiale speciale “antigravità” (la cavorite), i due giungono sulla luna dove incontrano affascinanti paesaggi e bizzarre creature che trascorrono nel sottosuolo i 15 giorni di oscurità del giorno lunare.

Il primo incontro tra il protagonista e Cavor descrive un comportamento nel quale mi ritrovo spesso:

La finestra presso la quale ero solito lavorare si apriva su quel panorama, e fu di là che scorsi per la prima volta Cavor. Ero appunto alle prese con la sceneggiatura, concentrando tutta la mia attenzione su quel lavoro complicatissimo, quando la sua vista mi colpì al punto da distogliermi dalle mie meditazioni.
[...]
Era un uomo di bassa statura, corpulento, con due gambe esilissime, che si muoveva a scatti. Aveva creduto bene di vestire la sua figura fuori del comune con un berretto da giocatore di cricket, un soprabito, pantaloni alla zuava e calze al ginocchio, da ciclista. Non riuscii mai a capire la ragione di questo suo modo di vestire perché non andò mai in bicicletta e non giocò mai al cricket. Si trattava di un’accozzaglia di indumenti, riuniti insieme non so come.
Gesticolava, agitando braccia e mani e dondolando il capo; e ronzava, ossia emetteva dalle labbra un ronzio simile a quello di una macchina elettrica.

Ciò che ad un osservatore esterno appare come un folle gesticolare ed agitarsi emettendo rumori simili a motori, folgoratori, suoni ambientali e, qualche volta, voci di persone è in realtà qualcosa di difficile da spiegare.
In quel preciso istante, la mente di quell’uomo sta viaggiando fra le stelle; sta vivendo avventure; sta esplorando mondi e combattendo guerre.

Quando osserviamo qualcosa dall’esterno e concludiamo che si tratta di mera follia o stupidità, forse dovremmo cercare di analizzare meglio la situazione cercando di immedesimarci un po’ di più. Azioni e routine apparentemente prive di senso, per certi aspetti scaramantiche, o interpretabili come copertura per “altro” possono invece essere vere e proprie meraviglie.

I primi uomini sulla luna

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Il messaggio

Gli abitanti del pianeta Adropais avevano scoperto il sistema Nefrino circa cento anni fa. Quando gli adropaisiani, dopo appena un anno di viaggio interstellare, raggiunsero il sistema, fecero subito amicizia con gli abitanti del luogo e condivisero il loro sapere tecnologico con loro. Purtroppo quell’incontro si rivelò una tragedia ed una dura lezione. Dopo solo cinque anni, gli abitanti del sistema Nefrino non avevano infatti saputo gestire l’enorme sapere del quale erano stati investiti e, in un conflitto globale, disintegrarono il loro pianeta estinguendosi. I sopravvissuti sono ora dei criminali che usano la tecnologia contro gli stessi adropaisiani.

Una settimana fa, la squadra osservativa di Adropais ha scoperto un altro pianeta abitato a circa quarant’anni di viaggio interstellare. Il gran consiglio, formato dai tre sovrani, si è appena riunito per decidere la strategia operativa ed evitare un nuovo disastro Nefrino.
Dopo circa due ore di dibattito il più giovane dei tre, Grosc Suite, si è offerto volontario per andare da solo sul pianeta ed ha proposto di sfruttare il tempo del viaggio per preparare la gente di quel pianeta. Per farlo sarà utilizzato il congegno del sovrano Iro Nospatist per l’invio di onde radio istantanee.
Tra Adropais ed il pianeta sconosciuto si trova però una nube di polveri e gas che permette la trasmissione di frammenti per un totale di soltanto il 5% di ogni messaggio. 

Sono passati cinque anni dalla partenza di Grosc Suite. Sul pianeta sconosciuto alcune persone dicono di aver ricevuto delle trasmissioni e hanno cominciato a scrivere un libro dove raccolgono le “presunte” informazioni ricevute. Dicono di aspettare l’arrivo di un condottiero.
In diverse occasioni il “messaggio” sembra chiedere cose assurde o comandare azioni discutibili. Alcuni si comportano di conseguenza, altri interpretano diversamente. Tutto viene però scritto sul libro, anche se sembra contraddittorio.

