Cosmo orfano

Finalmente l’era spaziale, la vera era spaziale per la Terra era iniziata. Da quando, all’inizio del secolo, i fratelli Guiltmore avevano costruito il primo prototipo di astronave superluce, ogni nazione aveva fatto di tutto per dotarsi di questi mezzi. Un intero cosmo era sopra tutti loro in attesa di essere scoperto, esplorato, colonizzato.
Molti ragazzi avevano intrapreso la carriera scientifica con il sogno di poter mettere piede su quelle 345 astronavi presenti nel mondo. John Clever era uno di questi. Sarebbe diventato un buon sergente di macchine una volta imbarcato. Conosceva alla perfezione ogni passaggio del funzionamento dei motori e dei reattori dei nuovi modelli di astronavi. Era solo una questione di tempo e, terminati gli studi, si sarebbe imbarcato.

Il cinque ottobre di quello stesso anno l’astronave russa знаний aveva iniziato le procedure di discesa in atmosfera verso l’astroporto di Sanpietroburgo. Era in anticipo di due ore perché il capitano era talmente eccitato per la scoperta di un pianeta extrasolare abitabile da voler precipitarsi subito a casa a comunicare personalmente la notizia. Una fitta nebbia circondava l’astroporto, nel quale si preparava il decollo della разведка.
«Tutto operativo, signore»
«Bene… Tenente, com’è finita con il disturbo statico?»
«Ancora niente, signore. Rileviamo il radiofaro dell’astroporto ma le comunicazioni sono disturbate»
Pochi minuti dopo l’addetto alle comunicazioni prese la parola: «Signore… Comunicazione in arrivo»
«In viva voce»
“…. traiettoria….pista…at…libera”
Dopo qualche secondo il capitano concluse: «Via libera. Incanalarsi lungo la traiettoria di atterraggio». L’astronave entrò in quella strana nebbia scomparendo dai radar disturbati della torre di controllo. L’operatore capo della torre, osservati i radar, allora ordinò: «Comunicate il via libera alla разведка»
«Fra poco dovremmo vedere l’astroporto» bisbigliava un tenente della знаний al suo collega seduto lì vicino, mentre tutta la plancia guardava lo schermo principale. Tutti gli occhi erano fissi su quello schermo. Da un momento all’altro avrebbero rivisto il suolo.
Improvvisamente sullo schermo apparve la разведка che andava dritta verso di loro.
«Porco diavolo!» esclamò il capitano e fu l’ultima cosa che disse. A nulla servirono le manovre di emergenza: le due navi si scontrarono e, per l’impatto, entrambi i reattori principali delle due navi detonarono sprigionando tutta la loro energia. Fu distrutta qualsiasi cosa in un raggio di ottanta chilometri. L’intera città di Sanpietroburgo cancellata dalle cartine. Milioni di morti all’istante. L’asse della Terra si spostò di tre centimetri e la contaminazione si estese fino in Francia, in India e nel Canada.

Un anno dopo la tragedia iniziò lo smantellamento delle 343 astronavi rimanenti.
Una sera John era salito a riflettere sulla collina. In lontananza vedeva le carcasse di quei bastimenti dello spazio circondate dalle luci delle fiamme ossidriche. Sembravano immense carcasse di calabroni lentamente smembrati dalle formiche.
John alzò lo sguardo e sospirò guardando la volta celeste. Proprio in quel momento una stella cadente tagliò in due la sua visuale. Quel cosmo orfano di esploratori versava una lacrima per il piccolo pianeta che si era chiuso in sé stesso. Un mondo che aveva scelto di concludere la sua agonia entro i suoi limitati confini.

Stella cadente

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Per quel piccolo neo

«Mamma, io a scuola non ci vado»
«Che cosa?!?! … Avanti, non fare i capricci e preparati»
«NO! Non è un capriccio, mamma: io ragiono con la mia testa e l’educazione che voglio me la scelgo io»
«Non è un motivo per non andare. Preparati se non vuoi restare ignorante come un somaro»
«Non insultare la mia scelta. Io non sarò un somaro. E poi lo sappiamo cosa fanno gli insegnanti…»
«Sentiamo. Cosa fanno?»
«Gli insegnanti sottopongono gli studenti ad indicibili derisioni, picchiano coloro che dovrebbero istruire e spesso ne abusano sessualmente. Non permetto a queste persone di pretendere di insegnarmi alcunché»
«La verità è che non vuoi studiare perché è faticoso. Ora fila a scuola o te le suono di santa ragione.»

Siamo sempre pronti a lamentarci, a puntare il dito e concentrare la nostra attenzione sul peggio. Andiamo a cercare anche il più piccolo neo e quando lo troviamo generalizziamo subito classificando un’intera categoria in base a quel solo piccolo neo, magari ingigantendolo diverse volte, fino a farlo diventare il marchio distintivo di quelle persone che non ci vanno a genio. Non è che lo facciamo per amore della verità, perché delle persone che ci piacciono non amiamo perdere tempo nel cercare macchie e scheletri nell’armadio. Lo facciamo perché, per altri motivi, abbiamo bisogno del torto nelle ragioni altrui.
Quando qualcuno dice o fa delle cose per noi sconvenienti, soprattutto se in cuor nostro sappiamo essere vere e/o giuste, allora cerchiamo scuse su scuse per giustificare innanzitutto noi stessi rendendo ingiustificabile quel qualcuno. Eppure questo comportamento è un chiudere gli occhi di fronte all’immenso bene che fanno quelle persone delle quali cerchiamo gli orrori, è un “tagliare fuori” una parte della realtà per i propri fini. In parole povere, un’ideologia.

Maestra

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Commenti avanzati in WordPress

Molte piattaforme di blogging permettono agli utenti di inserire immagini nei propri commenti. WordPress sembra invece non permetterlo – immagino per evitare messaggi pubblicitari. E se volessimo dare ai nostri lettori la possibilità di inserire delle immagini o semplicemente qualche opzione di formattazione un po’ più avanzata?

Questo “trucco” è per chi ha installato su un proprio sito una versione di WordPress. La procedura non è difficile: bisogna aprire l’editor del tema e modificare il file delle funzioni “functions.php”. Alla fine del file ci dovrebbe essere il simbolo “?>” che indica la fine del codice php. Distanziamo con qualche ritorno a capo ed incolliamo il codice:

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            ’Ouml’,    ’times’,  ’Oslash’,  ’Ugrave’, ‘Uacute’, ‘Ucirc’,
            ’Uuml’,    ’Yacute’, ‘THORN’,   ‘szlig’,  ’agrave’, ‘aacute’,
            ’acirc’,   ‘atilde’, ‘auml’,    ’aring’,  ’aelig’,  ’ccedil’,
            ’egrave’,  ’eacute’, ‘ecirc’,   ‘euml’,   ‘igrave’, ‘iacute’,
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            ’oelig’,   ‘Scaron’, ‘scaron’,  ’Yuml’,   ‘circ’,   ’tilde’,
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            ’rlm’,     ‘ndash’,  ’mdash’,   ‘lsquo’,  ’rsquo’,  ’sbquo’,
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            ’Gamma’,   ‘Delta’,  ’Epsilon’, ‘Zeta’,   ‘Eta’,    ’Theta’,
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            ’ne’,      ’equiv’,  ’le’,      ’ge’,     ‘sub’,    ’sup’,
            ’nsub’,    ’sube’,   ‘supe’,    ’oplus’,  ’otimes’, ‘perp’,
            ’sdot’,    ’lceil’,  ’rceil’,   ‘lfloor’, ‘rfloor’, ‘lang’,
            ’rang’,    ’loz’,    ’spades’,  ’clubs’,  ’hearts’, ‘diams’,
      );
}

Una volta salvata la modifica non facciamo altro che bypassare il controllo che wordpress fa automaticamente sul contenuto dei commenti e dei post aggiungendo, oltre ai tag già permessi, qualche altro tag in più. Ad esempio, io ho aggiunto le immagini ( <img> ), il testo in apice ( <sup> ) ed il testo in pedice ( <inf> ). Provare per credere.

Per aggiungere altri tag basta modificare la stringa chiamata “$allowedtags” sulla falsa riga dei tag già esistenti. Se, ad esempio, voglio aggiungere la possibilità di inserire dei ( <div> ) mi basterà aggiungere:

            ’div’ => array(
                  ’style’ => array ()),

Attenzione però a non esagerare perché un utente malintenzionato potrebbe approfittare della vostra generosità verso i vostri lettori ed inserire codice malevolo.
Buon divertimento.