A quarant’anni dalla sua partenza, Grosc Suite ha finalmente raggiunto il pianeta e, con un dispositivo di occultamento, ha assunto le sembianze di uno degli abitanti del luogo. Non sono in molti a credergli perché il suo traduttore non è perfetto e lui cerca di spiegare come può quel che deve dire. Alcuni dicono che non è lui quello che stavano aspettando ma un impostore. Altri ancora, credono più verosimili gli altri racconti mitologici e non credono che sarebbe mai giunto qualcuno sul loro pianeta.

A 90 anni dalla scoperta del pianeta sconosciuto, Grosc Suite è ancora lì. Si è nascosto meglio perché hanno cercato di ucciderlo ma continua a stare con alcune persone fidate che ha incontrato.
I suoi rapporti, inviati con capsule antipolveri, sembrano mostrare che la popolazione impiegherà ancora molto tempo per capire. Purtroppo il messaggio di preparazione ha prodotto un libro con molte contraddizioni, nonostante il messaggio si possa evincere con un pizzico di apertura mentale. Bisogna anche considerare che da quando Grosc Suite è giunto sul pianeta, il messaggio è migliorato notevolmente fino a diventare chiarissimo per coloro che gli sono rimasti vicino.

Questa cronaca è dedicata a coloro che spendono molto tempo a cercare contraddizioni e che giustificano il loro risentimento verso gruppi o persone sulle varie “incoerenze” che hanno trovato. Quando si parla di qualcosa che si scopre pian piano e della quale non si conosce quasi nulla, è ovvio che se ne abbia un’immagine sfuocata che viene man mano perfezionata. Spesso, chi si scervella in ricostruzioni e analisi del passato, trova soltanto ciò che cerca: motivi per chiudersi ulteriormente ed imbrogliarsi su quel mondo nascosto del quale non abbiamo altra testimonianza che pochi frammenti mal interpretati.

Onde radio

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I sapori del neutrino

Tra le particelle più piccole delle quali si ha notizia c’è il neutrino. Si narra che questo termine fu coniato da Enrico Fermi quando, trattando il decadimento beta, dovette dare un nome ad una particella nuova che non aveva carica elettrica come il neutrone ma che era estremamente piccola. Del neutrino ancora non si conosce proprio tutto perché è la particella più sfuggente che esista – servono enormi apparati per riuscire a rivelarne qualcuno – ma si sa che ne esistono di tre tipi detti “sapori“: neutrino elettronico, neutrino muonico, neutrino taonico.

Questi tre “sapori” sono però tre modi di manifestarsi della stessa entità: si è infatti scoperto che ogni neutrino si comporta come se fosse uno schizzofrenico, oscillando una “personalità” all’altra. Succede – ad esempio – che all’interno del Sole vengano prodotti solo neutrini elettronici ma, a causa del diverso tempo necessario ad emergere dalla stella e a raggiungere la terra, una parte di questi si trasformi in neutrini muonici.

C’è un’altra cosa che si comporta quasi come i neutrini – o peggio – e che possiamo sperimentare personalmente quasi tutti i giorni: anche le parole hanno infatti un “sapore”. Se chi parla è stato etichettato in qualche modo, qualsiasi parola egli dica potrà avere sapore positivo o negativo in base all’idea che l’ascoltatore si è fatto di quella determinata etichetta. Se a parlare è una persona che ci sta antipatica o che fa parte di quel tipo di gente che non ci piace potrà dire anche la cosa più giusta del mondo, ma avrà sempre torto.

I preconcetti, la chiusura, l’etichettare le persone possono cambiare ingiustamente il “sapore” delle loro parole trasformando un discorso, possibilmente vero e giusto, in un trattato indegno. L’ascoltatore onesto non giunge mai alle conclusioni prima di aver sentito parlare l’altro; non mette etichette a nessuno e, soprattutto, non pensa per categorie.