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Le raffinerie di etereone

Due stelle sorelle, identiche, erano a pochi anni luce l’una dall’altra, ciascuna con il suo sistema di pianeti. Su una luna di un gigante gassoso vivevano i Salicerunti mentre sul terzo pianeta della stella vicina vivevano i Sauropi. Furono i Salicerunti ad esplorare lo spazio per primi e ad incontrare i loro vicini. Avevano infatti trovato una fonte di energia incredibile che consentiva loro di alimentare le astronavi che, come risaputo, per viaggiare nell’iperspazio necessitavano di elevatissime quantità di energia.

Il carburante dei Salicerunti era l’etereone, un combustibile in forma di plasma che si ricavava da reazioni subnucleari. Per ottenere l’etereone serviva costruire degli impianti di raffinazione incredibilmente complessi all’interno dei quali si manipolavano le immense energie dell’etereone.
Il prodotto raffinato era stabile e facilmente gestibile ma la sua produzione si rivelò una vera “gatta da pelare”. Accadde infatti che, in una delle colonie dei Salicerunti, un pianeta di un sistema lontano, esplose una raffineria di etereone: di quel pianeta rimane solo un campo di asteroidi.
Nonostante questo incidente, i Salicerunti non si diedero per vinti: migliorarono le loro capacità tecniche e continuarono ad usare l’etereone, l’unico carburante che gli consentiva di solcare l’immensità dello spazio.

I Sauropi, venuti a sapere di quella colonia distrutta si limitarono soltanto a comprare l’etereone dai Salicerunti. L’accordo commerciale consentiva ad entrambi di avvantaggiarsi dell’etereone anche se l’economia dei Sauropi doveva far fronte alle ingenti spese per l’approvvigionamento del carburante. Tutto sommato si stava bene però.

Un giorno, dai lontani mondi inesplorati oltre la barriera di Talinteda, arrivò il dominatore del cosmo. Questo essere, del quale si diceva avesse poteri oltre ogni immaginazione, era diventato l’imperatore di un quarto della Galassia e guidava un’armata di centomila astronavi da guerra. Nessuno poteva sfuggirgli; nessuno era mai riuscito a farlo.
L’armata del dominatore del cosmo transitò in prossimità del pianeta dei Salicerunti e, dopo una breve scansione, passò oltre. Giunta sul pianeta dei Sauropi l’invasione ebbe inizio. Il dominatore del cosmo discese sulla superficie del pianeta ed entrò nel palazzo governativo più importante per trattare la resa immediata. Una folla si era radunata lì intorno per curiosità.

C’era una sola domanda che assillava ciascuno dei presenti: Perché noi e non i Salicerunti?
Il dominatore del cosmo, dopo aver inteso i pensieri dei Sauropi, scoppiò in una crassa risata e quando smise di ridere disse: «Oh, poveri sciocchi… Non c’è niente in questo universo che può arrestare la mia armata… Ma le raffinerie di etereone… – continuò con aria preoccupata – Quelle raffinerie… Avessi aperto il fuoco avrei perso la mia splendida armata. Con quelli dovrò trattare, con voi invece non ne avrò bisogno». E con un perfido sorriso, si prese tutto: terre, risorse e abitanti.

Centrale energetica

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Scherzo da fisico

Sappiamo che il carbonio 14 è un isotopo dello stabilissimo cugino carbonio 12 e sappiamo anche che è uno di quegli isotopi che ci entrano in corpo e ci decadono dentro senza che noi lo percepiamo. Durante la nostra esistenza lo rinnoviamo continuamente all’interno del nostro corpo nutrendoci e respirando (viene prodotto nell’alta atmosfera); solo con la morte il rinnovo cessa e la quantità di carbonio 14 comincia a diminuire.

Supponiamo allora di misurare la percentuale di carbonio 14 in un frammento di materia organica dando i risultati a due persone: Andrea e Piero. Andrea, che ragiona secondo un principio rigido e chiuso, conclude che, entro i margini di errore, quel frammento è vecchio di un certo numero di anni. Piero invece non fa il passo più lungo della gamba, ma si limita a dire che una certa percentuale di isotopo è compatibile con un corrispondente periodo di tempo dalla morte. La differenza tra i due sembra impercettibile ma è fondamentale.