Oscillazioni di neutrino

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M81 e l’infrarosso

È dal 1845 che l’uomo osserva e studia le galassie: ha iniziato guardandole con l’occhio, attraverso le lenti di un telescopio, e continua oggi con i satelliti e strumentazioni molto complesse.
Guardando la luce che proviene da una piccola regione della costellazione dell’Orsa Maggiore è possibile scorgere M81 e altre galassie sue compagne. Sembrano oggetti collocati lì a casaccio, estremamente distanti pertanto insensibili l’uno all’altro.

Gruppo M81

Tutti si credeva che la situazione fosse proprio questa: un insieme di oggetti che non avevano alcuna forma di interferenza fra loro.
Come sappiamo però la luce visibile è solo una piccolissima parte dello spettro (dei vari colori che la luce può assumere) infatti, guardando la stessa regione nella radiazione infrarossa (lo stesso colore invisibile dei telecomandi di televisori e videoregistratori) si ebbe una bella sorpresa:

M81 infrarosso

Mastodontici scambi di materia con lingue di gas che, come ponti, viaggiano per miliardi di chilometri collegando oggetti ritenuti distinti e separati.
Anche in questo caso, le spiegazioni che spesso ci diamo, a partire dalla sola piccola porzione di realtà che siamo capaci di vedere, possono essere molto lontane dalla verità dei fatti.

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Un uso sbagliato

A chi non capita presto o tardi di discutere con qualcuno sulla visione che si ha del mondo o di un qualche argomento che reputa importante?
Le modalità e la direzione che la discussione può prendere dipendono dalle persone coinvolte, da quanto sono state educate, dal rispetto che hanno per l’altro, tuttavia anche persone educate e oneste, anche quelle che hanno perfettamente ragione, anche (e soprattutto) quelle che hanno buone intenzioni e bellissimi nobili obiettivi possono ottenere l’effetto esattamente opposto a quello desiderato.

Non di rado chi è nel torto vi permane quasi con irritante ostinazione perché chi gli parla, pur avendo ragione da vendere, pur essendo consapevole di come stanno di cosa e dei rischi che corre l’altro, fa un uso sbagliato di quello che sa, della verità che conosce.
Il modo sicuro, infatti, per impedire ogni cambiamento nella persona è sbatterle in faccia il suo peggio: «Tu sei un ladro!»; «Tu sei un meschino!»; «Tu sei sporco, viscido, cattivo etc.».

In questo modo non è mai cambiato nessuno perché la primissima reazione a frasi di questo tipo è la rabbia. “Solleticando” in questo modo l’orgoglio del proprio interlocutore non si ottiene altro che l’erezione di un muro ancora più solido e alto, trasformandosi da “salvatori” a “invasori” e “assedianti”.

Ma se questo è un modo sbagliato di usare la verità c’è ovviamente un modo giusto di farlo. La responsabilità di chi conosce la verità è grande ed il suo compito è quello di proporla come alternativa valida e, soprattutto, migliore della convinzione del proprio interlocutore: usare i fatti conosciuti come un’arma, come uno strumento per ferire l’altro ci trasforma in mercenari. Non basta “evitare” di ferire l’altro: bisogna anche fornire tutti gli strumenti necessari per permettergli di capire dov’è il problema e come risolverlo. Non si può liquidare il ladro dicendo: «Tu sei un ladro, sta attento a non rubare». Bisogna condurlo all’onestà e al rispetto delle proprietà altrui mostrandogli che la vita onesta è migliore, facendogli provare una vita che noi sappiamo benissimo essere più bella, ma che dal suo punto di vista è un terreno totalmente sconosciuto.

Solo così parlare con qualcuno può avere senso, altrimenti si sta solo perdendo tempo in due (nel migliore dei casi).

Fuggitivi

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Pretese

Per questo week-end mi trovo a casa di mio zio. Uno dei membri della sua famiglia è un simpatico cagnolino di nome Ciro.
È una bestiola molto educata che segue ovunque i suoi padroni e fa la festa anche ai visitatori.

Secondo i ritmi biologici dei cani corrisponde ad un sessantenne che soffre già dei primi acciacchi: non fa più le scale due gradini per volta ed ora il veterinario gli ha anche proibito di mangiare troppo. In effetti Ciro sembra il classico “pozzo senza fondo” perché, finita la sua porzione, fa il giro dei commensali con una espressione pietosa e battendo le zampe sulle loro gambe per avere un boccone dal piatto degli umani.

Povera bestia, non conosce il senso della misura e il significato delle conseguenze delle proprie pretese. Fra noi umani, questo comportamento lo chiamiamo “vizio“, un difetto, un’imperfezione del senso della misura. Noi che siamo uomini, a differenza del povero Ciro, conosciamo le conseguenze di ogni azione e di ogni comportamento; abbiamo un tipo di sensibilità “speciale” che scatta come un allarme ogni volta che facciamo qualcosa di viziato, anche quando ci raccontiamo che non vi sarebbe motivo “razionale” per trovarci qualcosa di male. Ciro è giustificato: è soltanto un cane, in fondo. Noi no, perché quella sensibilità speciale che abbiamo, e che ci distingue da lui, implica delle responsabilità dalle quali nessuno – nemmeno noi stessi; neanche una scusa che appaia razionale – può sollevarci.

Ciro

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Oltre il materiale

Immaginiamo una donna gettata in una prigione sotterranea. Qui essa dà alla luce e alleva un fliglio. Il bambino cresce senza vedere altro che le pareti della cella, la paglia sul pavimento [...]. La sfortunata donna era un’artista, e quando fu imprigionata riuscì a portare con sé il suo blocco di carta da disegno e una scatola di matite. Poiché non perde mai la speranza di essere liberata, palra costantemente al figlio di quell’altro mondo che lui non ha mai visto. Lo fa in gran parte tracciando per lui dei disegni.

Con la matita tenta di mostrargli come siano i campi, i fiumi, le montagne, le città, e le ondesulla spiaggia. Il figlio è un ragazzo rispettoso, e fa del suo meglio per crederle quando lei gli dice che quell’altro mondoè qualcosa di molto più interessante e di splendido di qualunque cosa ci sia nella cella. A volte ci riesce. Nel complesso egli si comporta abbastanza bene, finché un giorno dice qualcosa che lascia la madre in sospeso. [...] Alla fine la madre si rende conto che il figlio, in tutti questi anni, è vissuto nell’equivoco. «Ma» ansima «non avrai creduto davvero che il mondo reale sia pieno di linee disegnate con una matita di piombo?» «Cosa?» dice il ragazzo «Non ci sono segni di matita, lì?». [...]

Le cime degli alberi ondeggianti, la luce danzante sulla chiusa d’acqua, le variopinte realtà tridimensionali che non stanno racchiuse entro linee ma continuano a definire la propria forma in ogni momento, con una delicatezza ed una varietà che nessun disegno potrebbe mai raggiungere. Il figlio si farà l’idea che in qualche modo il mondo reale sia meno visibile dei disegni di sua madre. In realtà, esso può fare a meno delle linee, perché è incomparabilmente più visibile di esse. [...]

disegno

Ho tentato di mettere in evidenza, in tutto quanto ho detto, come sia inevitabile l’errore in cui può incorrere, nel giudicare ogni fenomeno [...], chiunque vi si avvicini solo da un punto di vista inferiore. La forza di questa critica si basa sulle parole «semplicemente» e «niente altro che». Costui vede i fatti, ma non il loro significato. In buona fede, quindi, egli afferma di aver visto tutti i fatti. In verità, non esiste davvero altro da vedere, lì, se non il significato. Così egli si trova, nei riguardi della questione che sta affrontando, nella stessa posizione dell’animale… Avrete notato che la maggior parte dei cani non capisce l’indicare. Voi gli indicate un pezzo di cibo sul pavimento: il cane, invece di guardare il pavimento, vi annusa il dito. Un dito per lui non è che un dito: null’altro. Il suo mondo è tutto di fatti, senza significati. E in un periodo come questo, in cui è dominante il realismo dei fatti, troveremo gente che di proposito si sforza di assumere questa mentalità canina.

dito cane

C.S. Lewis
Sermone al Mansfield College, Oxford.