Se io, senza dire nulla, prendessi un osso di dinosauro e lo bombardassi con un certo fascio di particelle di una certa energia per poi farlo datare ad Andrea e Piero, il primo mi direbbe che gli ho portato un falso, il secondo si limiterebbe a dire che ha misurato una percentuale di isotopo incompatibile con il triassico. Mentre il primo giunge ad una conclusione falsa per aver chiuso le sue ipotesi, il secondo tiene sempre bene a mente che la datazione ha senso se e solo se nulla è intervenuto sul reperto ad eccezione dello scorrere del tempo. Andrea, non conoscendo tutta la storia del reperto – compreso il mio scherzo da fisico nucleare – ha dato per scontate una serie di ipotesi perché non lascia alcuna apertura verso fenomeni a lui ignoti.

Ci sono due modi di considerare la scienza, i suoi risultati e la conoscenza in nostro possesso. Uno è rigido; l’altro è plastico. Il primo è presuntuoso e precipitoso; il secondo è umile e riflessivo. La differenza sta nel rapporto che abbiamo con l’ignoto e nel valore che diamo alle informazioni che conosciamo.
Noi possiamo misurare e conoscere solo una parte della realtà; per tutto il resto, che non conosciamo, è regola di buon senso non vantare certezze.

Curva di calibrazione del carbonio 14

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Salsicce ripiene

Mi dispiace per i vegetariani e i vegani – che rispetto, pur non condividendo l’accanimento contro indifese creature della flora – ma io mangio carne, qualche volta. Devo dire però che per il 90% delle tipologie di carne che sono vendute in giro non provo grande interesse né stravedo per il loro gusto. Anzi, fino a qualche anno fa la percentuale era del 100% e ne mangiavo solo perché me ne mettevano sul piatto.
In effetti la mia conoscenza della carne era limitata all’alimento in sé e per sé, il mio orizzonte era ristretto a due o tre piatti tanto saporiti quanto potevano essere elaborati: una fettina o una salsiccetta di pura carne cotta e condita con olio; tutto qui.
Mi ero abituato a quel gusto, pensavo che il sapore di quei piatti fosse quello e basta, uno come tanti, qualcosa che si poteva gustare – certo – ma fino ad un certo punto.

Poi la mia ragazza cominciò ad invitarmi al pranzo domenicale nella casa di campagna. Fu lì che per la prima volta nella mia vita assaggiai il prodotto di un vero barbecue.
Non si trattava delle solite “fettine” alle quali ero abituato: c’erano involtini, spiedini e salsicce; tutti rigorosamente ripieni di verdure e formaggi. Ogni boccone non faceva entrare nella bocca solo la carne, ma anche peperoni, pomodori, melanzane, cipolla, formaggio e spezie di ogni tipo. Anche la cottura, sui carboni ardenti e con frequenti annaffiature di vino, aveva fatto la sua parte rendendo tutto molto più tenero e saporito.
Per me è stato veramente scoprire un altro mondo, decine di volte migliore rispetto al precedente. Ora, quando mi ritrovo davanti i miei vecchi piatti, so che c’è ben altro, ben di più, e non posso più pensare di avere innanzi già il massimo, di avere già il meglio. Ora che ho sperimentato un “di più” non posso tornare indietro.

Ecco – sperando di non aver istigato strani pensieri – conosco tanta, tantissima gente, che ha vissuto un’esperienza come la mia ma centinaia di volte più intensa, non relativamente ai gusti gastronomici, ma riguardo al loro stesso stile di vita, la loro esistenza intera. Noi crediamo di goderci già il godibile, di conoscere già cosa ci piace e cosa è bene per noi, facendo un elenco di piaceri vari e assortiti, sensazioni effimere che, una volta esaurite, ci lasciano desiderosi come prima (e anche la carne della metafora appartiene al gruppo, in un certo senso). Non ci rendiamo però conto – o meglio, ce ne rendiamo conto ma siamo pronti a soffocare l’intuizione - che desideriamo ben altro. Capirlo significherebbe ammettere che questi “piaceri” sono poco utili e che abbiamo sprecato il tempo investito su di essi, perché un “di più” c’è, è proprio ciò che il nostro cuore domanda e, una volta scoperto, non si torna più indietro.

Barbecue

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Il campo di forza

Quando, circa cento anni fa, gli Attanistei avevano iniziato a solcare gli immensi spazi del cosmo, le loro navi non erano nulla di speciale: corazze in metallo; propulsori a curvatura; armi a particelle. Vedevano lo spazio interstellare come un immenso mare da esplorare con innumerevoli porti ad attenderli, popoli da conoscere, mondi da esplorare. Quanto di più affascinante un popolo aveva da dare loro lo accoglievano arricchendosi e poi facevano altrettanto con tutto ciò che avevano visto e imparato.