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In qualsiasi modo la si chiami

Completamente rapito dalla Trekker-mania ripesco dalla memoria un episodio della serie originale di Star trek che ben si addice a quanto sta succedendo in questa settimana.

Nell’episodio “By any other name” l’equipaggio dell’Enterprise incontra alcuni agenti dell’impero Kelvano, situato nella galassia di Andromeda, inviati nella nostra galassia per trovare un luogo da colonizzare. La loro astronave è andata distrutta e la comparsa dell’Enterprise si presenta loro come l’occasione d’oro per tornare a casa, anche se ciò significa requisire l’astronave per trecento anni (che è la durata del viaggio intergalattico verso Kelva). I Kelvani, la cui vera forma è sconosciuta, si mostrano con sembianze umane ma risultano estremamente freddi, incapaci delle più basilari emozioni.

Per requisire l’Enterprise, i Kelvani fanno uso del loro potere, localizzato nella “fibbia” delle loro cinture. Basta premere un pulsante per trasformare una persona in una specie di sasso poroso dalla forma geometrica. Per dare una dimostrazione della loro serietà, due membri dell’equipaggio sono subito trasformati. Uno dei Kelvani prende in mano i due “oggetti” e spiega che essi possono ancora ritornare come prima ma che se il capitano e i suoi faranno un passo falso…
Il Kelvano a questo punto sgretola con la mano uno dei due membri dell’equipaggio; non tornerà più, è morto.

Fibbia

Equipaggio

Per assicurarsi una manutenzione costante dell’astronave per trecento anni, i Kelvani trasformano tutto l’equipaggio ad eccezione del numero di elementi indispensabili al funzionamento dell’Enterprise con l’intento di sostituirne saltuariamente i membri.
Ovviamente alla fine i protagonisti riescono a liberarsi e lo fanno proprio shockando i Kelvani con quelle emozioni che non avevano mai provato. Il capitano Kirk seduce l’unica donna tra i Kelvani e fa ingelosire il suo compagno. Il dottor McCoy si dà ai sedativi mentre – e lo trovo estremamente divertente – il signor Scott ne fa ubriacare uno nella classica gara a chi beve di più.

Scoot

«C’è soltanto del vecchio, vecchio, scozzese…
…WHISKY!»

La cosa interessante di questo episodio sta proprio nella modalità che usano i Kelvani per uccidere. Non lo fanno direttamente, ma ricorrono alla riduzione dell’essere umano in qualcosa che somigli più ad un oggetto. Quando vediamo sgretolare uno di quegli “oggetti”, possiamo però provare la stessa sensazione suscitata da un omicidio perché, in fondo, sappiamo che quella “cosa” è un vero essere umano ma sotto altra forma e che può ancora tornare come prima, anche se indipendentemente dal suo volere che è, in quel momento, “assopito”. È ancora una volta una questione di sensibilità: saper dare credito a quella senzazione sgradevole che si manifesta alla visione o al pensiero della soppressione di quell’oggetto umano.
Non è certo classificandola come “oggetto”, come “cosa incapace di pensiero e di sofferenza”, che possiamo sorvolare sul valore della vita umana, anche se si presenta sotto altre forme minuscole o grandi, attive o inerti, perché in qualsiasi modo la si chiami, la sua essenza è ancora quella di una persona.

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Illusionisti

C’è una categoria di artisti, di gente di spettacolo, che suscitano un grande stupore nel pubblico perché fanno credere di essere capaci delle cose più impossibili ed incredibili, spesso contrarie alle leggi della natura. Mi riferisco ai prestigiatori, o illusionisti, a quelle persone che hanno maturato delle abilità particolari o che fanno uso di strumenti ingegnosi per intrattenere il pubblico.
Come fanno?