Purtroppo anche lo spazio nasconde delle insidie. Oltrepassata la nube di Liodo, gli Attanistei furono assaliti più e più volte dai pirati dello spazio. Ci fu pure una volta in cui gli assalitori non erano in cerca di mercanzie ma di materiale biologico. Gli Attanistei, che erano un popolo sensibile e aperto, si erano fatti imbrogliare e uccidere fin troppo: subivano il dolore e il male come assorbivano la bellezza degli altri popoli.
Fu così che gli Attanistei cambiarono, si chiusero. Per loro era amico solo un altro Attanisteo, tutti gli altri erano nemici e si doveva attaccare prima di diventare il bersaglio. Inventarono un potente campo di forza che respingeva ogni cosa e si dotarono di armi veramente pericolose.

Successe allora che, per un guasto al sistema di traduzione, vi fu un equivoco e aprirono il fuoco contro una nave di Arsictini, colpevoli solo di esistere. Quelli si difesero ma il campo di forza riflesse all’indietro i colpi e tutto l’equipaggio di quella nave morì.

Ci sono persone che, dopo aver vissuto delle sofferenze e dei momenti negativi, costruiscono come un muro, pesante, oppressivo, spesso, intorno al loro cuore. Se ridono, lo fanno con un retrogusto di amarezza, quando si sbeffeggia l’avversario politico o ideologico. Se provano un sentimento, questo è solo un rancore che non si riesce a sedare, neanche vincendo le battaglie in nome della propria ideologia. In alcuni casi, il muro è così spesso, che queste persone si riducono a delle macchine: per non soffrire più eliminano completamente tutto ciò che giudicano non razionale e logico.
L’uomo non è soltanto “mente” e tessuti. Di ogni essere umano è importante il cervello ma è ugualmente importante il cuore, inteso non come muscolo cardiaco ma come nocciolo ineffabile, elemento centrale della coscienza situato al di là della sfera logica. Se scegliamo di rinunciare al cuore, rinneghiamo la nostra umanità.

Scudo spaziale

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Cecità e daltonismi

Erano passati ormai tre anni dall’incidente. L’ultima immagine che gli occhi di Diego avevano visto era una cascata di acido nella sua direzione, poi il buio.
Diego era una brava persona, aveva dedicato tutto il suo tempo al lavoro e alla famiglia e forse ci aveva dedicato anche troppo tempo. Il mondo gli scorreva davanti in tutte le sue manifestazioni ma lui era occupato dai suoi impegni. Semplicemente, non si poteva permettere di fermarsi e guardare, anzi, osservare ciò che lo circondava. Anche la famiglia stessa si era trasformata in una serie di post-it attaccati a delle sagome sempre uguali.

Ora che non ci vedeva più sentiva opprimente il vuoto “ottico”. Aveva poche immagini in mente, pochi ricordi della sua possibilità di vedere, cose normali, facce usuali, muri, sedie, attrezzi. Sentiva cinguettare gli uccelli ma non aveva altro che sagome stilizzate da immaginare; aveva i suoi cari vicino ma visualizzava solo lineamenti neutri.
«Non si può continuare così – si diceva – Se avessi osservato un po’ di più quando ci vedevo… C’era così tanto da vedere ma ora non mi rimane niente. Basta! Rivoglio la mia vista!»
Il poveretto era disperato ma aveva sentito parlare di un’operazione in grado di ridargli la vista. Per questo ora si trovava in quella stanza di ospedale con le bende sugli occhi.

Quell’operazione gli cambiò la vita; non perché aveva riacquistato la vista ma perché aveva ritrovato qualcosa di più importante: la voglia di stupirsi. Sentiva i versi degli uccelli e li individuava con lo sguardo scoprendo il contrasto tra il giallo becco del merlo ed il suo piumaggio nero; il carnevale giallo e rosso dei cardellini; le danze dei passeri. Ora si meravigliava guardando il viso della figlia mentre scriveva un tema; il sorriso della moglie il giorno che andarono a vedere le stelle; il movimento delle mani di sua madre quando raccontava dei tempi andati. Dettagli su dettagli. C’era sempre da scoprire qualcosa di affascinante, qualcosa che riusciva a far battere forte il cuore anche per un solo millesimo di secondo.