Ogni “trucco” ha un suo manuale, è chiaro, ma c’è una regola che vale per tutti, dal più semplice al più complesso: lo spettatore deve guardare nel posto sbagliato. È per questo che il prestigiatore muove abilmente le mani, generando appariscenti effetti. Mentre la mano destra tira fuori un coniglio dal cappello, il piede sinistro schiaccia un pulsante che prepara il prossimo trucco; mentre lo spettatore guarda la scatola magica, uno specchio copre l’assistente che ne sostituisce il contenuto. L’attenzione viene sempre sviata altrove.

C’è chi di questa regola fa un tesoro prezioso anche se il suo lavoro non consiste in giochi d’ingegno. È gente che ha a che fare con il grande pubblico, che crede di fare informazione anche se, sotto sotto, conduce la sua piccola battaglia ideologica contro un nemico a scelta. E così certe  pubblicazioni, sviano l’attenzione dal concetto principale per focalizzarsi su un dettaglio che viene abilmente trasformato nella pietanza principale del banchetto. Se il mio “nemico” sta parlando di qualcosa di buono, faccio la voce grossa su un commento che gli è scappato durante la cena del giorno prima; se egli sta partendo per una conferenza all’estero lo freddo lamentandomi dello spreco di fondi nell’organizzazione del viaggio e della conferenza; se è una persona importante sottolineo gli eccessi del servizio d’ordine, e così via…

Tra giornalisti ed autori di blog ce ne sono tanti così. Noi che siamo lettori e, in qualche caso, anche autori facciamo attenzione, non dove l’abile illusionista ci invita a guardare ma, lì dove pulsa il cuore vivo di ciò che abbiamo davanti, facendo attenzione a non farci coprire la vista dal solito specchio.

Illusionista

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Rappresentazioni

In matematica, una funzione è una legge che lega gli elementi di un insieme detto dominio agli elementi di un secondo insieme detto codominio. Il caso più semplice è che ad ogni elemento del dominio corrisponde uno e un solo elemento del codominio, in tal caso si dice che la funzione è biettiva. Si dice che una funzione è invece suriettiva quando ad un elemento del codominio può corrispondere più di un elemento del dominio.

Quanto accade nella matematica si verifica, in realtà, anche nel mondo più pratico e tangibile del linguaggio e della comunicazione, soprattutto quando si cerca di rappresentare qualcosa per la quale non esiste un nome, per la quale non c’è una parola o un insieme di parole che possano rappresentarla interamente.
Si verifica soprattutto quando noi che viviamo nell’insieme, meno completo, del codominio cerchiamo di rappresentare un qualche oggetto del ben più vasto dominio, un oggetto che probabilmente condivide la sua rappresentazione con un altro o altri oggetti del suo insieme. Possiamo forse dire che paura, amore ed eccitazione sono la stessa emozione solo perché tutte e tre fanno ugualmente palpitare il cuore?

È come chiedere ad un abitante di flatlandia di commentare un quadro nel quale si sia fatto uso della prospettiva: solo chi vive nel mondo più vasto del tridimensionale può dire che quel quadro rappresenta strade, case e ponti mentre l’abitante di flatlandia vede solo triangoli, quadrati e archi.
Allo stesso modo, la persona rozza tenderà a confondere tutte le cose che conducono alle stesse manifestazioni esteriori: vedrà la mera pulsione dei sensi e il vero amore con lo stesso sguardo perché conducono entrambi allo stesso atto materiale.

Un eccessivo scetticismo conduce ad essere abitanti di flatlandia: a cercare di spiegare il mondo limitandoci ad usare il nostro insieme finito; a confondere fra loro cose distinte ma dalla medesima apparenza; a non fare uso di quella sensibilità che ci permette di vedere al di là delle rappresentazioni e di comprendere la vera natura di ciò che accade.

Proiezioni

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