Non tutti sappiamo vedere l’ineffabile bellezza che ci circonda ogni giorno. Alcune persone hanno come uno scudo di monotonia e materialismo che li rende inerti alle provocazioni della bellezza. Spesso queste persone hanno bisogno di buio assoluto per poter vedere la luce. Non possono apprezzare quanto sia meraviglioso poter vedere chiaramente se non si è vissuta l’angoscia del buio. A volte, come i daltonici, riusciamo a percepire solo alcune lunghezze d’onda, quelle che ci sembrano più importanti, ma ci dimentichiamo degli altri colori, coperti da certo bagliore eccessivo che diamo alle faccende della vita. Eppure quei magnifici colori ci sono, aspettano solo di essere notati. Basta fermarsi un attimo e osservare.

Cardellino

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Uguaglianza dei biscotti

Altro post partorito a colazione: sarà il sonno, sarà il vuoto cerebrale post-risveglio, ma mentre facevo colazione mi è venuta in mente la grande varietà di biscotti. Non sono tutti uguali: ci sono quelli che si inzuppano pian piano; quelli che vanno a fondo; quelli che galleggiano qualsiasi cosa succeda; quelli che diventano poltiglia; quelli che rimangono asciutti e impermeabili anche se li lasci a mollo per mezz’ora.

Però sono tutti biscotti. Stesso oggetto, differenze di specie. Ogni biscotto è fatto per essere consumato in modo diverso: alcuni biscotti si devono spezzare prima di immergerli; altri vanno immersi per metà per essere iniziati; altri hanno un verso specifico altrimenti risultano impermeabili; altri ancora hanno bisogno del cucchiaino sotto, per essere recuperati prima di diventare poltiglia. Sebbene stiamo parlando sempre e solo di biscotti, ogni tipologia ha i suoi pregi e i suoi difetti, il suo modo corretto di essere consumato, una maniera idonea e ideale di essere trattato, il suo modo di interagire con il latte.

Stesso discorso per le persone. Siamo tutti esseri umani, certo, ma pari dignità e diritti sono conferiti sugli aspetti che sono già comuni. Quando però, con la presunzione di un uguaglianza che in realtà non esiste, vogliamo abbattere le differenze naturali, stiamo cercando di tenere a mollo per dieci minuti un biscotto che diventa poltiglia in trenta secondi. Cioè non abbiamo capito il meccanismo della dignità. Se c’è differenza tra uomo e donna, tra persona e persona, è perché ogni qualità e proprietà – differente dalle altre – ha un suo campo di applicazione ed un suo impiego che sarebbe sviluppato male se affidato a chi, quelle qualità, non le possiede. Non dobbiamo pretendere di essere buoni a tutto, anche a ciò per cui non siamo tagliati, ma riconoscere che essere fatti in un certo modo implica finalità specifiche, un modo di vivere più “calzante” di altri.

Biscotto

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Analisi semantica

Guardavo, proprio ieri, una delle funzionalità di un noto aggregatore di notizie. La chiamano “analisi semantica”, un bilancio tra parole “positive” e parole “negative” all’interno di un post allo scopo di determinarne lo “stato d’animo”. Se si utilizzano tante parole negative lo stato d’animo è triste mentre se si utilizzano tante parole positive lo stato d’animo risulta felice. Ovviamente ci sono delle gradazioni intermedie.

L’analisi dei miei post risulta spesso di un umore nero pece. Com’è possibile? Guardo le parole che sono state classificate come “negative” e scopro che tra le altre sono state anche inserite: immutabile; indiscutibile; irrisolto; pesante; usuale; generalizzato; rigido; nostalgico.
A me non sembrano parole negative ma, pensandoci bene e rendendosi conto di certe mode, possono mostrare un certo modo di intendere le cose per il sentire comune.

Si temono proprio i riferimenti fissi, le cose stabili e definite che possono, in fin dei conti, dare sicurezza. Si preferisce invece non sapere dove sbattere la testa, vagare tra un’idea e l’altra senza mai trovare soddisfazione. Il problema è che questo stato “confusionale” viene frainteso con una maggiore libertà. Se chi ragiona in questo modo fosse un marinaio, sulla sua piccola barchetta, nel mare notturno, sarebbe veramente più libero spegnendo tutti i fari del mondo?
La libertà del marinaio sta nel fare uso dei fari che incontra per scegliere saggiamente in quale direzione navigare: ad eccedere con le libertà si rischia di si abbattersi sugli scogli o di perdersi senza mai trovare un porto sicuro.

SmileP.S. È chiaro che questo post risulterà negativissimo!

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